Abbandono scolastico: corto circuito dell’istruzione
Suona la campanella. Fine delle lezioni.
Ripercorrendo le traiettorie irregolari delle letture affrontate, tra i pinnacoli della grafia allungata e le volte dei grafemi tondeggianti, prende forma la realtà, che ne risulta descritta come lo è la scultura dal blocco di marmo: conoscenze, progetti, dati e modelli che interpretano, innovano e disegnano la realtà, smussando gli angoli che può presentare un futuro sregolato e proponendo sue forme più sostenibili, eque, promettenti ed ottimali.
Le idee si scindono dal supporto su cui è impresso il contenuto, e diventano vettori di miglioramento che si misurano nei valori condivisi e nelle condizioni civili, sociali ed economiche della collettività.
Scenario utopico o realtà? Di certo è centrale il ruolo della scuola, nel processo che deve tradurre i saperi in “slancio vitale”.
Sono infatti determinanti le funzioni che il sistema scolastico deve assolvere: una funzione di socializzazione, che serve a delineare la dimensione di cittadino e a favorire l’ individualità critica e autonoma dei giovani sin dall’infanzia; una funzione sociale che fa della Scuola un ascensore sociale che attenua, ridefinisce e dissipa i rapporti di forza e la composizione di ceti e classi sociali; infine, una funzione economica che attraverso la promozione, la ricerca e lo sviluppo di conoscenze e competenze tecniche determina crescita, progresso e maggior benessere diffuso.
Il fallimento di tale sistema comporta costi pubblici, e a carico delle famiglie, non trascurabili. Ma le conseguenze più critiche, per i Paesi che scontano l’inefficienza del proprio sistema d’istruzione, sono quelle che impattano sulle condizioni socioculturali e sulle prospettive di sviluppo tecnologico ed economico..
Per queste ragioni, non si può tralasciare l’analisi dei dati riguardanti la dispersione scolastica esplicita ed implicita, ossia la mancata o parziale fruizione dei servizi di istruzione in età scolare, nonché lo studio di strategie per ridurre i tassi di abbandono.
La Commissione europea fornisce una definizione del problema che tiene conto del complesso scenario in cui si consuma e predispone gli aspetti interconnessi da tenere presente nella formulazione di politiche pubbliche ad hoc. È per questo che la riportiamo di seguito, prima di passare all’analisi dei trend dell’ultimo decennio, delle sfide del futuro prossimo (l’attuazione delle misure promosse alla Missione 4 del PNRR) e degli obiettivi fissati dall’agenda 2021-2030.
“Il fenomeno dell’abbandono scolastico è legato alla disoccupazione, all’emarginazione sociale, alla povertà e a scarse condizioni di salute. Le ragioni per cui alcuni giovani decidono prematuramente di rinunciare alla scuola e ad una formazione sono molte: problemi personali e familiari, difficoltà di apprendimento o una situazione socioeconomica fragile. Fattori altrettanto importanti sono l’impostazione del sistema educativo, l’ambiente nei singoli istituti e il rapporto tra insegnanti e alunni.
Poiché i motivi per cui i ragazzi non completano gli studi secondari sono spesso complessi e intercorrelati, le politiche volte ad arginare il fenomeno devono affrontare diverse questioni e combinare aspetti educativi e sociali, l’intervento di operatori giovanili e tematiche legate alla salute”.
Dispersione scolastica: il problema
Nel 2020, la percentuale di studenti nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni che ha lasciato prematuramente gli studi è stata del 13,1%, contro una ben più contenuta media europea del 9,9%. Questo dato ha però un significato differente se si confronta in prospettiva storica: negli ultimi trent’anni la dispersione scolastica in Italia è infatti diminuita allo stesso ritmo della media europea. La differenza sostanziale è che il livello iniziale dell’abbandono scolastico italiano era estremamente elevato (nel 1992 si sfiorava il 38%), soprattutto se confrontato con altri stati dell’Unione (la Svizzera non arrivava all’8% nel 1996). Con l’eccezione della Grecia, che ha visto una fortissima accelerazione verso il basso negli ultimi dieci anni, i paesi più virtuosi partivano da una situazione favorevole.
Le cause del problema sono molteplici e complesse, ma come ci spiega Bianca Chiesa (delegata nazionale al diritto allo studio dell’Unione degli Studenti), “si deve considerare anche e soprattutto dal punto di vista del benessere mentale degli studenti”. C’è infatti da domandarsi se una percentuale comunque così alta di dispersione scolastica in Italia non sia da ricondurre a una generalizzata situazione di disagio dal punto di vista della salute mentale, in un Continente in cui la percentuale di giovani e giovanissimi (età 10-19) che soffrono di patologie psicologiche si attesta ad un preoccupante 16,6% (Fonte: UNICEF) e in un contesto europeo dove tre giovani si tolgono la vita ogni giorno (ibidem).
Un elemento particolarmente interessante è quello della differenza tra i dati che interessano la popolazione scolastica femminile e quella maschile. Nonostante anche in questo caso ci sia una correlazione quasi perfetta fra l’andamento delle due curve: il numero di studenti maschi che abbandona gli studi è ogni anno superiore di circa il 5% sul totale rispetto alla quota femminile. Sarebbe improprio dare una spiegazione troppo netta a questo fenomeno, ma è importante sottolineare che la differenza del 5% fra popolazione maschile e femminile è quasi esattamente speculare nei dati Eurostat (Unemployment by sex and age – annual data 2020) sulla disoccupazione nella stessa fascia di età (15-24 anni, disoccupazione al 27,9% per i maschi e al 31,8% per le femmine). Questo dato apre la strada a due ordini di problemi: il primo sicuramente legato alle aspettative che un arcaico retaggio socio-culturale impone ai ragazzi che, investiti della responsabilità di “portare a casa il pane”, lasciano la scuola prematuramente per entrare nel mondo del lavoro il prima possibile; il secondo aspetto da considerare è che il fatto che sia così facile collegare l’abbandono scolastico all’entrata nel mondo del lavoro rende innegabile il legame che c’è fra l’abbandono scolastico e una situazione di disagio economico.
