L’Aquila, ippoterapia e riabilitazione equestre. Fino alle Olimpiadi
Il Centro Ippico Aterno 2 si trova appena fuori le mura storiche della città de L’Aquila. Elisa Splendiani è in sella a un enorme cavallo sauro e una bambina sta affrontando i primi galoppi con un piccolo pony bianco. Tempo di smontare, dissellare e sistemare il cavallo in box, Elisa ci raggiunge al tavolino con vista sul campo ad ostacoli.
Quando hai deciso di diventare istruttrice di equitazione, immaginavi che avresti dovuto affiancare all’attività agonistica anche il lavoro con ragazzi diversamente abili o con disturbi dell’apprendimento?
In tutta onestà, è una cosa che mi sono ritrovata a fare durante il percorso da istruttrice senza che rientrasse davvero nei miei piani. Ultimamente ho preso il brevetto da Istruttore Federale di II livello e ho poi seguito un corso specifico per le discipline “para”, con ulteriore specializzazione nel paradressage. È l’unico titolo simile in Abruzzo per quanto riguarda l’equitazione.
Per chi non mastica il linguaggio equestre, in cosa consiste la nomina di Tecnico Federale di Equitazione Paralimpica di II livello?
Consiste nel poter seguire, accompagnare ed affiancare atleti che, nonostante la loro disabilità, decidono di avvicinarsi al mondo equestre in gare di varie discipline (per citarne alcune dressage, reining e volteggio) ponendosi come obiettivo fondamentale le Paralimpiadi.
L’Italia si è qualificata per le Olimpiadi di Tokyo 2020 per il paradressage. È un buon segno contro gli stereotipi ancora esistenti del ragazzo disabile impossibilitato dalla sua condizione ad avere una vita normale con interessi sportivi e sogni di gloria?
Spero che le persone ancora convinte di queste cose siano così poche da poterle contare su una mano. Per quanto mi riguarda, ormai nello sport c’è un’integrazione totale. Penso che questa sia comunque una bellissima opportunità che permette ai ragazzi disabili di vivere un’esperienza come quella delle Olimpiadi. Per ora, le Paralimpiadi coprono solo il dressage, una disciplina che consiste nell’eseguire, in un campo rettangolare, le “arie basse”, movimenti eleganti e quanto più vicini alla perfezione in cui il cavallo deve mantenere il costante contatto con il terreno, cosa che non accade nelle “arie alte”, che fanno però parte di un’altra disciplina.
L’equitazione paralimpica si riferisce, per definizione, ad atleti con disabilità fisica o visiva. Se un ragazzo con disabilità intellettive volesse gareggiare, potrebbe farlo?
Non nel circuito “para”. Per quanto riguarda le disabilità intellettive esistono gli sport integrati. Nelle stesse giornate di gara ci sono sia il paradressage, con cui si ottengono le qualificazioni per livelli che possono poi portare alle Olimpiadi, e le categorie integrate o “open” aperte a tutti i tipi di disabilità. I ragazzi affrontano una visita dopo la quale vengono inseriti in una classificazione che va da uno a cinque per poter utilizzare degli aiuti compensatori che permettano un confronto allo stesso livello. Per quanto mi riguarda, il mondo delle “open” è più vario, essendo aperto a vari livelli, ed è qui che si vede la vera integrazione tra varie disabilità, anche grazie alla presenza di genitori, istruttori, assistenti e tecnici.
C’è uno schema “passo dopo passo” che cerchi di rispettare?
Ogni persona ha bisogno della sua lezione, del suo programma. Le prime volte, quando si conosce il ragazzo e puoi preparare un programma di massima. In queste situazioni è importantissima l’équipe – il genitore, lo psicologo, la psicomotrice del ragazzo che sa dirti, a livello psicomotorio, a cosa il ragazzo sa rispondere meglio e cosa invece lo mette in difficoltà. Spetta anche al tecnico, che conosce il mestiere e il cavallo, capire da cosa può partire un ragazzo: c’è chi deve riservare più tempo al lavoro da terra, alla pulizia, al semplice stare a contatto con l’anima, e chi invece lo ritiene noioso o inutile e per questo non ti dà risposte corrette. Con questi ragazzi può essere meglio dedicare dieci minuti di più in sella, variare spesso gli esercizi, concentrarsi sul dare un continuo stimolo.
