L’importanza dell’intelligenza emotiva nella vita di ognuno di noi
L’impresa di farsi sentire e sentire “l’altro”, portata avanti dal femminismo. Una riflessione dalla lettura del libro Creiamo cultura insieme di Irene Facheris
Le interazioni che sperimentiamo quotidianamente, che si tratti di gestire un partner un po’ troppo testardo o di immergersi in una delle tante discussioni nella sezione commenti di Facebook, possono facilmente lasciarci turbati, anche a livello emotivo. Questo turbamento può portarci a rifiutare di esporre nuovamente i nostri bisogni emotivi, le nostre idee e le nostre sensazioni in futuro.
Da qui in poi, le possibili conseguenze sono due: o si diventa intolleranti verso i bisogni emotivi altrui, perdendo completamente l’empatia, o si diventa incapaci di manifestare efficacemente i propri. Per questo motivo tutti dovrebbero lavorare sulle proprie competenze emotive. Il che non significa andare d’accordo con tutti, ma piuttosto venirsi incontro senza sacrificare le nostre opinioni e i nostri desideri.
Il collegamento tra intelligenza emotiva e discriminazioni è piuttosto immediato, tramite l’empatia: mettersi nei panni dell’altro, ma in maniera autentica, eliminando il pregiudizio, è il primo, fondamentale passo per riconoscerne i bisogni e, all’atto pratico, anche i diritti.
Allo stesso tempo, se non siamo in grado di comunicare efficacemente i nostri bisogni, riconoscendoli come validi e accettandoli, non saremo in grado di batterci per soddisfarli. Storicamente, uno dei più grandi movimenti sociali legati all’intelligenza emotiva è quello femminista.
Soprattutto dall’arrivo dei social in poi, è emerso quanto le discriminazioni passino per la comunicazione, attraverso le frasi che entrano nel linguaggio comune e suggeriscono determinati messaggi. Ne è un esempio il recente episodio in cui una giornalista, intervistando Serena Williams, affermava: «Passerà alla storia come una delle più grandi atlete DONNE di sempre, dopo la settima vittoria a Wimbledon», per poi essere corretta dall’atleta: «Preferirei le parole: una delle atlete migliori di sempre».
Un punto cardine dell’intelligenza emotiva, caro al femminismo, è: i tuoi sentimenti sono validi, non esiste un manuale su come dovresti sentirti. Citando l’attrice statunitense, attivista del movimento #MeToo, Amber Tamblyn: «È una cultura che ti guarda dall’alto in basso. È una persona, un capo, un fidanzato che ti vuol più razionale e meno sensibile o vulnerabile, trasformando l’intelligenza emotiva in un qualcosa di dannoso, da sopprimere».
L’assenza di contatto con le proprie ed altrui emozioni, la cosiddetta “ignoranza emotiva”, ci allontana dallo sviluppo in quanto società. Rende degli individui capaci di giustificare atti come la violenza di genere o addirittura il femminicidio in quanto raptus, cose che possono accadere, perché la sfera relazionale è un’entità non meglio identificata e, senza intelligenza emotiva, non tutti i conflitti si possono risolvere a parole. Citando il video girato per la campagna di Intervita del 2013 Servono altri uomini: «Lei ti fa infuriare, non ci vedi più e partono le sberle».
Il fenomeno #MeToo è un esempio di come degli individui dotati di intelligenza emotiva – e di un profilo social – possano dare vita a un movimento globale. È bastato un hashtag per catalizzare la diffusione della sorellanza e rompere il silenzio e l’isolamento in cui spesso vivono le vittime di abusi, incapaci di aprirsi in un ambiente in cui le loro emozioni possono facilmente passare in sordina, essere incomprese o colpevolizzate. Un meccanismo analogo al MeToo si è verificato lo scorso ottobre in Tunisia, attraverso l’hashtag EnaZeda (anch’io), la cui diffusione ha portato alla luce migliaia di racconti di molestie, violenze e abusi e ha spinto centinaia di donne a protestare davanti al Parlamento per le violenze non riconosciute.
Quello che sfugge a molti, quando si parla di parità di diritti, è il fatto che i problemi delle minoranze sono, o dovrebbero essere, problemi di tutti. Una società che non riconosce i suoi membri in quanto persone, con pregi, necessità e presunti difetti, potrebbe prendere di mira chiunque, prima o poi. Risvegliare la propria coscienza emotiva e farsi carico di battaglie come quella femminista, o quella per i diritti LGBT, non è solo giusto, è utile. Non è solo utile, è giusto. Non è solo importante, è giusto.
Un ottimo punto di partenza per approfondire il legame tra l’intelligenza emotiva e i problemi sociali è il libro di Irene Facheris uscito nel 2018, Creiamo cultura insieme. La sua ricerca si concentra su un’ottica salutogenica, basata sul benessere mentale dell’individuo nella società, spesso sottovalutato.
Irene Facheris ha fondato nel 2014 l’associazione “Bossy”, che si occupa di inclusività a più livelli con lo slogan: sempre oltre gli stereotipi. Il suo libro vuole essere un piccolo manuale di sopravvivenza con un semplice obiettivo: evitare i dibattiti infiniti, spesso inutili, e talvolta estenuanti, di qualsiasi natura essi siano. Le persone spesso arrivano allo scontro perché, anche inconsciamente, non prestano sufficiente attenzione al mondo dell’altra persona, non si immedesimano veramente. L’intelligenza emotiva, come tutte le capacità, può essere allenata e imparata, anzi, in questo caso, re-imparata.