Un’ulteriore chiave di lettura si ottiene confrontando i dati Eurostat per macroregioni (NUTS – Nomenclature des unités territoriales statistiques) con quelli ISTAT raccolti su base regionale. Nonostante le differenze tra unità NUTS non siano certamente trascurabili (c’è ad esempio uno stacco di sei punti percentuali fra il Centro e le Isole), sono tutte inserite nella stessa fascia di incidenza (con l’eccezione virtuosa del Nord-Est).
La verità è però estremamente più complessa: se è vero che il Mezzogiorno è in generale più problematico del resto del Paese (il dato della Sicilia è il più alto d’Italia, al 19,4%), ci sono zone del Nord dove i dati sono estremamente preoccupanti. È il caso, ad esempio, della Provincia Autonoma di Bolzano, che si attesta sul 14,2%. La verità è che la realtà del problema è estremamente complessa, e come tale va analizzata. Secondo uno studio della Commissione Europea, sono i care leavers, le ragazze madri, i giovani con disabilità e coloro che hanno bisogni speciali, come migranti e membri di minoranze etniche ad andare più frequentemente incontro alla rinuncia agli studi.
Cosa si è fatto finora
A livello europeo, nel 2014 è stato fissato l’obiettivo del 10% di media europea da raggiungere entro il 2020. Il target è stato raggiunto (siamo ora al 9,9% in media), ma su 27 Paesi membri, sono in dieci ad avere medie significativamente superiori al target concordato, fra cui l’Italia, che si posiziona al ventitreesimo posto su ventisette, fra la Bulgaria e l’Islanda.
Con una Risoluzione del Consiglio Europeo, il 26 Febbraio di quest’anno è stato fissato un nuovo obiettivo del 9% da raggiungere entro il 2030.
Per raggiungerlo, il governo si è impegnato nel Pnrr a “sviluppare una strategia per contrastare in modo strutturale l’abbandono scolastico” (Missione 4, componente 1, Investimento 1.4). Le modalità scelte sono percorsi personalizzati, azioni di supporto per dirigenti scolastici, mentoring e formazione per i docenti, potenziamento del tempo scuola (tramite progetti) e “programmi e iniziative specifiche di mentoring, counseling e orientamento professionale attivo”. Quest’ultimo punto è particolarmente interessante perché dà degli orizzonti temporali di attuazione molto stretti, dato che prevedeva un progetto pilota da realizzare entro il primo semestre del 2021.
C’è stato ad aprile un incontro fra il ministro Bianchi e il FAST (Forum nazionale delle Associazioni Studentesche maggiormente rappresentative), a cui ne sono seguiti altri due. “Come al solito, ci sono state fatte molte promesse, dette molte parole, ma manca concretezza” ci dice Bianca Chiesa, che si lamenta del fatto che il problema della dispersione sia trattato in modo parziale e saltuario, senza mai proporre soluzioni realmente incisive. Lo stesso impegno del Pnrr a introdurre strumenti di “mentoring e counseling” non ha un riscontro fattuale nel nostro sistema scolastico. Un’attività come quella di aiuto psicologico, che potrebbe essere estremamente utile per combattere alla radice una delle cause della dispersione scolastica, risulta quasi totalmente inefficace all’atto pratico. “Gli sportelli psicologici, se presenti, sono disponibili per tempi molto brevi e con modalità proibitive,” continua Chiesa. “Nelle scuole di Milano, ad esempio, ci risulta si arrivi al massimo a tre ore alla settimana, in scuole con anche milletrecento studenti”. Le criticità nell’implementazione di attività di counseling, però, non si fermano qui: “Spesso il servizio è erogato di mattina, e questo è un problema non solo perché impedisce di seguire alcune lezioni, ma anche perché si va a danneggiare la privacy dello studente in difficoltà, costretto ad alzare la mano durante la lezione e a spiegare davanti alla classe che deve uscire per andare allo sportello psicologico. Visto che c’è ancora stigma verso chi si avvale di aiuti psicologici, questa situazione non può che ridurre l’efficacia del servizio”.
Per completare il quadro, c’è da considerare un ultimo elemento. Se è vero che con un Decreto Legge approvato il 6 Novembre scorso (DL 152/2021, da alcuni giornali chiamato PNRR 2) sono stati stanziati fondi considerevoli per la scuola, questi sono diretti quasi tutti alla messa in sicurezza degli edifici che ospitano scuole pubbliche. Sebbene l’edilizia scolastica abbia un impatto notevole anche sulla dispersione scolastica, poiché va a mitigare il fattore economico discusso anche in questo articolo, non si può non notare che non siano stati stanziati fondi per iniziative volte a ridurre direttamente l’abbandono scolastico, e che la spesa complessiva sia comunque inferiore alla media dei paesi europei. Non sono soddisfatti i sindacati, che sono in stato di mobilitazione da giorni a causa della mancanza di interventi sugli stipendi e sul personale scolastico, né le associazioni studentesche, che sono scese in piazza già venerdì 19 Novembre intonando lo slogan “non ci basta che non ci crolli il soffitto in testa”.