Ogni cavallo può fare riabilitazione equestre? In base a cosa decidi quale utilizzare per le lezioni?
Non tutti i cavalli sono adatti per un percorso di riabilitazione equestre o ippoterapia. I cavalli scelti devono essere bravi, pazienti, sereni, devono essere dei veri e propri collaboratori e l’istruttore deve essere il loro punto di riferimento. Il lavoro va comunque moderato perché per il cavallo può essere stressante, faticoso, soprattutto se si ha a che fare con casi gravi in cui il ragazzo urla, si muove, magari ci mette cinque o dieci minuti per calmarsi e rilassarsi, che alla fine è lo scopo primario della riabilitazione equestre – fornire al ragazzo una possibilità di rilassarsi attraverso il movimento del cavallo, l’avere una visuale più alta sugli altri, lo stare all’aria aperta.
Il mondo equestre è pieno di regole di sicurezza. I ragazzi con disturbi dell’apprendimento richiedono più attenzione da questo punto di vista, o alla lunga sanno come comportarsi?
Dipende dal tipo di disabilità. Alcuni ragazzi riescono tranquillamente a capire perché non si deve passare dietro al cavallo, perché non si deve alzare la voce e perché è importante chiudere il box, le prime dieci volte è necessario lo stimolo, poi tendono ad automatizzare il gesto. Avendo a che fare con disabilità più gravi è compito dell’istruttore non dare nulla per scontato e dare stimoli di continuo pur sapendo che si potrebbe non avere mai un risultato vero e proprio che non sia momentaneo.
In cosa consiste il tuo percorso con la casa di riabilitazione per l’autismo “La Casa di Michele”?
Sono venuti loro a propormi la collaborazione, e devo dire che sono meravigliosi, hanno un’équipe organizzata alla perfezione: ogni attività esterna è seguita da una psicomotrice, ogni ragazzo ha da uno a due tecnici della riabilitazione psichiatrica o psicologica e si lavora davvero bene. Ci sono ragazzi con sindromi più gravi che hanno solo bisogno di salire a cavallo per rilassarsi e fare una passeggiata di un quarto d’ora e ragazzi con problematiche più lievi con cui si può parlare di avvicinamento al dressage.
Nel tuo lavoro, c’è un momento che ti è particolarmente rimasto impresso?
Quest’anno abbiamo cominciato a lavorare con un ragazzo che aveva paura della velocità del trotto. La prima volta che ci abbiamo provato era così spaventato che abbiamo deciso di rimanere sul passo e continuare con gli esercizi e con gli stimoli, ma senza variare andatura. A mano a mano, dopo moltissimi “no”, è diventato più sicuro in sella, più fiducioso, e una volta, vedendo gli altri trottare, ha deciso di riprovare anche lui. Può sembrare banale, ma vedere il sorriso enorme che ha fatto è stato bellissimo. Con Valentina Lucari, atleta anche per l’associazione sportiva internazionale Special Olympics, il lavoro degli ultimi mesi è consistito nello stimolarla perché perdesse peso, facesse esercizi e camminasse. Ha passato molto tempo in scuderia, occupandosi di pulizia e preparazione del cavallo, e in campo è stata stimolata al movimento in quanto io le dicevo cosa fare e lei conduceva il cavallo nelle figure, ma da terra. Quando l’abbiamo fatta salire in sella si è ricordata, nonostante l’emozione del momento, di tutti gli esercizi svolti da terra e li ha voluti eseguire – “Alla lettera A circolo, alla lettera E alt”. Queste sono piccole, grandi soddisfazioni che rendono il mio lavoro unico.
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