Non è mai troppo tardi. Un Maestro del Passato per la Scuola del Futuro
La tradizione è conservazione del fuoco, non adorazione delle ceneri.
L’aveva capito bene il Maestro Alberto Manzi, di cui recentemente è stato celebrato il XXV anniversario della morte, avvenuta il 4 Dicembre 1997.
Se talvolta siamo abituati a una subcultura dell’eccesso, dell’ostinata e insensata volontà a mettersi in mostra, in questo personaggio scopriamo la storia di chi ha agito a servizio dell’istruzione pubblica con autentico spirito di abnegazione e profondo senso etico.
È proprio l’etica che ha caratterizzato la vita del celebre Maestro d’Italia, una vita fatta anche di coraggio che lo ha portato a fare scelte controcorrente, vere e proprie proteste rischiose per il suo percorso professionale. Ma lui non si è interessato di questo, per lui il “discente è il fulcro attorno al quale ruota il nostro diritto”, come recita una manuale di diritto scolastico edito da Giuffrè nel 1973.
L’elemento fondamentale che lo ha fatto conoscere al grande pubblico è stata la sua esperienza come conduttore televisivo e docente nel programma Non è mai troppo tardi che contribuì, negli anni Sessanta, all’alfabetizzazione di milioni di italiani.
Leggere, scrivere e far di conto sono i presupposti essenziali, una sorta di conoscenza basilare, per consentire al cittadino di trasformare una conoscenza pratica e di ragionamento in altrettante ed elevate competenze.
Le competenze o l’agire in modo competente, però, richiedono quello spirito etico di cui Manzi si è fatto portatore. Per essere veramente cittadini competenti è necessario applicare quei principi solidaristici che la nostra Carta costituzionale prescrive all’articolo 2.
Un uomo che ha elevate conoscenze in ambito matematico potrà essere molto istruito in quell’ambito del sapere ma, se privo di competenze relazionali, umane e di sincero interessamento per la collettività potrebbe essere un pericolo per la società, ad esempio contribuendo ai pericolosissimi attacchi hacker nei siti delle Aziende Sanitarie.
Alberto Manzi è nato a Roma il 3 Novembre del 1924. Appassionato fin da ragazzo tanto all’insegnamento quanto al mare otterrà i rispettivi diplomi presso l’Istituto Magistrale e presso l’Istituto Nautico. Nel 1944 decise di arruolarsi presso il Battaglione San Marco alleato all’VIII Armata Inglese. L’esperienza come militare e la conseguente tristezza per la perdita di diversi commilitoni e amici confermarono le sue intenzioni: “Facendo la guerra, poi, ho scoperto che tante cose per cui si pensava valesse la pena vivere erano solo delle falsità. […] Soprattutto dopo l’esperienza della guerra, l’idea fissa che avevo era di aiutare i ragazzi. […] rinnovare un po’ la scuola, per cambiare certe cose che non mi piacevano”.
Conseguì prima la laurea in Biologia e poi in Filosofia e Pedagogia. Dopo un anno di professione accademica con il professor Luigi Volpicelli alla Scuola sperimentale del Magistero a Roma decise di mettersi in prima linea per educare alla Scuola Primaria.
La sua prima sede di servizio fu il carcere minorile Aristide Gabelli. Aveva in carico novantaquattro alunni fra i nove e i diciassette anni. Le condizioni strutturali della scuola erano terribili: senza banchi e senza materiale didattico. C’erano solo novantaquattro gridi di speranza a cui Manzi seppe dare una precisa risposta.
Scopriamo qui un Manzi regista che, per attirare gli studenti, riuscì a dare vita al primo giornale realizzato in un istituto di pena: La Tradotta.
In quello stesso periodo Manzi scrisse la trama di Grogh, storia di un castoro che gli valse la vittoria del prestigioso Premio Collodi. Il romanzo verrà successivamente tradotto il 28 lingue e nel 1953 sarà trasmesso in una riduzione radiofonica della Rai.
Nel 1954 Manzi scrive Orzowei e vince il Premio Firenze per opere inedite del Centro Didattico Nazionale. L’anno successivo lo pubblica l’editore Vallecchi di Firenze e nel 1956 entra nel catalogo Bompiani. Nello stesso anno vince il Premio internazionale H.C. Andersen e Orzowei viene tradotto in 32 lingue.
L’anno 1960 sarà il momento in cui inizierà a saltare su quel trampolino di lancio che è la televisione.
