Riconoscerci migranti – Change the Future #4

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“Migrazione”. Lo cerco sulla Treccani, che quando non si ha un dizionario a portata di mano è la miglior versione online, e ne leggo la definizione. Mi basta l’inizio: “Spostamento, definitivo o temporaneo, di gruppi da un territorio a un altro”.

Mi basta l’inizio per sapere di aver migrato una volta. Avevo otto anni, era il 2009, la mia vita era stata alterata dal terremoto che ha distrutto la mia città e interrotto, come un black out con un film, l’esistenza di 309 persone, e sono andata via. Ho trovato altri luoghi da chiamare temporaneamente casa: un paesino sul mare di nome Tortoreto, prima; quella che ai tempi percepivo come agitatissima metropoli, Pescara, poi; il paese d’origine di mia madre, Monte Compatri, per ultimo. Ai tempi mi chiamavano “sfollata” e le maestre sapevano di dovermi trattare con riguardo, come se potessi spezzarmi da un momento all’altro. Ma io ero fortunata, fisicamente e psicologicamente illesa, e quello “sfollata” sulla mia lingua oggi ha lo stesso sapore di “migrante”.

Mi basta l’inizio per sapere di aver migrato due volte. Avevo diciotto anni, era il 2019, la mia vita era stata alterata da quell’evento terribile noto come esame di maturità e sono andata via con un numero di matricola e un orario abbozzato di lezioni da seguire. Ho trovato un appartamento da chiamare temporaneamente casa, anche se ci vivo ancora oggi. Ai tempi mi chiamavano “studentessa fuorisede” e avevo i ritmi di tutti i miei colleghi tra una lezione, una schiscetta, una sessione di studio, un aperitivo, e poi chissà. Non mi sono guardata spesso indietro, non ho rivolto chissà quanti pensieri alla città lasciata di nuovo, è bastato tirare il filo perché la tela si sciogliesse e mi concedesse un nuovo inizio e tante nuove possibilità. Quello “studentessa fuorisede”, che sono ancora oggi, inizia a sapere di “migrante”.

Mi basta l’inizio per sapere di aver migrato tre volte. Avevo vent’anni, era il 2021, la mia vita era stata alterata dall’e-mail dell’università che mi informava del ripescaggio e del fatto che sarei partita alla volta di Trondheim, in Norvegia, e meno di sei mesi dopo quell’e-mail sono andata via. Ho trovato una casa condivisa con altre tre ragazze, una cultura diversa, un modo di insegnare e di essere studente che con l’Italia non c’entravano proprio niente. Ai tempi mi chiamavano “studentessa Erasmus” e ogni giorno era una novità: il tiro con l’arco nei boschi, l’aurora boreale, le lezioni di lingua norvegese, la notte tanto lunga che mi stupivo a ogni raggio di sole. Ho lasciato indietro un’identità per indossarne un’altra. Ho ripiegato me stessa come un maglione e ho messo vent’anni di vita in un armadio, pronta a indossarli di nuovo una volta tornata in Italia. Quello “studentessa Erasmus”, che ti plasma, sa di “migrante” zuccherato. Di “migrante” privilegiato.

Perché alla fine sta tutto lì, no?

Non sono mai stata una migrante pur avendo migrato.

Sono stata una bambina da tutelare, una studentessa come tante a un certo punto, una studentessa internazionale per qualche mese. Ho migrato in sicurezza, ho migrato una volta per bisogno e due perché mi andava, le frontiere di un Paese sconosciuto si sono aperte davanti a me e al mio passaporto tra i più forti al mondo.

A ventitré anni, ancora studentessa fuorisede, adesso anche lavoratrice, parlo di migrazioni perché finora ho avuto vita facile e sensibilizzare è il mio modo di restituire, forse anche di scusarmi per tutto questo privilegio di cui mi vergogno ma che sfrutto ogni giorno.

Ogni articolo di questo numero è, a modo suo, una restituzione. Un invito a riflettere. Un invito a riconoscerci migranti, se lo siamo stati, e immaginarci migranti un’altra volta. Con in tasca non il privilegio, ma il peso dell’essere indesiderati.

In questo numero di Change the Future

Resistere nella capitale dell’amoredi Asya Turchi

Il ruolo dei disastri climatici nella crisi dei migranti in Libiadi Rebecca Bottaini

Voci di confinedi Jesmean Kaur

Fuggire dal cambiamento climatico: il caso del Saheldi Greta Tudisco

La narrativa distorta delle migrazioni tra news e cinemadi Mariateresa Sganga

Appunti per un naufragio: dialogo con Davide Enia di Federica Mangano

Migrazioni e disabilitàdi Lucrezia Agosta

Stereotipi e lavoro: donne migranti in prima lineadi Alessia Bernardi

In viaggio verso il soledi Cleo Cantù

L’immigrazione raccontata ai ragazzi e alle ragazze: recensione del libro “Motel Calivista, buongiorno!” di Lucrezia Agosta

L’eredità di Dublino: la gestione del fenomeno migratorio nel diritto dell’Unione europeadi Giulia d’Angelis

Nel mare ci sono i coccodrillidi Maria Cristina De Vita

La “stretta di mano” di Corinto a chi migradi Giulia Ferrari

L’altro volto dell’accoglienzadi Zoe Cecchinato

Chi è un migrantedi Vera Lazzaro

Dai centri di accoglienza a una famigliadi Greta Maiellaro

Migrazione: risorsa globale e sfida europeadi Giulia Sorbino

Ius scholae: dalla nuova cittadinanza a Roma anticadi Emanuele De Zanet