Perché l’ordinanza di Terni non funziona e non contrasta la prostituzione
La notizia dell’ordinanza antiprostituzione di Terni, firmata dal sindaco Leonardo Latini, è stata come un pugno allo stomaco: arrivata in poco tempo, si è diffusa a macchia d’olio su giornali e social, generando discussioni da bar e non. Poi tutto è andato via: poche settimane dopo Terni è tornata a non esistere per il resto d’Italia, mentre l’ordinanza che vieta di vestirsi in modo indecoroso e/o indecente per chi esercita prostituzione, e che per questo è stata accusata di essere discriminatoria nei confronti delle donne, resterà fino a gennaio 2022.
Dunque, alla fine, cosa è rimasto di questa vicenda?
L’ordinanza è ferma lì al suo posto ma le proteste? Si sono fermate? Le critiche mosse nei confronti del sindaco Latini e dell’ordinanza da lui firmata quanto sono veritiere e legittime? Cosa dice il testo dell’ordinanza nello specifico?
Cerchiamo di analizzare i fatti.
Reazioni della politica a parte, su cui non voglio soffermarmi, i cittadini di Terni si sono divisi tra dissensi e consensi: ho chiesto a Lorenzo Mattioli, redattore di Change the Future su Terni, cosa è successo nei giorni successivi alla notizia:
“La notizia dell’ordinanza si è diffusa quando una delle rappresentanti all’opposizione politica Terni Valley (associazione che ha all’attivo anche una lista civica n.d.r.) ha notato il testo dell’ordinanza e fatto presente la cosa. Le reazioni a Terni sono state simili a quelle che ci sono state nel resto d’Italia: ci sono state delle persone che si sono indignate appena hanno letto che il sindaco fosse leghista e c’è stato chi ha accusato di aver giudicato acriticamente senza leggere nient’altro, per cui in realtà non c’è stata una vera e propria discussione in tutta Italia, Terni compresa. Non c’è stato un vero confronto informato”.
Lorenzo Mattioli, redattore di Change
Lorenzo ha aggiunto inoltre che nessuno era a conoscenza dell’ordinanza prima che questa “venisse fuori” grazie ai giornali e social:
“Finché non c’è stato questo intervento nessuno si era mai accorto di questa ordinanza, tanto meno che fosse stata prorogata ulteriormente: è entrata nell’agenda pubblica a causa dei giornali e nel dibattito politico, nel consiglio comunale, per i giornali. Il problema pratico non c’è e non è mai esistito: la polizia comunale non sapeva di avere questo strumento e ora che lo sa non lo sta utilizzando e credo sia un bene visto il caso. Non c’è più discussione ora, tutto è tornato alla normalità: la soluzione al problema è stato non parlarne più”
Lorenzo Mattioli, redattore di Change
Sull’onda della notizia (e dell’indignazione) iniziale anche il Codacons ha fatto sentire la sua voce, presentando un esposto alla ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti: l’esposto come si può leggere nasce dal fatto che l’ordinanza “sembra equiparare un abbigliamento che espone il corpo femminile, come una minigonna o una scollatura, all’attività di prostituzione”
Il Codacons ha quindi chiesto una modifica all’ordinanza, ma senza fare proposta alcuna: perché ?
Ma cosa più importante, ci sono i presupposti legali per farlo?
Parlando con l’avvocata Monica Malafoglia, è emerso un quadro molto più complesso rispetto al tema della prostituzione, con tutto ciò che gli sta attorno.
L’esposto presentato alla ministra Bonetti dal Codacons in merito all’ordinanza di Terni ha valore legale? E può portare ad una sua effettiva modifica?
Nessun ministro può modificare un’ordinanza: la ministra esercita un potere esecutivo, quello che può fare è mandare degli ispettori per effettuare dei controlli, fare delle pressioni ma sicuramente non può operare delle modifiche. Purtroppo in questo momento la nostra politica non si occupa di Pari opportunità, il governo è impegnato a contrastare la pandemia e gestire le risorse europee del PNRR, direi che in questo momento siamo molto lontani.
Cosa dice l’ordinamento italiano in materia di prostituzione?
La prostituzione in quanto tale non è un illecito nel nostro ordinamento, viene considerato un illecito invece il favoreggiamento, lo sfruttamento e il reclutamento alla prostituzione. Su questo ancora oggi è in vigore la legge Merlin del 1958 che considera appunto illecito queste varie condotte, non l’esercizio della prostituzione in sé. C’è poi il codice penale, in particolare l’articolo 600bis, che regola la prostituzione minorile e la diffusione di materiale pedopornografico. In generale sul tema della prostituzione si è espressa anche più volte negli anni anche la Corte Costituzionale, come nel caso della sentenza n°141 del 2019.
Secondo lei qual è la maggiore criticità di quest’ordinanza?
Il problema di queste ordinanze, perché c’è quella di Terni ma ci sono anche quelle di altri comuni, è che non dà dei riferimenti oggettivi: sta al vigile urbano capire se quel determinato abbigliamento o atteggiamento può indurre all’esercizio della prostituzione. Se ad un passaggio a livello chiuso vige l’obbligo di spegnere il motore dell’auto allora stiamo parlando di un criterio oggettivo perché se il motore è acceso sei in violazione altrimenti non lo sei. Qui di oggettivo non c’è nulla.
