Haiti, una crisi che viene da lontano / prima parte
In questo articolo avevamo ricostruito l’ultimo decennio della storia di Haiti, i cui punti salienti sono il terremoto del 12 gennaio 2010, l’epidemia di colera, quella di COVID-19 e il terremoto dello scorso 14 agosto, per comprendere quanto sia complessa la situazione di questo Paese. Attualmente gli sforzi per la messa in sicurezza delle strutture si legano a quelli volti a contrastare l’inflazione e la scarsità dei beni di prima necessità; mentre i cittadini haitiani devono anche fare i conti con i risultati di anni di instabilità politica e con il crescente potere che si accentra progressivamente nelle mani delle tante bande criminali attive nel Paese.
La dittatura dei Duvalier: Papa Doc e Baby Doc
Nel 1957, ad Haiti si tennero le prime elezioni a suffragio universale vinte da François Duvalier detto Papa Doc. Sebbene la Costituzione della Repubblica di Haiti non permettesse di ricoprire la carica di Presidente per due mandati consecutivi, nel 1961 Duvalier vinse di nuovo le elezioni. Secondo quanto riportato dal New York Times, 1,320,748 cittadini haitiani votarono a favore di una seconda presidenza Duvalier e nessuno contro. Nel 1964, con un Referendum il cui esito venne fortemente pilotato, Duvalier venne “eletto” Presidente a vita con il 99.9% dei voti favorevoli. Per anni Duvalier mantenne il potere e il controllo sulla popolazione servendosi del suo corpo di polizia segreta, i Volontari per la Sicurezza Nazionale (conosciuti anche come Tonton Macoutes). Nel corso degli anni questo corpo di polizia attirò numerose critiche a causa dei metodi violenti utilizzati contro oppositori e avversari politici del Presidente. Così facendo, Duvalier instaurò una sorta di regime del terrore e cercò di imporre il culto della propria personalità, in parte anche attraverso la strumentalizzazione della cultura vudù.
Nello stesso anno, il gruppo Jeune Haiti, composto da 13 haitiani espatriati a New York, provò a rovesciare il regime di Papa Doc, anche seguendo l’esempio cubano delle forze rivoluzionarie di Fidel Castro. Le milizie di Duvalier, però, uccisero in breve tempo tutti e 13 i membri del gruppo. Dopo aver scoperto che la maggior parte dei ribelli erano originari della città di Jérémie, roccaforte dell’opposizione al regime dittatoriale, Duvalier fece anche sterminare diverse famiglie del luogo.
Alla morte di Papa Doc nel 1971, gli successe il figlio diciannovenne Jean-Claude Duvalier, detto Baby Doc, che “ereditò” dal padre la carica di Presidente a vita. Il regime di Duvalier figlio inizialmente sembrò più tollerante e distensivo rispetto a quello del padre, ma restò comunque un regime autoritario e repressivo nei confronti degli oppositori e della libertà stampa. Per queste ragioni e anche a causa dell’aggravarsi delle difficoltà economiche, nel 1986 una rivolta popolare lo costrinse ad abbandonare la presidenza del Paese e a fuggire in Francia. Il movimento popolare che rovesciò il regime era sostenuto dalla comunità cattolica locale che auspicava un miglioramento delle condizioni di vita e promuoveva un progetto di avanzamento del livello di istruzione del popolo haitiano. Questa posizione venne rafforzata dalla visita di Papa Giovanni Paolo II nel 1983, che sostenne il processo di cambiamento promosso dalla chiesa locale.
Il periodo di Aristide al potere
Nel 1990, Jean-Bertrand Aristide venne eletto Presidente ed entrò in carica nel febbraio dell’anno successivo. A settembre dello stesso anno, Aristide fu destituito con un colpo di Stato e riparò prima in Venezuela, poi negli Stati Uniti. Per i 3 anni seguenti il Paese fu sotto il controllo di una giunta militare e si susseguirono 3 capi di Stato ad interim.
Aristide tornò a ricoprire la carica istituzionale nel 1994 a seguito di alcune pressioni internazionali e grazie soprattutto all’appoggio del governo statunitense. Tra i primi suoi provvedimenti ci fu lo scioglimento dell’esercito, che venne sostituito da un corpo di polizia. La decisione fu accolta favorevolmente dal popolo. Aristide portò a compimento il proprio mandato nel 1996 e venne rieletto nel 2000, dopo l’intervallo di tempo in cui a ricoprire la carica fu René Préval, già primo ministro durante l’ultima presidenza di Aristide.
