Fake news, la sconfitta degli influencer: «I giovani non si fidano più»

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In occasione del Safer Internet Day, l’11 febbraio, abbiamo intervistato Antonella Inverno, responsabile delle politiche per l’infanzia e dell’adolescenza presso Save The Children, autrice di uno studio sulla partecipazione civica dei ragazzi in rete.

In quale modo è stata condotta l’indagine?

Sono stati fatti sia dei focus group andando direttamente nelle scuole ad intervistare i ragazzi, sia un survey online (sondaggio di ricerca, ndr) promosso tramite Instagram, che sappiamo essere il social network più usato dai ragazzi. Ci sono state 1650 risposte al questionario e i risultati sono stati abbastanza interessanti.

Dal suo report emerge che i social sono lo strumento più utilizzato dai giovani per informarsi, per fare attività politica e civile. Questo non rischia di produrre movimenti superficiali?

Solo un ragazzo su dieci confina il suo attivismo alla dimensione online. I restanti passano dai computer alla vita reale, alle piazze, alle mobilitazioni concrete. Sappiamo bene che la rete può nascondere tanti rischi e insidie per i giovani, ma dobbiamo anche iniziare a capire quali sono le potenzialità che ha per informare e per mobilitare milioni di giovani. Per esempio, una ragazza che viene da un’altra nazione e che ha partecipato ad uno dei nostri focus group ci ha detto che avrebbe pochissime informazioni sul suo paese di origine senza il web. Com’è ovvio, però, i temi devono interessare i ragazzi, altrimenti si sfocia nel cosiddetto “attivismo pigro”, il like fine a sé stesso. I temi che interessano di più i ragazzi, come emerge dal nostro sondaggio, sono l’ambiente, le discriminazioni, il bullismo, l’immigrazione. Il rischio più grande su internet è rappresentato dalle fake news. Come esito della nostra ricerca consigliamo di includere nella tradizionale educazione civica anche una parte di educazione civica digitale, ovvero come riconoscere, mediante il pensiero critico, le informazioni che arrivano in gran numero dalla rete.

I giovani generalmente credono alle fake news?

Secondo quanto rilevato mediante i focus group, i ragazzi hanno già diversi metodi per effettuare un check sulle notizie che leggono in rete: c’è chi cerca più fonti, c’è chi si basa sull’autorevolezza dell’origine della notizia. In generale nessuno dei ragazzi intervistati tende a fidarsi dei cosiddetti influencer. Il governo, in merito a questo, ha stanziato fondi per le scuole medie per favorire l’acquisto di giornali cartacei o abbonamenti online, proprio per imparare anche a scuola a leggere un giornale.

Oltre a questo intervento ci sarebbero altri metodi che l’istituzione scolastica può adottare per favorire un corretto utilizzo di internet da parte degli studenti?

Sicuramente noi, mediante questo sondaggio, abbiamo avuto la conferma che la scuola rimane uno dei canali più importanti per quanto riguarda il coinvolgimento attivo dei ragazzi. Molti di loro vengono a conoscenza di tematiche di interesse e mobilitazioni attraverso progetti o attività scolastiche. Chiaramente, come dicevamo prima, è fondamentale che la scuola insegni ai ragazzi anche come navigare in internet non solo con le cosiddette competenze digitali ma anche mediante l’apprendimento delle “soft skills”, ovvero la capacità di leggere e interpretare un’informazione e tirarne fuori un punto di vista proprio.

Che ruolo svolge la famiglia nel passaggio dall’ “attivismo pigro” all’attivismo vero e proprio?

Non è un ruolo fondamentale. Non c’è alcuna connessione diretta tra l’avere i genitori impegnati in una forma di attivismo e l’impegno del ragazzo in prima persona, tuttavia ne aumenta la probabilità. Questa relazione, soprattutto con la madre, è provata in molti altri campi, anche rispetto al titolo di studio della madre e alle competenze dei ragazzi. Sicuramente i genitori rimangono le principali figure adulte di riferimento.

A fronte di questo studio, crede che le istituzioni tradizionali abbiano bisogno di “svecchiarsi” o che il modo di far politica stia totalmente cambiando e queste risultino antiquate?

Questa è una domanda molto complessa. Quello che si studia ci dice che gli intermediari tra la popolazione e i decision maker, ovvero i gruppi, i partiti e le associazioni, stanno soffrendo. Detto questo, la politica è già cambiata molto. È una politica molto strillata, fatta di slogan e sui social. Questo da un lato vuol dire che è necessario fare un passo avanti da parte di chi fa politica, ma dall’altro che bisogna anche guardare indietro verso un sistema di valori che fonda poi l’appartenenza a un determinato gruppo o meno. Ad oggi sembra quasi che si stia in un gruppo o nell’altro in base alla possibilità di vittoria.