Vaccine Equity: intervista a Monica Di Sisto
La Global Health Summit Rome Declaration è uno dei risultati dell’incontro dei leader del G20, che si è tenuto a Roma il 30 e 31 ottobre 2021. Questo documento contiene una lista di impegni che i Paesi G20 promettono di rispettare, volti fra l’altro a contrastare la pandemia COVID-19 a livello globale e a creare una catena globale di collaborazione a livello sanitario. Nel tentativo di controllare l’emergenza COVID, si impegnano anche a portare avanti la campagna vaccinale a livello mondiale. Fino ad ora, infatti, è stato registrato un avanzamento ineguale della campagna vaccinale nel mondo che deve essere ripianato in modo tale da garantire la fine della pandemia.
Quanto è stato raggiunto finora?
L’OMS ha posto l’obiettivo di vaccinare il 40% della popolazione mondiale entro la fine del 2021 e il 70% entro il primo semestre del 2022. Il primo dei due obiettivi è già stato raggiunto, attualmente il 54% della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose del vaccino COVID-19.
Come mai allora, quasi un anno dopo l’approvazione dei primi vaccini contro il virus, c’è ancora bisogno di reiterare la necessità di uno sforzo collettivo per contrastare la pandemia? I numeri possono dare risposta: nei Paesi con economie a basso reddito, in media solo il 6% della popolazione ha ricevuto almeno una dose. Un caso esemplare è l’Afghanistan, con solo 1,1% della popolazione vaccinata con almeno una dose e la Siria con il 5,2%. Nei Paesi a basso-medio reddito la media invece sta intorno al 43%.
Il reddito di un Paese viene definito basso dalla Banca Mondiale se il RNL pro-capite è pari o sotto i $1,045, medio-basso invece se è incluso tra $1,045 e $4,095.
Gli strumenti a disposizione
Oltre alla Dichiarazione di Roma esistono una serie di strumenti pensati per supportare lo sviluppo di infrastrutture sanitarie, la facilitazione di un commercio globale di medicinali e infine anche il trasferimento di conoscenza.
Il TRIPS, Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property, o Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale, è uno dei primi strumenti di questo genere, firmato nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale del Commercio al fine di definire un quadro globale di protezione dei diritti di proprietà intellettuale senza nuocere al libero scambio.
Nel 2001 questo accordo è stato ampliato dalla Dichiarazione di Doha sulla sanità pubblica. Questa prevede la possibilità di derogare il diritto di proprietà intellettuale, prevedendo delle procedure di concessione di licenze obbligatorie in modo tale da abbassare il costo di acquisto. Questa misura è stata pensata in particolare per l’esportazione di medicinali verso Paesi in stato di necessità.
L’Acceleratore per l’Accesso agli Strumenti COVID-19 (ACT-A) è stato lanciato nell’aprile 2020 e progettato dall’OMS in collaborazione con diversi governi, organizzazioni sanitarie e scienziati. L’idea è quella di appoggiare i Paesi attraverso la distribuzione di test, terapie di cura e vaccini nel contrasto alla pandemia COVID-19. Il progetto mette a disposizione diversi strumenti, tra cui guide sulla somministrazione, la conservazione e il trasporto dei vaccini, creazione di piani di vaccinazione nazionali e di strategie di contenimento dei contagi.
Il COVAX invece, è uno strumento appositamente creato dall’ONU nell’ambito dell’ACT-A, per contrastare il nazionalismo vaccinale e garantire la distribuzione di un vaccino contro il COVID-19 a tutti. L’obiettivo del programma è di distribuire almeno due miliardi di dosi ai Paesi che vi partecipano entro la fine del 2021, di cui 1,3 sono destinate per i paesi a basso reddito. Il COVAX è dunque pensato principalmente per sostenere i Paesi in via di sviluppo e le economie più deboli, ma attualmente è riuscito a distribuire solamente circa mezzo miliardo di dosi, trovandosi quindi indietro rispetto al piano imposto.
Intervista a Monica Di Sisto
Monica Di Sisto è giornalista e vicepresidente dell’associazione Fairwatch, Ong impegnata nella creazione di un’economia solidale per una giustizia climatica e sociale. Di Sisto è inoltre coinvolta in diversi progetti e azioni di advocacy per Ong sia italiane che internazionali, ad esempio come portavoce di Stop TTIP Italia. Nel suo lavoro da giornalista si impegna per un’informazione trasparente e per la ricerca di soluzioni eque alle sfide odierne, tra cui anche l’equa distribuzione dei vaccini contro il COVID-19.
Come mai molti degli strumenti utili per combattere la “vaccine inequality”, ovvero la distribuzione ineguale dei vaccini e delle risorse per combattere l’attuale pandemia COVID-19, non sono stati utilizzati o, come nel caso del COVAX, risultano poco efficaci?
Partiamo dal fatto che non si tratterebbe della prima volta che durante un’emergenza sanitaria venga attuata una deroga del diritto alla proprietà intellettuale. Il primo caso, infatti, lo si ebbe con la crisi dell’AIDS negli anni ’80. Nelson Mandela, il cui figlio era morto di AIDS, mise insieme una coalizione di stati che chiesero di derogare i diritti alla proprietà intellettuale dei farmaci antivirali, in modo tale da permetterne una distribuzione efficace e veloce. La deroga venne chiesta sulla base degli accordi fondativi dell’OMC, che prevedono la sospensione di tali diritti in caso di motivata ragione. Venne accompagnata da una serie di meccanismi applicativi complicati, che con il passare del tempo vennero poi semplificati, vedi ad esempio l’accordo di Doha.
