Una guida per diventare amici delle intelligenze artificiali

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Da quando l’Intelligenza Artificiale ha fatto il suo ingresso nella mia vita, ha reso facili molte cose che prima risultavano un po’ seccanti. Trovare immagini (e addirittura crearle da zero) per grafiche e contenuti, sistemare la sintassi dei miei articoli in inglese e aggiungere emoji carine ai copy per i social media. Sono piccole cose, ma che prima mi facevano perdere molto tempo.

Il problema? Quando dico ai miei amici, familiari o colleghi che uso ChatGPT per migliorare il mio lavoro, mi guardano come se stessi imbrogliando, come se fossi alleato del nemico. 

Io non l’ho mai vista come una minaccia (per me è una Lei), anzi, fin dall’inizio l’ho considerata una compagna fedele.

In principio era ChatGPT (ed. Apogeo Editore, 2023) di Mafe de Baggis e Alberto Puliafito mi ha ispirato subito dal titolo. Leggendolo, mi sono sentita capita, compresa e spronata a fare ancora di più grazie a queste tecnologie.

Questo libro è più di uno strumento; è una guida pratica che aiuta a orientarci meglio nel nostro mondo dopo l’avvento di ChatGPT. 

Gli autori non solo sono a favore dell’AI, ma ne promuovono l’utilizzo in vari settori, la vedono come un generatore alternativo di idee e si battono contro chi vorrebbe mettere dei limiti. 

Nel libro vengono toccati parecchi argomenti, di natura pratica, storica e legale. Viene data risposta a molte domande comuni sull’IA, fornendo spunti per rispondere a chi è ancora dubbioso di questi strumenti e sfatando alcuni miti.

Eccone alcuni:

Quando vi dicono che le AI ci ruberanno il lavoro, voi non credeteci. Leggendo il libro, vi libererete dall’incubo della minaccia dell’AI come sostituzione di tutti i lavori attualmente fatti dagli umani. Gli autori, con esempi pratici, vi spiegano che queste macchine sono al nostro servizio da tempo, anche se ne abbiamo riconosciuto il potenziale solo recentemente, ovvero quando hanno iniziato a svolgere delle attività che riteniamo prettamente umane, come scrivere o disegnare. 

Insomma, sì, è vero che le AI  potrebbero sostituire alcuni lavori, ma allo stesso tempo ne stanno creando di nuovi. L’effetto che avranno dipenderà da quanto rapidamente noi umani ci metteremo ad adottare queste tecnologie e da quanto saremo bravi a sfruttarle. Nell’ultimo capitolo, infatti, c’è una piccola guida su come usare queste macchine per affrontare compiti lavorativi e di tutti i giorni.

I giovani continueranno a pensare, anche se usano l’AI 

Nel libro si parla di come l’intelligenza artificiale possa diventare un alleato nell’ambito educativo: gli autori puntano sull’integrazione consapevole delle AI nelle scuole per migliorare il processo di apprendimento, sfidando l’idea di bandirle completamente. Vengono analizzati anche i concetti di conoscenza e intelligenza, mettendo in discussione alcune dinamiche di pensiero umane che sembrano sorprendentemente simili a quelle delle macchine e che si basano sulla probabilità di distribuzione di parole o sequenze di parole.
Anche noi umani generiamo testi seguendo regole grammaticali, sintattiche, stilistiche e semantiche apprese in precedenza. Scriviamo ciò che sappiamo, e se lo abbiamo imparato da fonti discutibili, finiamo per ripetere banalità o una versione semplificata della realtà”. 

Il nostro cervello non si atrofizzerà, ma forse il nostro cuore si allenerà di più
Spesso ci preoccupiamo della conoscenza delle AI, di quanto dimostri più competenze rispetto a noi umani, trascurando il fatto che ChatGPT possiede capacità intrinsecamente umane che però abbiamo smesso di praticare, come l’apprendimento, la gentilezza, la capacità di riconoscere gli errori, e il beneficio del dubbio (spesso risponde, in maniera molto onesta, con “Non lo so”, “Non “si sa”, “Non ci sono informazioni”, “Non posso esprimermi”).
Nel libro c’è una citazione di Minouche Shafik che mi ha colpito: “In passato si lavorava con i muscoli, oggi con il cervello, ma in futuro con il cuore.”

Sebbene in passato non ci sia stata resistenza nel delegare il lavoro muscolare pesante alle macchine, non ci siamo posti il problema dello smettere di utilizzare il cuore, che è anch’esso un muscolo. Se le AI dovessero sostituire il cervello umano, potremmo essere spinti a utilizzare di più il cuore, i sentimenti e le emozioni per svolgere compiti lavorativi in modo più efficace. 

