Arabia Saudita e pena di morte: venti di novità
Nel rapporto annuale sulla pena di morte di Amnesty International è stato riportato un +16% di pene capitali nel mondo nel 2019 rispetto all’anno precedente. Nel 2018 infatti sono state giustiziate 501 persone contro le 579 dello scorso anno. Osservando i dati però colpisce come siano soprattutto i Paesi mediorientali a contribuire all’incremento delle esecuzioni per pena di morte.
Se si prendono in considerazione i dati dell’area Medio Oriente e Africa del Nord, in testa alla classifica è presente l’Iran con più di 251 persone giustiziate, seguito subito dall’Arabia Saudita, che nell’ultimo anno ha condannato a morte 184 persone, 6 donne e 178 uomini.
Le ragioni che portano alla condanna a morte, come riporta il rapporto, sono diverse le une dalle altre: si va dalla droga all’omicidio, passando dal terrorismo e dalla rapina a mano armata.
Tra i condannati dell’Arabia Saudita, solamente 88 persone erano cittadini sauditi: questo rappresenta un dato significativo che evidenzia come per il secondo anno consecutivo siano i cittadini stranieri quelli che vengono maggiormente colpiti dalla condanna capitale.
La denuncia di Amnesty International pone l’accento su quanto spesso il paese non rispetti le norme del diritto internazionale, soprattutto nell’applicazione della giustizia, svolgendo processi in segreto, in modo sommario, senza tenere minimamente conto del diritto dell’imputato a essere sottoposto ad un equo processo.
L’articolo 2 del Codice di Procedura Penale dell’Arabia Saudita proibisce la tortura e ogni forma di trattamento lesivo della persona ma questo uso rimane comune nella prassi e non accenna a scomparire.
L’Arabia Saudita sotto il sovrano Salmān bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd nei cinque anni del suo regno ha emesso circa ottocento sentenze di esecuzione capitale, tra le quali erano compresi anche ragazzi giovani.
A fine aprile di quest’anno però, il re saudita Salmān ha emanato un decreto, facendo seguito alla decisione dell’Assemblea generale della Corte Suprema del regno, che prevede l’abolizione della pena di morte per minori e fa espressamente riferimento al divieto di ricorrere a fustigazioni.
Le pene per crimini commessi da minorenni, secondo quanto riporta la CNN, non saranno superiori ai dieci anni in una struttura minorile. Ad oggi però, sul divieto all’uso di fustigazioni, il governo saudita non si è ancora espresso in modo chiaro.
Nella giustizia islamica esistono due tipi di fustigazioni: il primo è quello di cui c’è una menzione specifica nella Sharia islamica, come la fustigazione di un uomo non sposato coinvolto in adulterio, e non ci può essere alcuna sostituzione per questa pena. Il secondo è il taazir, la forma di punizione per la quale non c’è una specifica disposizione nella sharia islamica ed è sottoposta alla discrezionalità del giudice.
Il presidente della commissione del governo saudita per i diritti umani, Awwad Alawwad, ha dichiarato in seguito al decreto del re, “questo è un importante giorno per l’Arabia Saudita, il decreto ci aiuta a stabilire un codice penale più moderno” e assicura che “altre riforme arriveranno”.
È possibile che questo provvedimento del sovrano sia un proseguimento della linea di riforme del principe ereditario Mohammed bin Salman, che preme in modo chiaro verso una modernizzazione del regno ultraconservatore.
Le recenti decisioni hanno colto anche il favore della Saudi National Society for Human Rights (NSHR). Quest’ultima attraverso il suo presidente, il dottor Mufleh Al-Qahtani, fa sapere che la decisione rappresenterà un cambiamento qualitativo per la magistratura saudita per quanto riguarda l’assegnazione delle pene.
“Speriamo che questa decisione accompagni l’approvazione di molte pene alternative oltre alla reclusione e alla multa, in quanto ciò contribuirebbe a migliorare l’immagine del Regno all’estero, soprattutto quando alcune persone ricorrono a criticare il Regno per via dell’adozione della fustigazione come forma di punizione” ha affermato Al-Qahtani.
Amnesty International chiede che la pena di morte sia completamente abolita nel Paese attraverso il suo direttore regionale per il Medio Oriente e Nord Africa, Heba Morayef, che afferma “se, da un lato, questa decisione, se attuata, rappresenta un passo significativo in Arabia Saudita, dall’altro però il continuo ricorso alla pena di morte ha raggiunto nel 2019 un picco scioccante. Nessun paese dovrebbe ancora usare questa punizione crudele, disumana e degradante”.
La speranza più grande sembra quella che si giunga a una moratoria ufficiale sulle esecuzioni che porti poi all’abolizione totale della pena di morte in maniera netta in Arabia Saudita.
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