«Dove c’è diseguaglianza sociale c’è la mafia»: intervista a Giuseppe De Marzo (Rete Numeri Pari)
Abbiamo intervistato l’economista, attivista e scrittore Giuseppe De Marzo, attualmente collaboratore di Libera e coordinatore nazionale della Rete dei Numeri Pari, in merito alla situazione mafiosa della capitale dopo la mobilitazione nel quartiere Centocelle di Roma.
Come nasce e che cos’è la rete dei numeri pari?
La Rete dei Numeri Pari nasce sulla scia della campagna “Miseria Ladra”, e parte dalla necessità di parlare di uguaglianza sociale dal basso, senza riferirsi alle istituzioni tradizionali, mettendo insieme quelle che sono le vittime della diseguaglianza sociale stessa. Questa necessità è stata creata da una politica che fa sempre più orecchie da mercante. Dove c’è diseguaglianza non c’è democrazia, dove non c’è democrazia c’è la mafia. L’attività della Rete dei Numeri Pari, infatti, lavora secondo de modalità: tramite la lotta su più fronti ad ogni tipo di diseguaglianza da una parte, dall’altra tramite l’esercizio di attività democratiche tra di noi. La Rete unisce tanti soggetti in basso che condividono la pratica del mutualismo, ovvero il reciproco aiuto tra pari, senza aspettare risposte politiche.
Lei ha affermato che dove non c’è democrazia ci sia la mafia. Tuttavia, questo termine oggi ha un significato molto diverso rispetto al passato. Con che tipo di mafia abbiamo a che fare?
Sì, la mafia nel corso degli anni è cambiata molto. Siamo passati da un potere criminale a una vera e propria criminalità del potere. La mafia oggi agisce soprattutto in quella che è stata definita la “zona grigia”, fatta di interessi convergenti a pezzi legali della società. La mafia odierna è la necessaria conseguenza di una cultura dell’individualismo, della distruzione, nella cultura della scorciatoia, nella povertà economica e culturale. Ma oggi le mafie sono più forti di prima, anche se sparano meno. Sfruttano le diseguaglianze sociali per creare un meccanismo di “welfare sostitutivo”, sfruttando l’assenza di uno stato capace di fornire il necessario alla cittadinanza, grazie anche alla grande liquidità monetaria he le mafie possiedono. Un cittadino che non è in grado di dare delle garanzie finanziare vedrà infatti rifiutata qualsiasi sua richiesta ad una banca, ed è in quel momento che è costretto a rivolgersi alle associazioni mafiose. Inoltre i ragazzi neet (https://it.wikipedia.org/wiki/NEET), di cui Roma detiene il primato europeo, come faranno a vivere? Ancora, rivolgendosi alle mafie. I servizi te li fornisce o la mafia.
Il fenomeno mafioso nella Capitale ha carattere autonomo o è specchio di una realtà nazionale?
Entrambe. Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, a Roma sono presenti sia clan autoctoni che mafie radicate anche in altre regioni. Ci sono mafie di tutti i tipi, che collaborano tra loro: infatti, se la mafia di una volta si fondava sul sentimento di appartenenza, oggi clan si rifanno al puro interesse economico e finanziario. Per questo motivo non potranno mai esserci guerre di mafia a Roma, non converrebbe a nessuno. Dove manca una gestione della cosa pubblica, vige la legge del più forte, degli interessi privati.
Eppure spesso si sente dire che Roma sia una città “ingovernabile”. Crede che ci si debba arrendere di fronte a questo?
Assolutamente no. Quella dell’ingovernabilità di Roma è solo una scusa usata da forze politiche incompetenti e non all’altezza, che non hanno alcuna visione politica seria per la città. Non hanno idee, né tantomeno la capacità per attuarle. Roma non è solo governabile, Roma, di fatto, è governata, semplicemente però è in mano alla mafia invece che alle istituzioni. Qualche giorno fa Carlo Calenda ha presentato dei punti per una sua possibile candidatura al Campidoglio che fanno davvero paura. Ha detto che il più grande problema di Roma è il decoro urbano, quando è evidente che la città abbi ben altri problemi. È chiaro che lui e quelli come lui vivano la vita dell’élite, non di certo quella del ceto medio.
Nel novembre scorso, il quartiere romano di Centocelle è balzato agli onori della cronaca a causa di tre attentanti d stampo mafioso. Come ha reagito la popolazione?
La popolazione, com’è naturale, si è impaurita. Gli attentati sono riusciti nel loro intento. Si è anche pensato di militarizzare il territorio, che avrebbe significato mandarci via. Non è con le armi che si sconfigge la mafia, ma promuovendo una determinata visione politica e culturale. Il Movimento Cinque Stelle ha la grandissima colpa di aver attaccato i cosiddetti “anticorpi sociali”, che sono l’anima di Roma. Pensare di governare Roma con politiche securitarie è fuori da mondo. I cittadini si sono difesi, certo, scendendo in piazza e combattendo la paura, ma non sono forze dell’ordine. Sebbene le cause degli attentati non siano ancora state chiarite, è probabile che ci siano grandi interessi speculativi dietro. Il problema, si capisce, è di enorme portata, e non è certo l’attuale “politica dei social” che può risolverlo. Ci auguriamo di tutto cuore di non vedere più candidati a sindaco che dicono che il più grande problema di Roma sta nelle periferie. Roma è tutta periferia, il “centro” è solo un’illusione: come può esserci un centro, infatti, in una città in cui una persona su tre è a rischio di esclusione sociale, 135 mila giovani sono ragazzi neet,150 mila anziani vivono con meno di 11 mila euro all’anno e non possono affrontare una spesa imprevista, 40 mila persone sono senza dimora e 15 mila le famiglie aspettano una casa popolare da vent’anni?
Prima degli attentati, la popolazione romana sentiva nella sfera quotidiana la presenza della mafia?
No, non era affatto percepita, sebbene negli ultimi anni tanti corpi sociali denunciassero la presenza della mafia nella città. La mafia sembra sempre una cosa lontana, una cosa da giornali, anche se ce l’hai davanti agli occhi. Dopo gli attentati, la popolazione ha cominciato a capire come stanno le cose. Fenomeni come la ludopatia e il bullismo, che sono strettamente connessi alla mafia, prima erano visti come problemi a sé stanti. Basti pensare ad esempio al giro economico che sta dietro alle slot machine. Ma questa è solo l’ultima tappa di un processo culturale che si basa sul trovare sempre una scorciatoia, una sorta di “cultura de gratta e vinci”. L’unico argine possibile a questo sono gli anticorpi sociali, perché sicuramente il ceto medio non può farcela da solo.