L’evoluzione della guerra in Libia spiegata ai non addetti ai lavori
La situazione in Libia ha assunto un assetto geopolitico che sta influenzando, oltre all’area del Mediterraneo, anche l’intero panorama internazionale. Nell’articolo Libia, gli scenari futuri raccontati dal fotoreporter Valerio Nicolosi abbiamo analizzato come potrebbe evolversi la situazione da qui in avanti, considerando l’intervento sempre di più potenze straniere nel conflitto. Ma come si è arrivati storicamente a questa divisione che è all’apice della guerra?
Ripercorriamo gli avvenimenti che hanno portato alla situazione attuale:
2011: caduta del regime di Muammar Gheddafi.
Gheddafi, al comando dal 1969, nella sua drammatica e controversa dittatura riuscì a far emergere la Libia come attore fondamentale dell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente. Diventando “Guida e Comandante della Rivoluzione” impose un socialismo nazionalista che, grazie alle numerose rendite dovute alle risorse petrolifere sul territorio, contribuì ad arricchire il paese.
L’Italia e Gheddafi hanno sempre avuto buoni rapporti, grazie agli accordi per lo sfruttamento delle risorse, benchè il dittatore fosse nella lista dei potenziali nemici degli USA. Il Generale fu infatti ucciso dalle forze NATO il 21 ottobre del 2011, nello stesso anno d’inizio della prima guerra civile libica che sconvolse il paese.
2011-2014: Le fratture nel paese
Nonostante il coinvolgimento della NATO nelle operazioni militari per liberare la Libia dalla dittatura, il paese dopo il 2011 fu lasciato a sé stesso, creando un contesto violento e tumultuoso, senza un potere centrale concreto e senza forze di Polizia che potessero bloccare l’avanzata di gruppi jihadisti sul territorio.
Ci furono vari tentativi nel ridare alla Libia un assetto democratico (come le elezioni del 2012), ma i partiti islamisti, come i “Fratelli Musulmani”, riuscirono comunque a prendere il controllo del parlamento eletto, imponendo le loro ideologie di un islam politico come guida della società. Questo creò un nuovo malcontento generale nel paese, ma soprattutto un immobilismo politico che permise l’avanzata dei gruppi jihadisti che costruirono un Califfato a poche centinaia di chilometri dall’Europa.
2014: Haftar contro l’ISIS e la divisione nel paese
Nel 2014 entra in scena Khalifa Haftar, un generale che, già dopo la morte del dittatore Gheddafi, aveva acquisito popolarità nell’est del paese (nella regione della Cirenaica) grazie alla sua ambizione di eliminare del tutto la piaga del terrorismo nella regione.
Haftar minacciò pubblicamente un colpo di Stato, con l’obiettivo di allontanare quelli che, secondo lui, erano i principali destabilizzatori del paese, ossia i membri della fratellanza musulmana. Tuttavia, il governo rimase in carica, per cui il generale tentò di mettere insieme alcune milizie ed alcuni gruppi armati, fondando un vero e proprio esercito, quello che pochi anni più tardi diventerà noto con il nome di Libyan National Army. Con l’intento di liberare le principali città dell’est della Libia (Bengasi, Dema e altri centri importanti della Cirenaica) dalla presenza islamista, lanciò anche una serie di offensive militari note come Operazione Dignità.
A metà del 2014 ci furono finalmente le nuove elezioni volute da Haftar, grazie alla minaccia del colpo di Stato; dal voto popolare venne eletto un nuovo parlamento, la Camera dei Rappresentanti, che si sposta per motivi politici da Tripoli a Tobruch, una città costiera nella Cirenaica, entrando quindi in contatto con l’esercito di Haftar e garantendosi la sua protezione militare.
Intanto la vecchia maggioranza islamica che fu sconfitta dalle nuove elezioni, si riunì nuovamente a Tripoli autoproclamandosi parlamento legittimo, proclamando un nuovo presidente e un nuovo primo ministro. La Libia quindi si ritrovò divisa in due: da una parte c’era il governo presieduto dalla Camera dei Rappresentanti, regolarmente eletto e con sede in Cirenaica che godeva dell’appoggio militare di Haftar e dall’altra un governo islamico autoproclamato a Tripoli, che aveva l’appoggio di gruppi armati e milizie islamiche.
2015: Il risveglio dell’Occidente tra terrorismo e migrazioni
Nel 2015 la comunità internazionale si pose come obiettivo la promozione di un governo unitario libico, unica soluzione per arginare terrorismo e immigrazione, ma soprattutto per fermare le divisioni interne nel paese che avevano provocato una seconda guerra civile.
A ottobre le due fazioni libiche, il parlamento di Tobruch e i membri del Congresso di Tripoli, insieme ad attori internazionali e l’Onu, si ritrovarono in Marocco per trovare una strada alla pacificazione del paese. Venne indicato il nome di il nome di Fayez Al-Sarrāj per l’incarico di primo ministro del nuovo governo libico, riconosciuto all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Serraj formò il suo governo, il GNA o governo di accordo nazionale, che però non ottenne la fiducia della Camera dei Rappresentanti, di Tobruch, che da qui in poi, grazie anche alla potenza militare di Haftar, si schiererà sempre in competizione con il governo di Tripoli sia per il controllo e l’esportazione del petrolio libico (risorsa importante e fondamentale del paese) sia per le offensive contro l’ISIS.