Ritengo che non siano le singole ordinanze comunali a risolvere il problema: va risolto a monte con una politica incentrata sul fenomeno.
Abbiamo parlato fino ad ora dell’ordinanza, ma il testo? Cosa dice nello specifico l’ordinanza?
Il punto più interessante di quanto detto dall’avvocata sta nell’esistenza di altre ordinanze: come anche riportato dal Sole 24 ore , Terni non è l’unica ad aver emanato nel corso degli anni, un ordinanza di tal genere.
Andando a confrontare le ordinanze di Rimini e di Palermo, quella di Terni non sembra altro che una fedele copia, dove l’unica cosa che muta sono le strade elencate come interessate al fenomeno.
Ancora, leggendo l’ordinanza per intero, salta subito all’occhio un altro dettaglio: non c’è nessun riferimento diretto alla donna.
Ad oggi è possibile leggere il testo originale, non la proroga, solo scaricando il file di testo dal sito del comune, oppure potete leggere il pdf direttamente qui:
Ad ogni modo, il passo più importante dell’ordinanza, che è anche quello che ha dato il via alla polemica è questo:
Sia fatto divieto a chiunque:
- di porre in essere comportamenti diretti in modo non equivoco ad offrire prestazioni sessuali a pagamento, consistenti nell’assunzione di atteggiamenti di richiamo, di invito, di saluto allusivo ovvero nel mantenere abbigliamento indecoroso o indecente in relazione al luogo ovvero mostrare nudità, ingenerando la convinzione di esercitare la prostituzione.
La violazione si concretizza con lo stazionamento e/o l’appostamento della persona e/o l’adescamento di clienti e l’intrattenersi con essi e/o con qualsiasi altro atteggiamento o modalità comportamentali, compreso l’abbigliamento, che possano ingenerare la convinzione che la stessa (di persona n.d.r.) stia esercitando la prostituzione.
I termini utilizzati sono “chiunque” e “persona”, che nella lingua italiana vengono ancora utilizzati per riferirsi a qualcuno senza distinzione di genere.
E la domanda quindi sorgere spontanea: dove sta il problema?
Se l’ordinanza non fa riferimento esclusivamente alla figura della donna, perché così tanto accanimento su quest’ultima? Perché i giornali hanno parlato di abbigliamento solo femminile?
Volendo escludere ancora una volta ragioni politiche, la risposta prende il nome di “fenomeno di genere”: motivo per cui, quando si parla di prostituzione è corretto pensare subito ad una figura femminile, come ci spiega Elvira Reale, responsabile del centro Dafne presso l’ospedale cardarelli di Napoli.
Perché si può parlare della prostituzione come fenomeno di genere?
In realtà c’è poco da dire, sono i dati numerici a parlare: la prostituzione è fatta al 90% da donne e anche la tratta sfiora numeri del genere. Non sono assolutamente favorevole ad una prospettiva di genere neutro, cioè che coinvolge uomini e donne indifferentemente così come non sono favorevole alle posizioni di chi ritiene che la prostituzione possa essere un lavoro e come tale una libera scelta: durante il lavoro un qualsiasi operaio non dà il proprio corpo ma piuttosto la sua attività, che sia fisica o mentale, ma non mette in vendita in proprio corpo. La messa in vendita del proprio corpo è sempre e solo una forma di schiavismo.
Secondo i dati dell’ufficio sulle droghe e il crimine delle Nazioni Unite (UNDOC) infatti nel 2018 su 12.000 donne vittime di tratta il 77% è per sfruttamento sessuale. La percentuale su un campione di 4.000 ragazze si attesta invece al 72%
Su 14.000 persone vittime di tratta per sfruttamento sessuale invece, donne e bambine raggiungono una percentuale del 92%
Qual è la sua opinione su quanto successo a Terni?
Quello che è successo a Terni è il tipico caso di penalizzazione dell’offerta, che non approda all’annientamento del problema.
In più l’abbigliamento delle donne è assolutamente ininfluente, limita solamente la libertà delle donne e non mette in campo il vero problema cioè il ricorso a questo esercizio di potere, che non è certo una forma di soddisfazione sessuale. In una situazione come quella odierna in cui una donna è libera di avere rapporti non si capisce perché ricorrere al sesso a pagamento se non per esercitare un potere sull’altro, fare che l’altro sia alle proprie dipendenze. Punire le donne è come al solito il non capire il problema e non andare alla radice di questo: Bisogna agire non sull’offerta ma sulla domanda di prostituzione, punire il cliente e tutelare la donna che pratica la prostituzione.
L’ordinanza di Terni, così come quella di Rimini, di Palermo e di altre città di Italia, non funziona contro il fenomeno della prostituzione perché non è quello il suo obiettivo: più e più volte, nell’ordinanza vengono ripetute parole come “decoro urbano”, “degrado”, “tranquillità dei residenti”.
L’obiettivo qui non è quello di rendere la prostituzione illegale in tutti i suoi aspetti e non è nemmeno quello di proteggere le donne costrette a prostituirsi ma piuttosto proteggere gli occhi di quei residenti che vivono in prossimità di strade coinvolte nel fenomeno di prostituzione.
Un vero peccato: poteva essere l’occasione giusta per parlare del problema reale, e invece si è scelti di guardare al dito, invece che alla luna.