Brasile, cronaca di una morte annunciata (dalla pessima gestione della pandemia)

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Le azioni di Jair Bolsonaro, Presidente della Repubblica Federale del Brasile, sono state recentemente messe in discussione da una Commissione Parlamentare che aveva l’obiettivo di verificare la gestione della pandemia. Il Brasile, infatti, è il secondo paese al mondo per numero di morti dovuti al virus Covid-19, con più di 610.000 decessi.

La sera del 18 ottobre 2021 i lavori della Commissione d’Inchiesta del Congresso Brasiliano al fine di verificare la gestione della pandemia Covid-19, sono stati consegnati da Renan Calheiros, relatore dell’inchiesta ed ex presidente del Senato brasiliano, alla Camera dei Deputati.

Il documento indica il presidente Jair Bolsonaro come il principale responsabile delle morti dei cittadini brasiliani: nello specifico, trecentomila morti sarebbero imputabili a quest’ultimo, circa metà delle perdite complessive sostenute dal Brasile negli ultimi due anni. Fin dall’inizio della pandemia, infatti, il presidente avrebbe sminuito la gravità della situazione, dapprima paragonando il virus a una semplice influenza, poi indirizzando i cittadini verso scelte irresponsabili, ad esempio attraverso l’organizzazione di raduni e manifestazioni, infine, diffondendo notizie false volontariamente, facilitando di conseguenza la diffusione del virus e penalizzando nello specifico la parte di popolazione più povera e debole dal punto di vista immunitario.

Un esempio indubbiamente calzante riguarda le misure di prevenzione alla trasmissione del virus: Bolsonaro avrebbe infatti scoraggiato l’utilizzo delle mascherine, andando contro la prevalente opinione scientifica e le indicazione dell’OMS, puntando invece l’equivalente di 6,4 milioni di euro nella fabbricazione di medicinali a base di idrossiclorochina. Non solo, sono innumerevoli le affermazioni che sono state fatte dal presidente, in conferenza stampa o attraverso i suoi social personali, che non avrebbero alcuna base scientifica: tra queste, “l’utilizzo della mascherina è da gay” oppure “indossare la mascherina facilita la trasmissione dell’AIDS”.

In ragione di queste e altre considerazioni, il documento presenta 11 capi di imputazione nei confronti di Jair Bolsonaro, tra cui epidemia colposa, uso illegale di fondi pubblici, falsificazione di documenti, promozione di false cure, crimini contro l’umanità, boicottaggio di misure sanitarie preventive, corruzione, malapolitica, sperimentazioni sugli indigeni per testare l’immunità di gregge. Di conseguenza, è stata avviata la procedura di impeachment, ancora una volta. In Brasile la procedura di impeachment è nota per avere dei tempi piuttosto lunghi, che sicuramente andranno anche oltre le prossime elezioni (tra un anno). Forse anche per questo il presidente Bolsonaro ha sostenuto che tutte queste accuse non sono altro che falsità inventate dall’opposizione per cercare di condizionare l’opinione pubblica e screditarlo in vista delle elezioni. In realtà, sembrerebbe che il consenso nei confronti dell’attuale presidente fosse sceso radicalmente ancora prima dei lavori della Commissione d’Inchiesta: da un 38-40% iniziale, si sarebbe giunti al 25-27% verso la fine di settembre 2021.

Ma i lavori della Commissione di Inchiesta non verranno valutati soltanto dal Congresso ai fini dell’impeachment: sono state infatti avviate altre due procedure parallele, la prima per “reati comuni” presso la Procura Generale, che valuterà le imputazioni ai fini del diritto penale vigente; la seconda procedura presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), presso la Commissione interamericana per i diritti umani e la Corte penale internazionale dell’Aja.

Nonostante questo, però, l’impeachment rimane lo strumento più efficace per processare e valutare il più oggettivamente possibile i presunti crimini commessi da Bolsonaro; infatti il Procuratore Generale Augusto Aras, grande amico del presidente, sembrerebbe restio alle indagini nei confronti di Bolsonaro e i tempi degli organi internazionali sono notoriamente molto dilatati.

Anche ai fini dell’impeachment, in ogni caso, servirebbe l’approvazione di una larga fetta della Camera Bassa del Congresso, dove ancora molti esponenti sono vicini al Presidente.

Ai fini di meglio comprendere che cosa concretamente la mala gestione di Bolsonaro abbia implicato, è necessario soffermarsi sul caso degli indigeni. Stando alle ultime notizie riportate da Survival, oggi vivono in Brasile circa 305 tribù di indigeni, costituenti lo 0,4% della popolazione totale del Paese, per un totale di circa novecentomila persone. La Costituzione del Brasile riconosce agli indigeni un territorio corrispondente al 13% del suolo brasiliano e coincidente grossomodo con le foreste dello stato di Amazonas.

Fin da prima della pandemia il presidente Jair Bolsonaro aveva messo in atto politiche di “interferenza” nei confronti degli indigeni favorendo le attività estrattive, il reperimento illegale di legna nella foresta amazzonica e più in generale mettendo in atto una retorica anti-indigeni. Alcuni esperti, tra cui Alfredo Somoza, presidente dell’ICEI (Istituto di Cooperazione Economica Internazionale di Milano), sostengono che questa mossa di Bolsonaro sia dovuta a una generale convinzione che la Costituzione brasiliana abbia ecceduto con le concessioni territoriali nei confronti degli indigeni, al punto da diventare un ostacolo alla proliferazione economica del Paese, il quale potrebbe – invece – utilizzare quei territori a fini estrattivi o agricoli. Quale che sia la ragione, alcune sue affermazioni (tra cui “è un peccato che la cavalleria brasiliana non sia stata efficiente quanto quella americana nello sterminare i suoi Indiani”) hanno lasciato la comunità internazionale e le ONG che si occupano dei diritti degli indigeni, perplesse e preoccupate.

Che Bolsonaro voglia sbarazzarsi degli indigeni per riprendere possesso dello stato di Amazonas o che le sue ragioni siano diverse, rimane il fatto che l’indifferenza del governo di fronte alle morti dei nativi abbia contribuito all’ecatombe. Molte persone, tra cui figure di spicco della lotta per i diritti degli indigeni, sono morte da un giorno all’altro, senza aver accesso a cure mediche o ricovero ospedaliero. A questo si aggiunge che il tasso di contagio tra le popolazioni indigene è del 34% più alto rispetto al resto della popolazione.

Di fronte all’inerzia del governo, che nemmeno nei lavori della Commissione di Inchiesta ha preso posizione in maniera netta e univoca nei confronti di queste atrocità, gli indigeni hanno portato il caso di fronte alla Corte Penale Internazionale con l’accusa di genocidio. Starà ai giudici dell’Aja verificare la correttezza di queste accuse e scegliere – eventualmente – quale provvedimento adottare nei confronti di Jair Bolsonaro.