Tutti mi chiedono: “Com’è andato il rientro a scuola”? Ve lo racconto

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Ho tante amicizie e conoscenze che non frequentano più la scuola, conosco chi frequenta l’università e chi invece lavora. Conosco persone di un po’ tutte le età, che risiedono in varie parti d’Italia. A tutte interessa sapere com’è stato rientrare a scuola, ogni anno. E ogni anno rispondo, come sempre ogni volta che me lo chiedono: “Bene, ma sono già stanca”.

Eppure, quest’anno la domanda ha un significato diverso e con questo significato cambia anche la risposta. Poiché ciò che loro intendono è sapere se davvero a scuola ci sono i “banchi con le rotelle”, se le classi sono già tutte di nuovo in quarantena, se il personale docente è presente o meno. Ed io non ho mai davvero risposto a questa nuova domanda. Questo articolo non è scritto tanto per criticare, né per polemizzare su alcunché, piuttosto perché rimanga una testimonianza scritta di questo periodo bizzarro, in cui si vive di mascherina e d’igienizzante.

Una piccola postilla: ciò che segue è l’esperienza che ho vissuto io, filtrata dai miei occhi, e certo non riflette le centinaia di altre realtà italiane.

Il primo giorno di scuola è un giorno speciale, molti genitori accompagnano i propri figli fin davanti l’edificio. Io, che quest’anno seguirò le lezioni in un edificio diverso e assai lontano dalla sede originaria, ho deciso fin da subito di utilizzare i mezzi di trasporto pubblici. Ho guardato gli orari di treni, pullman, autobus e navette, tenendo presente quanto tempo avrei perso se non fossi riuscita a salire su uno di quei mezzi, nel caso avesse raggiunto la capacità massima. Quella mattina mio padre ha aspettato di vedermi salire sul pullman prima di recarsi a lavoro: se non ci fosse stato più posto, mi avrebbe portato lui a scuola.

Arrivata alla fermata (ho scelto proprio un pullman che ha il capolinea nel mio piccolo paese, e che dunque serve meno gente) mi sono messa ad aspettare, con gli altri studenti. Abbiamo indossato la mascherina prima di salire e, vi assicuro, non eravamo tutti accalcati, anche se non si poteva determinare con certezza se la distanza che ci separava fosse davvero di un metro. Per fortuna, grazie ai molti altri studenti accompagnati personalmente dai genitori, ognuno di noi ha trovato posto in quel mezzo a capienza ridotta del 50 per cento. L’autostazione era piena di persone e la maggior parte, se non tutte con pochissime eccezioni, indossavano la mascherina.

La navetta che invece ho preso con le mie amiche dall’autostazione alla scuola era completamente vuota: abbiamo immaginato che poche persone sapessero di questo servizio e che le altre semplicemente avessero deciso di andare a piedi. Su quel bus non erano segnati i posti su cui è vietato sedersi, per ridurne la capienza. Come nel primo pullman che ho preso, però, la salita e la discesa attraverso la porta a fianco dell’autista erano vietate da un nastro rosso.

Siamo arrivate davanti alla nostra scuola appena in tempo per le otto. L’accesso ancora non era consentito e il cancello, sorvegliato dal personale ausiliario, dà su un marciapiede poco ampio che si interrompe pochi metri dopo. Non c’era assolutamente lo spazio fisico per potersi distanziare: o ci si schiacciava su quel marciapiede o si rischiava di venir schiacciati sulla strada. Quando finalmente ci hanno permesso di entrare, una decina alla volta, ci siamo resi conto di quante persone avessero la mascherina: tutte. Solo due o tre persone ce l’avevano calata sotto il naso o sotto il mento.

All’ingresso mancava il disinfettante per le mani, così come in classe.

La mia classe è composta di ventiquattro alunni, la maggior parte dei quali è riuscita a entrare poco prima di noi. In quell’aula le uniche cose che mi sono parse familiari sono stati il computer e la LIM, la lavagna interattiva multimediale. Il resto: alieno alle mie abitudini. I ventiquattro banchi (senza rotelle – gli stessi degli altri anni così come le sedie) erano disposti a scacchiera, a cinquanta centimetri l’uno dall’altro, in corrispondenza di piccoli pezzi di scotch giallo sul pavimento in modo che, in una situazione di completa staticità, i nostri visi distassero di un metro.

La cattedra è stata rimpiazzata da un semplice banco, per non ingombrare più del dovuto, con una lastra di plastica trasparente posizionata su di esso. Qui mi permetto di far notare come tutti, ma specialmente chi era seduto in ultima fila, avesse grandi difficoltà ad attraversare la “rete” di banchi, e che questa non è contemplata nel regolamento che ci hanno enunciato, mentre gli anni scorsi ci vietavano di posizionare i banchi “a ferro di cavallo” per motivi di sicurezza.

Pare che i professori debbano tenere la mascherina in ogni momento tranne quando, seduti al loro banco, sono protetti dalla lastra di plastica. Noi, per contro, non siamo obbligati a tenere la mascherina quando siamo seduti al banco, a meno che non ci venga espressamente richiesto.

I professori non possono vietarci di andare al bagno durante la lezione, perché se così facessero, creerebbero per forza di cose assembramenti durante gli intervalli, davanti ai servizi. A metà di quella mattinata ci è stato consegnato il flaconcino di disinfettante, che siamo tenuti a utilizzare ogni volta che entriamo in classe.

L’intervallo non ci è possibile svolgerlo nei corridoi e il regolamento dice soltanto che dobbiamo rimanere all’interno dell’aula. Potremmo alzarci, muniti di mascherina e muoverci, ma l’aula è talmente piccola e lo spostamento tra i banchi talmente scomodo che la maggior parte di noi è rimasta seduta. Dalle otto a mezzogiorno e mezzo.

La nostra scuola è munita di condotti di areazione che favoriscono il ricircolo dell’aria, la cui temperatura è regolabile da un piccolo termostato all’interno di ogni aula. Ho sentito alcuni alunni chiedersi come mai avessimo “l’aria condizionata”, che sembrerebbe essere veicolo di malattie. I bagni sono costantemente sorvegliati dal personale ausiliario, che ne monitora gli accessi.

L’uscita da scuola, invece, è un normale flusso di studenti che escono, e poi tornano a casa, dove le norme non sono così specifiche. La navetta non è passata,così sono arrivata a piedi in autostazione e ho ripreso il pullman. Stavolta c’era qualcuno in piedi e qualcuno seduto accanto a qualcun altro.

E quindi, com’è andato il rientro?

Meglio di ciò che mi aspettavo, per quanto riguarda le norme anti coronavirus. Non posso però prevedere come si svolgeranno le cose in futuro, né documentare com’è la situazione in altre scuole. So che alcune hanno istituito ingressi e uscite scaglionate, altre hanno fatto in modo che solo metà della classe faccia lezioni in presenza, alternandosi con l’altra metà che segue il tutto per via informatica. Torneremo alla didattica in distanza? Nessuno lo sa. Però una cosa è sicura: il nostro diritto di imparare è ancora in esercizio.