Disinformazione e Medio Oriente: Iran vittima di fake news da anni
“L’Iran ha mentito. Punta a dotarsi di almeno 5 ordigni nucleari analoghi a quelli utilizzati su Hiroshima” tuonò – a fine aprile 2018, in un programma televisivo – Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano. Dichiarazioni riprese da ogni media a livello internazionale. Arrivarono, non a caso, in un momento delicato: il 12 maggio il presidente degli Stati Uniti Donald Trump avrebbe dovuto decidere se rinnovare o meno l’accordo sul nucleare iraniano che Barack Obama firmò nel 2015.
Da sempre scettico a riguardo, il presidente Trump reagì alle dichiarazioni del premier israeliano con un tweet: “Questo dimostra che avevo ragione al 100%”. Il 12 maggio gli Stati Uniti annunciarono il ritiro dall’accordo.
Il primo ministro Netanyahu, a sostegno delle sue dichiarazioni, affermò che l’intelligence israeliana era venuta in possesso di un archivio di documenti segreti iraniani, le prove dello sviluppo del nucleare in ambito militare che stava preparando l’Iran.
Le istituzioni iraniane provarono a smentire nell’immediato, ma il danno ormai era stato fatto: l’Iran fu rappresentato pubblicamente come minaccia internazionale.
Questa vicenda è il simbolo della disinformazione che da anni sta colpendo l’Iran. Non fu nient’altro che una mezza verità a servizio della disinformazione governativa israeliana: i documenti erano veri, ma datati e precedenti agli accordi diplomatici, pertanto non corrispondenti alla realtà di allora. Ironia del caso vuole, inoltre, che la morale arrivava da una potenza nucleare che – a differenza dell’Iran – non aderisce al Trattato di non proliferazione nucleare.
Una fake news che ha avuto conseguenze geopolitiche ed economiche.
Le presunte velleità nucleari iraniane, denunciate da Israele e Stati Uniti, hanno minato la ripresa economica dello stato e avviato una campagna di disinformazione nei confronti dell’Iran.
L’Iran è un paese complesso, intessuto di contraddizioni: arretratezza e modernità convivono. La complessità che lo caratterizza va compresa alla luce delle conseguenze che si trascina addosso dalle due rivoluzioni del secolo scorso, quella costituzionale del 1906 e quella islamica del 1978-79 e alla luce della sua cultura antica e multiforme.
La popolazione dell’Iran è da sempre multietnica: attualmente convivono i persiani – che sono poco più della metà della popolazione -, gli azeri di origine turca, i curdi arrivati in massa negli anni ’90 ed altre etnie. È un paese ospitale, tra i primi per accoglienza di rifugiati.
L’Islam sciita duodecimano è religione di Stato e il proselitismo è vietato. Nonostante tale divieto è uno Stato tollerante che riconosce la libertà di professare la propria fede, libertà tutelata anche grazie ai seggi in parlamento che hanno quote riservate per le religioni in minoranza. La forza propulsiva dell’Islam è la Jihad, tradotta spesso ed erroneamente dai media occidentali come “guerra santa” e che invece significa “sforzo”, da intendersi “sulla via di Dio” con obiettivo il miglioramento del credente. Uno sforzo che può realizzarsi in terrorismo e guerre così come nell’arte o nella ricerca scientifica. Quest’ultima vede l’Iran in prima linea, soprattutto in materia di medicina e ingegneria. Una nota stonata risiede nel sistema giudiziario che ha come fine esclusivo la punizione dei reati e non la rieducazione dei cittadini, è ancora in vigore la pena di morte.
Alcuni pregiudizi occidentali, frutto di rappresentazioni mediali semplicistiche, vedono l’Iran come uno Stato repressivo in cui, per esempio, il livello di istruzione generale è molto basso. L’Iran è invece uno dei paesi medio orientali con il tasso di alfabetizzazione più elevato. È prevista l’obbligatorietà e la gratuità del sistema scolastico fino alla scuola secondaria inferiore e il ciclo superiore della scuola secondaria, pur non essendo obbligatorio, rimane gratuito presso le scuole pubbliche.
Il sistema universitario è ampio ed efficiente e, in una minoranza di università, anche alle donne è consentito l’accesso ad alcuni corsi.
Il sistema scolastico iraniano è stato più volte vittima di fake news, che spesso trovano terreno fertile sui social. Una di queste, emblematica della visione dei media occidentali, girò su Youtube e venne ripresa dagli altri social: un video intitolato “2+2=5 Iranian short film” nel quale vi è una classe di studenti a cui il maestro vuole inculcare il concetto che 2+2 fa 5 e che si scaglia contro un alunno che cerca di contraddirlo. Un video che stigmatizza la scuola iraniana diffondendo una realtà non corrispondente ai fatti.
L’Iran è tuttora vittima di disinformazione, tra le più recenti fake news vi è una notizia lanciata dal Washington Post e ripresa da diverse testate italiane: vi sono fosse comuni per le vittime del Coronavirus al cimitero di Behesht-e Masoumè di Qom, ilprimo focolaio del paese. Notizia supportata da presunte immagini satellitari del cimitero, a dimostrazione del fatto che le vittime di Coronavirus in Iran siano più di quelle comunicate dalle istituzioni. L’agenzia iraniana internazionale Pars Today e i responsabili del cimitero hanno smentito che quelle foto fossero fosse comuni, portando giornalisti iraniani all’interno. Fake news di questo tipo intensificano l’isolamento dell’Iran, voluto in particolar modo dal presidente Donald Trump che, in questa emergenza sanitaria, continua ad attuare sanzioni sulla vendita di medicine all’Iran.
La disinformazione mainstream rischia di dare vita a un concorso unanime di condanna nei confronti dell’Iran.
Tra le più grandi contraddizioni che vive l’Iran vi è la questione petrolifera: è tra i paesi con più riserve di greggio e tra i principali esportatori, ma è strangolato finanziariamente dalle sanzioni e restrizioni statunitensi.
Il mercato del petrolio è una miniera straordinaria e la sua produzione non è destinata a esaurirsi, perché allo svuotarsi dei pozzi corrisponde la capacità tecnologica di trovarne altri e perché l’energia alternativa non ha la copertura dei poteri globali per affermarsi come dominante. Rassicurante per alcuni interessi economici occidentali, ma non per l’Iran e più in generale per il Medio Oriente. Finché il petrolio non sarà affiancato in egual misura da altre energie non ci sarà pace e la disinformazione continuerà a modellare la realtà a sostegno di alcune scelte, continuando a far percepire come canaglia uno Stato che è invece preda di interessi economici e narrazioni spesso disoneste.
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