2016-2017: la debolezza del governo di al-Serraj
Uno dei primi atti del governo di Fayez Al Sarraj fu quello di richiedere l’aiuto internazionale per allontanare l’ISIS dalla Cirenaica. Nonostante molteplici successi ottenuti in queste offensive nel corso del 2016, ben si intuì che il premier libico non disponeva di proprie forze e che dovette ricorrere ad aiuti esterni per il controllo del territorio. Il Governo di Accordo Nazionale di Serraj, infatti, non riuscirà mai a rafforzare la propria autorità, soprattutto a causa del mancato appoggio da parte del generale Haftar, che a differenza del primo ministro, grazie al Libyan National Army e alle alleanze con potenze che volevano debellare l’ISIS, portò avanti la sua operazione dignità e riuscì a riunificare l’est della Libia.
Haftar e il parlamento da lui protetto non riconosceranno mai la legittimità del governo stanziato dall’ONU, sia per l’incapacità di Fayez Al Sarraj di controllare lo stesso territorio della capitale, costringendo il suo governo ad utilizzare svariati gruppi di miliziani in tutta la Tripolitania, sia per i presunti legami del primo ministro con i Fratelli musulmani. Questi legami furono anche confermati dall’alleanza di Serraj con Qatar e Turchia, principali finanziatori dell’organizzazione islamista.
2018: La divisione interna e la strada diplomatica
All’alba dell’inizio del 2018, la Libia e i vari alleati internazionali sono così suddivisi:
- Il governo legittimo stanziato dall’Onu di Al-Serraj e il GNA, con sede a Tripoli, appoggiato dalla comunità internazionale e diplomaticamente dall’Italia (interessata alla diminuzione delle migrazioni tramite accordi con Tripoli) dal Qatar e dalla Turchia.
- Haftar e il suo esercito, il Libyan National Army (LNA) che controlla la Cirenaica (con sede prima a Tobruch e poi a Bengasi) e supportato da Russia (che ha avuto così l’occasione di avvicinarsi economicamente e militarmente all’Europa), Francia (che vede in Haftar un paladino per l’eliminazione del terrorismo), Egitto (alleato per combattere l’ISIS) ed Emirati Arabi Uniti (per interessi petroliferi).
- Il Fezzan, area a sud della Libia, caratterizzata dalla presenza di numerose tribù e confraternite, nonché di milizie armate, che si contendono il controllo delle rotte commerciali, migratorie e dei giacimenti petroliferi.
2019: L’offensiva di Haftar
Nonostante le numerose conferenze per arrivare ad un accordo diplomatico di risoluzione della divisione in Libia, in cui i due leader hanno più e più volte dichiarato di voler collaborare, l’escalation di scontri e violenze è sfociato ben presto in un vero e proprio conflitto armato tra le due parti.
Ad aprile del 2019 le truppe del generale Haftar hanno iniziato ad avanzare verso ovest, portandosi a meno di cento chilometri da Tripoli, con l’obiettivo della conquista militare della capitale libica. Lo scontro aperto fra le due fazioni è stato immediato: il GNA ha arrestato l’avanzata nemica con bombardamenti aerei, mentre l’ONU ha richiesto il cessate il fuoco di entrambe le parti.
La guerra ben presto però è entrata in una decisa fase di stallo, poiché da entrambe le parti c’era una mancanza di forza di prevaricazione sull’altro.
Le carte in tavola cambiano solo con l’ingresso in Guerra della Turchia a fianco di Al-Serraj, grazie ad un accordo militare e marittimo siglato a novembre 2019, in cui sono riconosciuti alla Turchia diritti di sfruttamento esclusivo di aree petrolifere nel Mediterraneo al largo di Cipro e Creta.
Negli ultimi giorni dell’anno, il generale Haftar ha lanciato un nuovo assalto alla capitale, dichiarato come la “battaglia finale” per il controllo di Tripoli, mentre il GNA si è dichiarato pronto a respingere l’ennesimo tentativo di conquista.
2020: La Turchia diventa l’ago della Bilancia
L’invio formale delle truppe Turche all’inizio del 2020 cambia radicalmente lo scenario attuale, poiché Haftar, che fino a quel momento era dato per favorito e in procinto di conquistare l’intero controllo sulla capitale, viene costretto a indietreggiare.
I tentativi della comunità internazionale di creare un embargo delle armi, come risoluzione dopo la Conferenza di Berlino del gennaio 2020, sono stati insignificanti, e secondo i rapporti di Amnesty International entrambi i fronti schierati in Libia sono complici di crimini di guerra.
L’inviato speciale dell’ONU nel Paese ha deciso di lasciare il suo incarico a marzo di quest’anno, mentre anche all’interno della NATO i protagonisti, soprattutto Francia e Turchia, si continuano ad ostacolare fra loro.
Intanto la battaglia frontale, da Tripoli si è spostata verso est (a Sirte) coinvolgendo sempre di più la Russia e l’Egitto.
Con lo spostamento della battaglia sono così riprese le partenze dei migranti dalla capitale, che grazie a questo stallo dei combattimenti possono essere trasportati più agilmente dai trafficanti. Ma di questo, ve ne abbiamo già parlato nell’articolo Libia, gli scenari futuri raccontati dal fotoreporter Valerio Nicolosi.