In viaggio verso il sole

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“Se vuoi partire, scrivi a questo indirizzo”. Qui tutti stanno spendendo i loro risparmi per avere un nuovo inizio e a me basta scrivere una mail? Impossibile. Ma questo mondo sa essere sorprendente, tanto vale provare.

Nel mio Paese si consuma uno scontro armato dal 2011. Poche cose sono rimaste in piedi e tra queste non figura l’economia. La storia del mio paese dal 2011 è stata una lunga catena di eventi infelici. Lasciare ciò che si conosce per qualcosa di nuovo è sempre un rischio, fa sempre paura, ma era arrivato il momento di lasciare Homs e la Siria. 

Non volevo fare parte di questa violenza.

Prima tappa: Libano. Lì ho trascorso 5 anni lavorando, ricostruendomi una vita. 

Non si migra solo perché si vive male, perché si è in pericolo costante. Si migra anche perché non si vede un futuro. In Libano non stavamo male, ma non sapevamo mai quanto sarebbe durata, come sarebbero evolute le nostre vite. 

Non si può chiedere a un uomo di vivere in un limbo, di lavorare senza sognare, di aspettare di vedere tutto crollare di nuovo. 

In Libano non stavamo male, ma quando si è presentata l’opportunità di partire non ho rifiutato.

L’indirizzo che avevo in mano rimandava alla Comunità di Sant’Egidio. In quindici giorni ho ricevuto una risposta: un appuntamento in una chiesa per un primo incontro. Altri quindici giorni e arriva una chiamata dall’ambasciata italiana. In 45 giorni arrivo in Italia. 

Il giorno della partenza eravamo un’ottantina. Non ci conoscevamo; solo qualcuno si era già incontrato durante le visite mediche. Avevamo storie diverse alle spalle e sapevamo che ne avremmo create di nuove a breve.

Il mio viaggio non è stato come quelle tragedie che si leggono sui giornali, tutto era stato preparato. Neanche questo bastava a cancellare le nostre preoccupazioni. 

Cosa troverò al mio arrivo? Quale sarà la fine di questo viaggio?

Nel nostro Paese si è sempre contenti quando qualcuno parte. 

Si mettono da parte le preoccupazioni per permettere alla speranza di farci strada. 

Si mettono da parte, ma non spariscono. 

Immaginate casa vostra: il letto di quando eravate più giovani, il quartiere per cui saltellavate mentre la mamma faceva la spesa, la scuola in cui avete imparato a leggere. 

Ora immaginate di dover lasciare tutto. Non sapete né quando né se tornerete. 

Il sole verso cui viaggiate può essere il più luminoso, ma non arriverà mai a illuminare tutto.

Seconda tappa: Italia.

Il primo periodo è stato difficile. I dubbi non si scioglievano come speravo. Non conoscevo la città e per questo non riuscivo a considerarla mia. I volti dei passanti mi erano sconosciuti. Sarò costretto a tornare a casa o mi ambienterò?

Anche in questo momento la Comunità è stata fondamentale. Mi ha trattato come se fossi di famiglia, mi ha fatto sentire parte di qualcosa di più grande. Mi ha dato una casa in cui riposare e un’università da frequentare per riconoscere i miei titoli, mi ha dato dei volti da riconoscere per strada e delle mani a cui chiedere aiuto. 

Mi ha dato anche una lingua per esprimermi. A Parma ho frequentato una scuola di italiano per molto tempo: siamo partiti dalle basi e non ci siamo più fermati. Vocaboli, tempi verbali, errori su errori e tanta pazienza. I modi di dire li ho imparati vivendo in mezzo alla gente, non c’è insegnante migliore della pratica.

L’integrazione è una cosa che si autoalimenta, ma bisogna far partire la prima scintilla. 

Sul territorio italiano ci sono tantissime realtà che permettono l’integrazione, ma spesso le storie passate portano a una certa reticenza. 

Diventare parte di una nuova cultura può fare paura, può essere difficile, può non essere quello che vorremmo dalla vita. 

A volte bisogna semplicemente credere che andrà meglio, mettersi in gioco e stare a guardare. 

Sono arrivato a marzo del 2022 e ancora frequento la Comunità. Ormai mi sono stabilizzato, ma le persone di Sant’Egidio restano un riferimento e io cerco di esserlo per loro. 

Quando posso partecipo al progetto della Scuola della Pace, una forma di integrazione sociale a partire dall’infanzia. Se dovessi spiegare ai nostri bambini cos’è una migrazione parlerei di un viaggio per una bella vita, di un viaggio verso il sole.

Il racconto è tratto da un’intervista a Wadih, amico conosciuto tramite la Comunità di Sant’Egidio.