Il suo Direttore didattico lo mandò alla Rai per un provino; in quell’occasione, improvvisando la lezione, diede lustro della capacità didattica elevatissima che lo contraddistingueva unita ad una grande dote comunicativa. Venne selezionato e il 15 Novembre 1960 Non è mai troppo tardi diede inizio a quella bella opera di alfabetizzazione di massa.
Alberto Manzi ha lavorato per un bene superiore, senza pensare a interessi personali e al proprio arricchimento. Contrariamente a quanto potrebbe venire in mente, infatti, durante i suoi anni di esperienza televisiva non cambiò il suo status economico ma continuò a percepire lo stipendio da insegnante con l’aggiunta del rimborso spese camicia, per venire incontro agli indumenti rovinati dal gessetto nero con cui scriveva.
Le puntate televisive si susseguirono come vere e proprie lezioni di scuola. Queste lezioni, però, avevano come insegnante non un rigido Maestro di quelli con la bacchetta pronto a punire l’indisciplina. Il Maestro Manzi rappresentò un’evoluzione pedagogica perché credeva nei suoi alunni, credeva nella possibilità che la scuola dà a tutti: nessuno è perduto, nessuno è lontano. Tutti possono e devono essere raggiunti.
Anche questa parentesi di vita durata quasi nove anni si trasformò in una best practice premiata Unesco e presa come punto di riferimento in America Latina.
Questo buon exempla di vita cosa può donare alla scuola del 2023?
Il primo aspetto che non dobbiamo assolutamente perdere è lo spirito missionario a cui ogni insegnante deve sentirsi chiamato. Ogni insegnante, infatti, dovrebbe sapere che il suo ministero educativo non ha confini geografici. Si è chiamati a estendere il sapere a orizzonti aperti proprio perché ce lo prescrive sempre la Costituzione della Repubblica. Quando si parla di diventare a pieno titolo protagonisti nella realtà multilaterale e internazionale si prende sempre in considerazione un ruolo economico o diplomatico.
Ci si dimentica che anche gli organismi internazionali di ricerca educativa sono e devono essere un elemento di forza per migliorare le condizioni dell’umanità. Compito complicato che fa però parte di quei presupposti etici dei quali il corpo docente deve farsi portatore.
Il Maestro, infatti, passò tutte le sue estati dal 1955 in poi ad alfabetizzare gli Indios della Foresta Amazzonica con l’importante supporto dei Salesiani.
La sua prima venuta in America Latina fu per un motivo di ricerca scientifica legata alla sua laurea in Biologia ma, come lui dichiarò: “Vi andai […] per studiare un tipo di formiche, ma scoprii altre cose che per me valevano molto di più”.
L’esperienza di educazione missionaria non fu facile: dovette sopportare la dichiarazione di “ospite non gradito” dalle autorità governative e anche la detenzione in carcere accompagnata da atroci torture. Un popolo che sapeva leggere faceva paura, perché un popolo libero è autonomo e il suo spirito critico si può tradurre attraverso autentiche espressioni di critica costruttiva.
A fronte di questo nobile esempio come possiamo dimenticarci della vocazione alla mondialità che ha per sua definizione il mestiere dell’educare?
Le già presenti Scuole Italiane all’Estero devono essere intese come inizio di un percorso di cooperazione di docenti provenienti da Paesi diversi che si recano per educare i popoli in difficoltà.
Questo personaggio romano ci dà un bell’esempio anche di come si possa criticare con coraggio ciò che non va, di prendersi le proprie responsabilità anche se in condizioni difficili. Come dimenticare le lettera al Sig. Gonella e i pensierini sulla scuola d’oggi, prove di coraggio e di eccellente conoscenza di problemi che, forse, sono presenti tuttora nel sistema educativo italiano?
Il Maestro d’Italia ci ricorda che le proprie opinioni vanno espresse, senza mai ledere la reputazione altrui ma senza nemmeno dimenticarci che il bene pubblico dell’educazione intesa proprio come insegnamento ad alunni, prendendo in debito conto il loro ruolo di cittadini in società, è un bene sacro da tutelare a tutti i costi.
Ricordiamo anche che per il suo coraggio venne sospeso dal servizio, dopo aver scritto nei documenti di valutazione dei suoi alunni “Fa quel che può, quel che non può non fa”, in aperto dissidio coi giudizi analitici ritenuti riduttivi e non efficaci a descrivere il complesso bagaglio interiore proprio di ogni fanciullo.
La storia di Alberto Manzi è, in realtà, la storia di “quella scuola che non fa rumore” proprio perché umile e autenticamente innamorata dei suoi alunni. Tutti insieme possiamo contribuire per una scuola di tutti che non escluda gli ultimi, autentici protagonisti del domani.
Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte costituzionale.
Piero Calamandrei