Brexit, evoluzione (e involuzione) dei negoziati tra Unione Europea e Gran Bretagna
La Brexit, in qualità di fenomeno politico-storico senza precedenti nella storia dell’Unione Europea, non sembra vedere una conclusione definitiva. Nonostante l’accordo di recesso dall’UE sia entrato in vigore a gennaio 2020, la Gran Bretagna continua a tentennare nei negoziati utili per regolare i futuri rapporti (specialmente commerciali) tra le due parti.
Per delineare correttamente e temporalmente l’evoluzione dei negoziati è necessario fare un passo indietro di qualche mese per ricordare gli incontri del comitato misto Unione Europea – Gran Bretagna che si sono tenuti durante il periodo del lockdown, momento cruciale per tutti gli Stati Membri e protrattosi per più di tre mesi, paralizzando l’Europa e la sua economia.
Durante il primo incontro l’UE, dopo essersi complimentata con il premier britannico Boris Johnson per l’apertura e la disponibilità a negoziare, ha rinforzato la necessità di favorire una coerente e corretta attuazione del Protocollo sull’Irlanda e Irlanda del Nord, il cosiddetto “backstop irlandese”. Questo protocollo è necessario per regolare le procedure doganali da attuare per i beni in transito tra Irlanda del Nord e Regno Unito. Si deduce da qui la volontà delle istituzioni comunitarie di evitare l’istituzione di un vero e proprio confine fisico tra Irlanda del Nord e Irlanda. Questo documento è caratterizzato da una durata limitata in quanto viene definito come una “soluzione tampone” in attesa di una soluzione tecnica permanente che stabilisca i limiti di un confine “invisibile”.
Il secondo incontro del Comitato misto si è svolto il 12 giugno. In questa occasione il premier inglese ha presentato un “Command Paper” per procedere, in armonia con la Commissione Europea, verso la definizione delle linee guida necessarie ad approvare ed attuare il Protocollo in questione.
A termine di tale incontro, l’UE ha presentato alcuni dubbi sulla definizione dell’accordo finale a causa di alcune mancanze o inesattezze. Di conseguenza, si è auspicata una modifica dell’accordo attualmente esistente entro la fine del periodo transitorio per perfezionare il recesso.
Ciononostante, Boris Johnson sembra essere tornato indietro sui propri passi nelle ultime settimane. A metà settembre ha illustrato in una seduta del Parlamento britannico una nuova proposta di legge atta a modificare il Protocollo, l’”Internal Market Bill”. Si propone la previsione di diverse forme di tutela per il mercato interno britannico rispetto a quanto stabilito nell’accordo internazionale con l’UE. Nello specifico, tra le varie previsioni normative contenute all’interno del progetto di legge, si può evincere come il disegno serva a rispettare quanto professato da Johnson stesso durante la propria campagna elettorale quando dichiarò di voler garantire accesso illimitato al mercato GB a tutte le merci provenienti dall’Irlanda del Nord. In tal modo, però, si manifesta la volontà unilaterale britannica di cambiare l’accordo di recesso firmato lo scorso gennaio. Lo scetticismo manifestato dalle istituzioni europee deriva dal fatto che con tale disegno di legge si conferiranno ai ministri tutti i poteri necessari per modificare o disapplicare le regole di transito delle merci in viaggio tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
L’”Internal Market Bill” è stato fortemente criticato dall’opposizione parlamentare britannica e dall’Unione Europea stessa. La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha dichiarato in più occasioni, incluso durante il discorso sullo stato dell’Unione, di confidare nella buona volontà del Regno Unito per tutelare la pace e la stabilità sull’isola tramite la rimozione di tale proposta di legge. Inoltre, ha specificato come tale legge non possa essere attuata in quanto contrastante con le norme di diritto internazionale che regolano i trattati internazionali multilaterali.
L’Unione ha anche manifestato la volontà di iniziare una procedura d’infrazione per fare causa al governo britannico. A tal riguardo il premier Johnson sembra essere non curante della questione perché l’”Internal Market Bill” prevede di per sé che le disposizioni al proprio interno avranno effetto “nonostante l’incoerenza o l’incompatibilità con il diritto internazionale o con altre leggi nazionali”.
I rapporti UE-GB saranno permanentemente cambiati dal 31 dicembre 2020 in poi, ma la deadline per la conclusione di tutti i negoziati è stata fissata per il 15 ottobre. Data la situazione, la UE vorrebbe prorogare il termine, mentre Johnson non sembra essere d’accordo. Il premier in un primo momento, anche se conscio delle molteplici conseguenze negative a cui il suo Paese andrebbe incontro in caso di “no deal”, ha dichiarato che il Regno Unito potrà vivere anche senza un accordo di recesso.
Lo scorso 3 ottobre, al termine di un video-colloquio che lo vedeva protagonista insieme a Ursula von der Leyen, ha cambiato nuovamente posizione sottolineando l’importanza di trovare un accordo. Tale ulteriore cambio di rotta sembra essere parzialmente giustificato dalle forti conseguenze economiche negative per la Gran Bretagna nei settori della pesca, del commercio e della condivisione dei dati sensibili.
Va evidenziato anche come per quanto concerne gli aiuti di Stato, il Regno Unito sarà costretto a rispettare determinati standard e la volontà del governo non sembra andare in quella direzione. La speranza per Johnson, infatti, rimaneva quella di attirare investimenti esteri una volta usciti dall’UE per fare concorrenza all’Unione stessa. Nonostante l’incertezza del momento, un dietrofront è stato fatto anche per questo tema per venire incontro ai negoziatori comunitari.
Nei prossimi giorni saremo in grado di capire se la volontà europea di prorogare di qualche giorno il termine del 15 ottobre verrà condivisa anche dalla Gran Bretagna. L’involuzione dei negoziati sembra essere prossima a una fine, ma l’unica certezza resta la responsabilità del governo britannico per essere venuta meno a doveri di tutela e salvaguardia nei confronti dei cittadini irlandesi.