C’è stata una richiesta simile anche con l’emergenza COVID-19?
Con l’emergere della pandemia COVID-19, l’OMC ha ricevuto una richiesta di deroga dalla stessa coalizione di allora. A questa è seguita poi una richiesta formale da parte del Sudafrica e dell’India. La deroga finora però non è stata applicata. Il principale blocco è dovuto dalla Commissione Europea, che ha rifiutato finora una negoziazione basata su accordi scritti, chiedendo toni più attenuati, con misure di conseguenza più attenuate.
Guardando il caso particolare del progetto COVAX, quali sono i maggiori ostacoli ad esso?
Il problema principale è che i fondi stanziati non bastano per sostenere le spese del progetto, composte principalmente dall’acquisto e dalla distribuzione dei vaccini contro il COVID-19.
Un altro motivo spesso riportato è che le capacità produttive dei Paesi aderenti al COVAX non bastano, ma questo non è assolutamente vero. Diversi paesi, come ad esempio l’India, possiedono già le infrastrutture necessarie per la manifattura di medicinali.
Uno studio di Public Citizen, intitolato How to make enough vaccine for the world in one year, ha dimostrato come uno sforzo collettivo potrebbe garantire l’adeguata circolazione di fondi, conoscenza e materiali per permettere agli Stati la sostituzione dell’importazione di medicinali da Paesi terzi con una produzione interna di terapie di cura e di vaccini.
Il problema è che per fare ciò c’è bisogno della volontà degli Stati di stanziare i fondi necessari per un tale progetto e di rompere il monopolio farmaceutico, aprendo così il mercato a prezzi agevolati.
Uno dei motivi per questi ostacoli potrebbe essere la pressione da parte delle lobby farmaceutiche?
Certamente. Gli accordi tra Stati Uniti, Unione Europea e case farmaceutiche e il nazionalismo vaccinale escludono dall’accesso ai vaccini tutte le economie a basso reddito. Questo semplifica e rafforza la presa di influenza che Cina e Russia stanno avendo sui paesi in via di sviluppo, specialmente sui paesi in Africa.
Stiamo però assistendo d un lento isolamento dell’Europa: si sta affermando un blocco composto da India, Sudafrica, Cina, Russia e Stati Uniti, rafforzato da un accordo avvenuto tra Cina e Stati Uniti in occasione della COP 26 sulla responsabilità dei Paesi industrializzati nel sostegno dei paesi con economie a basso reddito.
L’Europa si sta dimostrando sempre più miope nella sua missione di diventare difensore delle imprese e della produzione, ovunque esse si trovino. Si tratta di un’irresponsabilità istituzionale e politica, che dimostra un imbarbarimento della Commissione europea in un momento in cui il mondo si sta aprendo verso un commercio più solidale. La Commissione è la prima a spingere per un board mechanism che funga da strumento di controllo del COVAX e del commercio dei vaccini, ma è la prima a tagliare i fondi e a rifiutare le richieste di aiuto.
Il caso dell’Italia è molto particolare: siamo sede di due terzi degli studi di protezione dei diritti di proprietà intellettuale, e questo ci rende perciò soggetti a gravi forme di pressione. Il PNRR dell’Italia prevede lo stanziamento di 30 milioni di euro per la riforma del sistema della proprietà industriale e quindi a politiche volte alla protezione della proprietà intellettuale. Si tratta di una spinta dell’economia non per pochi, ma per pochissimi, che ha come unico risultato rendere i brevetti profittabili. Questo tipo di gestione del patrimonio della conoscenza ne barrica la disponibilità al pubblico, andando a nuocere al benessere comune.
Lei è vicepresidente dell’Ong Fairwatch, Ong che si occupa della creazione e della tutela di un’economia solidale. Quali rischi avete individuato nell’attuale quadro internazionale?
Osserviamo attentamente i negoziati che si svolgono, valutando ogni volta le ripercussioni che questi possano avere sulla vita quotidiana. Il rischio maggiore attualmente è che la pandemia diventi occasione di business. Il pubblico e gli Stati devono essere garanti del bene comune, come previsto fra l’altro anche dalla nostra costituzione. A livello internazionale abbiamo osservato un indebolimento dell’OMS e della FAO e una conseguente tendenza di lasciare che il nostro fato venga trascinato dalle tendenze di mercato.
In tutto questo ovviamente la situazione non è senza speranze. Quale messaggio potremmo lasciare ai lettori?
Bisogna rendersi conto dei processi che ci circondano e far capire ai nostri governanti che non siamo d’accordo con le azioni intraprese da loro. Questo lo possiamo fare attraverso la partecipazione attiva a campagne e iniziative, attraverso la protesta in pubblica piazza e comunque l’uso di azioni dirette che possano attrarre l’attenzione anche di altri cittadini non al corrente delle attuali sfide.
Nell’ambito della rete rete globale Our world is not for sale, della quale sono referente italiana, abbiamo ad esempio pubblicato una Lettera condivisa dei Sindacati e delle Associazioni globali che chiede uno stop immediato ai negoziati commerciali per permettere uno sforzo collettivo nel contrasto alla pandemia globale attraverso l’attuazione di misure come, ad esempio, la concessione di licenze obbligatorie.
Come singoli individui, abbiamo tutti la responsabilità di attuare una scelta consapevole delle fonti dalle quali traiamo informazione e di mobilitarci come cittadini attivi.