Ci renderanno la vita più facile. Non fate i falsi nostalgici del “si stava meglio ai miei tempi
Andando contro a tutti i commenti da boomer del “ai miei tempi senza internet e telefonini si stava meglio”, gli autori spiegano che negli anni in cui non c’era internet, i social media e i telefonini, il mondo in cui vivevi coincideva con la realtà fisica intorno a te, era vincolato a dove ti trovavi e quindi avevi poche scelte e poche possibilità. Prima della diffusione di Internet, il mondo era scomodo, per trovare informazioni ci mettevi tempo e soldi, (avete presente quando vostra mamma dice “ai miei tempi le ricerche le facevamo sulle enciclopedie?” ecco pensate a chi non poteva permettersele). Seppur possa sembrare romantico, era un mondo molto faticoso, costoso, aperto a pochi. Pensate a come internet ci ha cambiato la vita, a come il mondo prima fosse più lento e poco produttivo, semplice solo per chi aveva una carriera già consolidata. Esattamente come i social media e internet, le AI sono un problema o un vantaggio per tutti. Ci cambieranno la vita, creeranno alcuni problemi, ma saranno un vantaggio. 

Vedetela come un assistente personale piuttosto che un nemico

Gli autori spiegano in maniera simpatica che le AI come Chat GPT assomigliano molto di più ai robot di Star Wars che ai Terminator, poiché non sono software che svolgono compiti da soli, ma lo fanno con noi e per noi.

“Queste macchine sono tecnologie di collaborazione, non di scrittura o di creazione. Sono assistenti, non concorrenti. Generano semilavorati, non contenuti finiti. Se stai valutando di sostituire redattori, copywriter o social media manager, pensaci due volte: non perché i modelli linguistici non siano all’altezza degli umani, ma perché giocano in un ruolo diverso” scrive l’autore, Alberto Puliafito.

Queste macchine lavorano un po’ come un assistente, che se stimolato migliora la prima bozza, raffina un’idea, ne trova di nuove, la cambia. Le intelligenze artificiali ci aiuteranno a fare sempre meglio, ad aumentare la nostra creatività, a migliorare i nostri output.

Ci sono nuovi termini che dobbiamo imparare, tipo “sintografia” o “deepfake”

Fin dall’inizio dell’anno, abbiamo assistito alla proliferazione di immagini manipolate, create dalle Intelligenze Artificiali per alterare la rappresentazione della realtà (pensate alla foto del Papa con il Monclaire).
A partire dal 2023, tali immagini e video falsi sono comunemente noti come “deepfake”, ma gli autori evidenziano come questo termine possa portarci a concentrarci esclusivamente sugli aspetti negativi di tali creazioni, trascurando le potenzialità positive. Un termine alternativo per questo genere di contenuti è “sintografie”.

Secondo gli autori, questa manipolazione delle immagini potrebbe presentare notevoli sfide per gli storici del futuro, chiamati a gestire un processo di verifica dei fatti senza precedenti. Ma è importante anche notare che, nonostante la recente rilevanza, i deepfake non rappresentano una novità assoluta, avendo avuto origine già nel 2019 con siti come ‘https://thispersondoesnotexist.com/‘. 

Il copyright va ripensato

Nell’era delle AI, il copyright va ripensato. Queste macchine generano opere sintetiche basate su dati di addestramento provenienti da migliaia o milioni di creazioni umane, sollevando quindi questioni sulla violazione del copyright e sull’equa compensazione per gli artisti il cui contributo forma il “cervello” (chiamato “addestramento”) della macchina. Attualmente, il Parlamento Europeo sta esplorando nuove licenze e processi creativi per affrontare le sfide poste dalle creazioni con l’uso dell’AI. 

Nel frattempo, possiamo dedicarci a studiare e comprendere alternative al copyright, come il public domain, i creative Commons, open access e open data.

Gli autori spiegano che, ancor prima dell’avvento delle Intelligenze Artificiali, era difficile stabilire se un’opera fosse completamente originale o un remix di fonti precedenti.
Per cui, la critica degli abusi delle Intelligenze Artificiali sul diritto d’autore non dovrebbe necessariamente tradursi nella richiesta di un blocco totale di queste tecnologie, ma piuttosto dovrebbe orientarsi verso la ricerca di soluzioni più trasparenti ed etiche. 

Quando leggete notizie allarmistiche sulle AI, potrebbe essere un modo per evitare la democratizzazione di queste macchine

“Se riusciremo a garantire un accesso democratico e inclusivo a queste macchine, il livello medio di conoscenza dei vari settori dello scibile si alzerà: aiuteranno anche chi ha meno competenze. Magari è qualcosa che ti fa paura o magari, come nel nostro caso, ti piace molto” dicono gli autori.

Le Intelligenze Artificiali potrebbero avere l’effetto di rendere il nostro mondo notevolmente più democratico, ma c’è anche il rischio che diventino un fattore amplificante delle disuguaglianze sociali e del divario digitale. Una delle sfide principali consiste nell’aprire queste tecnologie, rendendole libere, riutilizzabili e ispezionabili, seguendo l’esempio di Open Assistant, che fornisce trasparenza sulle fonti utilizzate e permette agli utenti di contribuire al suo miglioramento.

Fra i tanti risultati che potremmo ottenere con queste macchine, forse potremmo addirittura scardinare la visione paternalistica ed eroica del sapere, del saper fare, del creare, dell’arte e della cultura, persino quella della scienza. Forse, in altre parole, potremmo togliere di mezzo la visione gerarchica e violenta che ha dominato per almeno un paio di secoli il mondo e che ci ha fatto credere di essere l’unica alternativa possibile.
E pensare che, in principio, era solo ChatGPT”.

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