Nella scuola che vorrei: un augurio per l’anno appena iniziato
Puntuale come un orologio svizzero settembre arriva come ogni anno per lavare via la spensieratezza dell’estate e per portare di nuovo la vita quotidiana; assieme a questa arrivano anche i buoni propositi di settembre, non solo nostri ma anche di governi e istituzioni per lavoro, università, scuola.
Per quest’ultima la lista dei buoni propositi resta più o meno sempre la stessa: si parla di interventi strutturali per rendere gli istituti più sicuri, ammodernamento tecnologico, aumento dell’offerta (stiamo ancora parlando di scuola) formativa per renderla più attraente, fare in modo che gli studenti siano maggiormente in linea con i test standardizzati periodicamente proposti durante l’anno.
Nulla di male, sia chiaro, ma quando si parla di scuola si parla di tutto meno che della necessità di ripensare il concetto stesso di scuola che oggi abbiamo.
Nel 2006 Ken Robinson, in uno dei suoi TED, racconta come la scuola per come la conosciamo noi sia un’invenzione attua a creare operai, tecnici, accademici, figure specifiche per uno specifico scopo, principalmente in ambito industriale. La scuola di oggi sembra incentrata principalmente sulla creazione di figure professionali a discapito della formazione dell’individuo stesso, dello sviluppo di sé e della ricerca dei propri punti di forza. Non è un segreto che negli ultimi anni ragazzi e ragazze con il diploma in tasca siano spinti maggiormente verso corsi in ambiti STEM, poco importa le loro inclinazioni naturali.
Non che sia un male assoluto, non avrebbe senso essere ipocriti: nessuno dubita circa l’importanza di formarsi, aggiungerei solo che questo va fatto negli ambiti professionali che più sono in linea con la nostra personalità.
Il problema subentra nel momento in cui questo diventa l’unico scopo della scuola; c’è bisogno di equilibrio. Credo che la scuola debba favorire la creazione di una persona dotata di pensiero critico e indipendente, che sembra oggi tanto trascurato: basterebbe fermarsi a pensare quanto tempo viene riservato in classe e nei programmi scolastici alla riflessione, al dialogo circa i testi o gli autori letti. Di solito molto poco, si limita al tempo delle verifiche oppure è lasciata alla buona volontà dello studente.
E parlando di programmi: anche lì c’è una certa ossessione per tutto ciò che c’è di burocratico nell’istruzione. Documento del 15 maggio, test invalsi, programmi e direttive ministeriali, direttive dipartimentali: a voler esser buoni altro non sono che delle linee guida, un utile canovaccio sul quale muoversi per costruire la relazione educativa tra docente e gruppo classe. Il rovescio della medaglia presenta invece tutto questo come un sistema di costrizione, indottrinamento a voler essere sensazionalisti: gli insegnanti non possono fare altro che seguire quanto calato dall’alto con rammarico e talvolta, spesso, con l’ossessione di arrivare in ritardo.
“Dobbiamo fare questo, questo no” (anche se quell’argomento è bello, interessante, o di attualità)
“Dobbiamo seguire il programma, dobbiamo concluderlo, siamo in ritardo”
Col tempo s’è sviluppata una paura così grande di non arrivare in tempo per la fine dell’anno scolastico da andare avanti come treni e ignorare qualsiasi cosa: ricordo gli anni della scuola superiore come l’inizio della informatizzazione delle aule. Via a LIM e computer in ogni aula.
A onore del vero, una suppellettile fantastica: la mia docente di scienze lo usava come semplice proiettore mentre quella di matematica ci aveva rinunciato in partenza perché imparare ad utilizzarlo le avrebbe richiesto tempo, che avrebbe dovuto “rubare” dalle lezioni in classe, e non voleva assolutamente che andasse sprecato in quel modo.
Vorrei credere che le cose siano cambiate rispetto a pochi anni fa, o che magari il mio sia un caso isolato.
Siamo cronofobici quando si parla di istruzione: basti pensare a quanto spesso pesi sulla testa di una persona un anno di superiori perso o un fuoricorso all’università.
Come tutti gli anni settembre porta con se l’inizio della scuola, eppure non riesce a portare con se cambiamenti significativi; il mio augurio per la scuola allora è che presto diventi diversa da quella che ho vissuto io: che trovi un equilibrio tra il voler formare i lavoratori di domani e il dover sostenere la persona, sviluppare il suo capitale umano e le sue naturali inclinazioni anche quando queste esulano gli “standard” e dalle richieste odierne. Che si liberi dall’ossessione di ciò che non è stato fatto e che non può essere fatto, ma piuttosto che si ossessioni nel voler creare in ogni studentessa e in ogni studente una persona dotata di pensiero critico e indipendente, stimolare e sostenere l’interesse verso le tematiche ambientali e sociali anche nei giovanissimi, sostenendo chi si dedica ad una partecipazione attiva ad esse.