A febbraio del 2004, a seguito di numerose proteste e disordini, Aristide fu nuovamente deposto da un gruppo di ribelli, il Front pour la Libération et la Reconstruction Nationales, che si diede questo nome proprio nel momento in cui il piano del colpo di Stato iniziava a prendere una forma più concreta. Gli Stati Uniti intervennero nuovamente, inviando le proprie forze armate nel Paese. Il governo di transizione che si instaurò, con a capo Boniface Alexandre, era appoggiato da Stati Uniti, Canada e Francia.
Le nuove elezioni presidenziali furono nuovamente vinte da Préval, che fu Presidente della Repubblica di Haiti dal 2006 al 2011.
La presidenza di Martelly e quella di Moïse
Il clima delle elezioni del 2010 fu particolarmente agitato, anche perché – almeno inizialmente – non sembrava ci fossero candidati adatti a ricoprire la massima carica istituzionale in un momento in cui il Paese doveva affrontare le conseguenze del terremoto di inizio anno. La maggior parte dei candidati al primo turno delle elezioni, che si erano svolte nel caos della disorganizzazione e delle proteste popolari, chiesero l’annullamento delle stesse, muovendo l’accusa di brogli elettorali. Nessuno dei candidati raggiunse il 50% dei voti al primo turno, dunque, furono Jude Celestin – (sostenuto dal Presidente uscente) – e Mirlande Manigat a passare al ballottaggio del 16 gennaio 2011. Il risultato delle elezioni provocò un’altra ondata di violente proteste: il nome di Celestin non era gradito ai manifestanti, che sostenevano Michel Joseph Martelly e chiedevano venisse ammesso al ballottaggio al posto di Celestin. Il ballottaggio, posticipato a febbraio 2011, fu vinto da Martelly che era stato ammesso al posto di Celestin dopo il riconteggio dei voti del primo turno delle elezioni. Martelly godeva di una certa fama tra la popolazione grazie alla sua professione di musicista, ma riuscì a convincere il popolo con il suo programma politico semplice: voleva a risanare il Paese dalle difficoltà sorte dopo il terremoto e lasciarsi alle spalle anni di instabilità politica. A gennaio 2015, il Parlamento venne sciolto in seguito al fallimento del tentativo di trovare un accordo per estendere il mandato dei parlamentari finché non si fossero tenute nuove elezioni. Ad Haiti, infatti, non si tenevano elezioni politiche da tre anni. Già dagli ultimi mesi del 2014, la popolazione aveva avviato una serie di manifestazioni per chiedere le dimissioni di Martelly, che aveva tradito le aspettative degli haitiani ed era anche accusato di corruzione dai manifestanti. La crisi politica, in questi anni, si univa alla persistente situazione di crisi umanitaria: anche l’intervento dell’ONU, iniziato nel 2010, era stato fortemente criticato dagli haitiani.
Le elezioni di ottobre 2015 si svolsero, come le precedenti, in un clima di agitazione e confusione. Il primo turno delle elezioni non sancì la vittoria di alcun candidato: Jovenel Moïse, che aveva ottenuto il maggior numero di voti, passò al ballottaggio insieme a Jude Celestin. Numerosi cittadini haitiani, tuttavia, protestarono non appena questo risultato fu reso noto: Moïse, infatti, era sostenuto dal Presidente uscente, dunque c’erano pochi dubbi, secondo i manifestanti, che quest’ultimo fosse avvantaggiato tramite brogli elettorali pilotati da Martelly. Il secondo turno delle elezioni, previsto a dicembre, non si tenne mai a causa dei continui rinvii del Presidente uscente. Le nuove elezioni si tennero a novembre 2016 e furono vinte da Moïse.
Le proteste antigovernative contro Moïse
A partire dal 2018, l’insofferenza della popolazione nei confronti del Presidente iniziò a prendere sempre più spesso la forma della rivolta violenta e i manifestanti iniziarono a chiedere esplicitamente le sue dimissioni. Nell’estate dello stesso anno, gli haitiani protestarono contro l’aumento del prezzo del carburante e negli scontri non di rado morirono delle persone. Inoltre, le agitazioni determinarono la dimissione del primo ministro, Jack Lafontant, che aveva appoggiato il piano per l’aumento del prezzo del carburante. Nel corso del 2019, le proteste contro Moïse aprirono una vera e propria crisi politica ed economica. In questo periodo, il costo di cibi essenziali come riso, farina, mais, fagioli, zucchero e olio vegetale aumentò del 34%. I manifestanti, per far pressione sul Presidente e costringerlo alle dimissioni, indissero di tanto in tanto i cosiddetti peyi lock, cioè delle restrizioni che interessavano tutti i settori del Paese e obbligavano i cittadini a non uscire di casa. L’unico effetto prodotto fu quello di peggiorare la situazione economica del Paese e rendere più complicato l’accesso ai servizi d’emergenza.