Migranti sotto attacco in Grecia, ora è il momento di accogliere tutti
Centinaia di foto. Altrettanti video. Tantissime testimonianze che riportano tutte le stesse affermazioni, le stesse prese di posizione, le stesse immagini indelebili. È una vera e propria catastrofe umanitaria. Negli ultimi giorni da alcune zone di confine fra Turchia e Grecia migliaia di migranti – al contrario di quanto si legge in giro a scappare non sono solo profughi siriani, ma con loro afghani, iracheni e africani – cercano di entrare in territorio greco per chiedere protezione e riparo.
Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha sospeso l’esame delle richieste di protezione dei migranti in arrivo dalla Turchia. A Lesbo la repressione e la violenza sono divenute la normalità contro i profughi e contro coloro che forniscono assistenza. I racconti che arrivano dalla Grecia sono terribili: migliaia di lacrimogeni sparati, le manganellate dell’esercito lungo il fiume Evros, a nord, al confine con la Bulgaria. E ancora: i respingimenti, anche con le armi, di decine di gommoni colmi di persone inermi, vere e proprie caccie all’uomo scatenate da picchiatori neofascisti di Alba Dorata contro volontari delle ONG, migranti e cittadini solidali, centri di accoglienza dati alle fiamme e manifestazioni d’odio diffuse.
L’Onu parla di una delle peggiori crisi umanitarie del nuovo secolo. Michelle Bachelet, commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani ed ex presidente del Cile, ha lanciato un appello per chiedere la creazione di corridoi umanitari per aiutare i profughi siriani. I dati pervenuti parlano di circa 500mila persone, tra cui moltissimi bambini, che nel corso dei giorni si sono messe in marcia per sfuggire a un’offensiva guidata dall’esercito di Bashar al Assad appoggiato dall’aviazione russa. Questa massa di persone, che scappa dai bombardamenti aerei e dai colpi di artiglieria, non ha un posto dove andare. L’unico orizzonte è la frontiera turca. L’attacco delle forze di Assad e degli alleati russi a Idlib ha provocato la morte di 33 soldati turchi, facendo precipitare la situazione.
Erdogan ha deciso di fare un passo indietro rispetto all’accordo firmato nel 2016, che ha visto versare 6 miliardi di euro comunitari nelle casse turche per la gestione dell’arrivo dei migranti sulle coste greche, riaprendo la rotta balcanica. Sono sempre di più i migranti che cercano di entrare in Europa attraverso la Grecia e chiedere la protezione internazionale.
Alcuni giorni fa la Turchia – apertamente schierata nella guerra civile siriana soprattutto in funzione anticurda – aveva chiesto alla Nato un appoggio di tipo militare, non concesso. Sembrerebbe allora che Erdogan abbia deciso di ritirarsi dall’accordo per ottenere più soldi dall’Ue. Ciò che unisce due Paesi mai stati amici come Grecia e Turchia sono i 120 chilometri di frontiera, tra fiume e boschi, non facili da presidiare. Inoltre buona parte dei migranti che arriva dalla Turchia giunge in Europa sbarcando sull’isola di Lesbo, dove si trovano già migliaia di profughi.
«Con circa 40mila persone intrappolate nelle isole greche, la situazione ha raggiunto il limite di sopportazione per i richiedenti asilo e per le comunità locali, entrambi abbandonati dai leader europei a causa dell’accordo UE-Turchia. Di conseguenza, crescenti tensioni hanno portato a scontri, blocchi nelle strade e attacchi contro chi cerca di dare assistenza», spiega Marco Sandrone, capo progetto di Medici Senza Frontiere a Lesbo, costretto a chiudere, proprio per ragioni di sicurezza, la clinica pediatrica davanti al campo profughi.
Un’altra situazione paradossale è all’interno dell’hotspot di Moria, il più grande dell’isola, che oggi ospita circa 20mila persone (di cui 7mila minori). La capienza massima è di 3.500 persone e sono bloccate in attesa dell’esame della richiesta d’asilo. Secondo alcune fonti, al momento il numero dei rimpatri verso la Turchia è 2.367 persone in tre anni. Un dato che, rapportato agli arrivi, lascia perplessi: infatti, solo mese questo inverno, secondo Unhcr, sono arrivate in mare sulle isole greche 3.370 persone.
Il confine greco-turco è diventando un campo di battaglia. La Grecia ha infatti schierato poliziotti e soldati per non lasciar passare i migranti. Il personale in divisa ha respinto a suon di cariche e lacrimogeni circa 4mila migranti che sognavano di passare sul territorio dell’Unione Europea. Colleghi giornalisti hanno raccontato che forze armate greche hanno sparato e ucciso un migrante siriano, notizia che però il governo di Atene continua a smentire. Sono migliaia le persone respinte non solo sulla terraferma, ma anche per mare. Il video diffuso da alcuni attivisti delle ONG, mostra la Guardia Costiera Greca sparare verso un gommone e speronarlo in modo che affondi. Immagini forti, non facili da dimenticare e che non possono non far rabbrividire. Le immagini delle urla gonfie di rabbia e disperazione della donna che, con estremo coraggio, punta con il dito il fucile d’assalto del militare greco, restano impresse.
E cosa fa l’Europa? In che modo interviene? Con quali strumenti fa sentire la sua voce?
Oltre ad aver riattivato Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, ed aver promesso un aiuto più concreto ai confini marittimi della Grecia nel mar Egeo, le uniche parole pronunciate dai vertici europei, in merito alle violenze e ai soprusi denunciati, sono «No comment».
Ma non dobbiamo stupirci, ormai abbiamo capito come funziona: fino quando accade agli altri, fino a quando non succede nel mio Paese, fin quando a morire sono altre persone, ancora meglio se di altra religione o con la pelle diverse dalla mia, regna sovrana l’indifferenza.
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