Le due Napoli: intervista a Giuseppe Manzo sui divari che spaccano in due la città
Ci sono due Napoli sempre più divise da reddito, diritti, servizi, povertà d’ istruzione.
Nelle periferie napoletane la dispersione scolastica è, per esempio, quasi sei volte superiore a quella del Vomero e dell’Arenella. A Posillipo il reddito pro capite è invece cinque volte più grande di quello di un quartiere come Barra, dove si ferma a poco più di 1.000 euro al mese.
Un ragazzo di Napoli Est non ha quasi la possibilità di praticare sport in una struttura pubblica.
Una città sempre più diseguale in cui comincia ad affermarsi un fenomeno del tutto nuovo, la separazione netta tra quartieri ricchi e quartieri poveri, fra famiglie benestanti e non abbienti. Barriere che diventano muri.
Per capire queste “due Napoli”, abbiamo incontrato Giuseppe Manzo, giornalista, redattore per Giornale Radio Sociale e responsabile delle comunicazioni di Legacoopsociali sui divari sociali, economici e culturali che spaccano in due la città di Napoli.
Chi è Giuseppe Manzo?
Sono un giornalista professionista e svolgo questa professione da 18 anni. Nasco come cronista, ho scritto libri inchiesta sul tema dell’ambiente e della speculazione edilizia. Ho realizzato, tra le altre cose, inchieste e reportage anche per la tv come Rai News e Rsi radiotelevisione svizzera e due saggi per MicroMega. Mi sono specializzato anche nella comunicazione sociale e attualmente curo i progetti editoriali e la comunicazione di Legacoopsociali, sono redattore del Giornale Radio Sociale, sono docente nel Master Sociocom dell’Università di Roma Tor Vergata e realizzo format di approfondimento per la tv in Campania su ambiente, mafie e politica.
Qual è il suo impegno per il sociale?
Oggi l’impegno lo traduco nel mio lavoro quotidiano con l’attenzione ai temi dell’ambiente, dei diritti e dell’inclusione. Nella mia regione sono stato tra chi ha avviato il movimento Stop Biocidio nel 2012 per la Terra dei Fuochi e sono sempre stato attento ai tempi dell’antimafia per affermare la libertà di informazione contro ogni forma di intimidazione.
Napoli è una città spaccata sul piano del reddito, dei servizi e dell’ istruzione. Perché si continua a promuovere la facciata del turismo e dell’ innovazione insabbiando una realtà di povertà economica e culturale?
Il turismo a Napoli, oggi, è una realtà economica pari a quella di Roma, Firenze e Venezia. Ha cambiato pelle al centro storico trasformato in un grande luna park a cielo aperto tra locali, trattorie e bed&breakfast. Questo fenomeno ha prodotto un ulteriore distacco dei “centri produttivi” della città con le periferie che sono scollegate anche fisicamente a causa della mancanza di trasporto pubblico su gomma e ferro. Il turismo sta arricchendo alcuni settori ma non la città che vede ancora un tasso del 40% di disoccupazione.
Dati dimostrano le evidenti differenze tra il livello d’istruzione dei quartieri collinari (65% dei diplomati/laureati) e quelli di periferia (circa il 10% dei diplomati/laureati). Che impatto ha la presenza/assenza delle istituzioni nell’ alimentazione di questo divario?
Questo è un processo che va avanti da ormai un decennio. Napoli è una città spaccata in due tra chi ha reddito, lavoro, istruzione e ricchezza e chi invece arranca senza titoli di studio e senza occupazione. Le periferie operaie come Napoli Est e Bagnoli hanno esaurito la “spinta” che ha portato a una generazione di laureati e “dirigenti”: chi studia e vive in alcuni quartieri emigra al Nord o all’estero, chi resta lo fa grazie ad attività o studi professionali avviati dai genitori. Questo divario blocca la città.
Si parla tanto di Autonomia differenziata: secondo la sua opinione, quanto negativo potrebbe essere l’impatto sulla nostra città e soprattutto sulla nostra regione, devastata dalla mancanza di servizi?
Sarà completamente negativo l’impatto. Aumenterà il divario territoriale e quello delle risorse. Va detta anche una cosa: l’Autonomia differenziata è un colpo ferale ma Napoli e il Mezzogiorno devono saper fare anche i conti con i propri errori. Chi vive al Sud deve smettere qualsiasi mantello votato al lamento, al clientelismo e al familismo amorale. Serve il protagonismo di tutti e di tutte, non il fatalismo.
Negli ultimi anni, sia in periferia che nei quartieri collinari e del centro, si sta diffondendo il fenomeno della ghettizzazione. Secondo la sua opinione, cosa spinge le persone ad isolarsi? E se questo fenomeno prendesse il sopravvento, potremmo continuare a definirci “popolo” napoletano?
Il concetto di “napoletanità” fu spiegato da Luciano De Crescenzo in un’altra epoca. Oggi il popolo napoletano trova identità solo attraverso il calcio e il suo dio pagano Maradona. Nel quotidiano la città vive, al di là delle retoriche di chi vende gialli commerciali di successo o fa fiction di ottima fattura, le stesse dinamiche delle metropoli europee con la sua caratterizzazione mediterranea: Napoli non è immune dall’individualismo e dall’erosione del senso di comunità.
Cos’è una cooperativa sociale? E quale ruolo svolge nel contrasto di questi divari?
La cooperativa sociale è un forma di impresa che mette al centro l’interesse pubblico e, come è definito dalla natura giuridica delle cooperative, reinveste il proprio utile. La cooperazione sociale, come tante altre organizzazioni non profit, sono oggi uno strumento determinante per il welfare e per la tenuta sociale del Paese: durante il lockdown e la pandemia tutti hanno visto che il terzo settore ha rappresentato un mondo di uomini e donne che hanno praticamente salvato le città dal collasso sociale.
In conclusione, secondo Lei, quanto è importante la voce dei giovani che si battono nel difendere l’ideale di collettività impegnandosi nell’abbattere i divari economico-sociali che affliggono la nostra città?
I giovani sono la componente che può e deve cambiare le sorti di una comunità, di un Paese e del Pianeta. Lo hanno fatto i partigiani durante la Resistenza quando avevano dai 16 ai 25 anni, lo hanno fatto negli anni ’60 e ’70 con il movimento studentesco, operaio e femminista, lo ha fatto la mia generazione con il movimento No Global a cavallo degli anni 2000. Gli adulti sono utili solo se offrono la propria credibilità prima di qualsiasi giudizio, altrimenti rappresentano solo repressione e conservazione. I giovani di questa generazione devono e possono affermare i propri valori di giustizia ambientale, sociale ed economica con i propri mezzi e i propri strumenti. Non è solo questione di voce ma di cambiamento concreto, io tifo per questa generazione.