L’impresa sociale come proposta per il futuro: intervista a Lorenzo Leonetti
Da buona millennial quale sono, la prima immagine che mi prefiguro quando penso a un imprenditore è una persona ricca, piena di soldi e un po’ spocchiosa, di quelli che contano fino all’ultimo centesimo il guadagno dell’azienda. Sicuramente non uno che si preoccupa per gli altri.
Poi ho intervistato Lorenzo Leonetti, che ha totalmente ribaltato l’idea che avevo in mente di impresa e ristorazione.
Quando abbiamo pensato all’intervista, l’obiettivo era farci raccontare la sua esperienza come cuoco sulle navi delle ONG che salvano migranti. Mentre però parlavo con lui mi ha colpito questa sua etica lavorativa che scalda il cuore e che dà speranza nel futuro, la speranza che nel mondo capitalistico di oggi esistano ancora persone che non si riducono alla pura ricerca del guadagno economico.
Come racconta lui, “il concetto di impresa sociale non è né un’idea nuova né innovativa, ma viene dalla storia antica. Nel Medioevo le botteghe degli artigiani erano un luogo non solo di produzione, ma anche di apprendimento per giovani ragazzi. Abbiamo solo perso questa concezione bellissima”.
E così, nella sua osteria Grandma, nel quartiere Quadraro a Roma, ha mixato due sue grandi passioni: la cucina e l’impegno per il sociale.
Raccontaci in cosa consiste un’Impresa sociale e come hai trasformato il tuo ristorante secondo questo concetto.
Sono nato in una famiglia che mi ha sempre trasmesso l’idea dell’aiutare il prossimo, e fin da piccolo sono stato impegnato in attività di volontariato. Quando ho iniziato a lavorare nella ristorazione continuavo a dedicare al terzo settore tutto il tempo libero che avevo; insomma, o cucinavo, o facevo volontariato. Poi, grazie a diversi contatti nel settore, ho trasformato la mia passione per la cucina in attività sociali: avendo io un’impresa, ovvero il mio ristorante, avevo la possibilità di fare inserimenti lavorativi e formazione per l’ambito ristorativo. E allora perché non farlo gratuitamente per le cause a cui tenevo particolarmente? Così ho iniziato a insegnare nelle classi di formazione di cucina per immigrati, italiani e neet, grazie al progetto Matechef. Più incontravo questi giovani ragazzi, più nella mia testa si creava un circolo virtuoso che mi spingeva a dedicare parte degli incassi della mia azienda a queste formazioni, coinvolgendo però più associazioni e partner possibili.
Da qui è nata l’idea dell’Impresa sociale: una impresa che ridona alla propria comunità parte dei suoi guadagni. Ho trasformato cioè un impegno personale in un impegno del mio ristorante, cercando di costruire una rete di attività virtuose che decidono di focalizzarsi non solo sul guadagno, ma sul dare un impatto sociale e positivo alla comunità.
Questa idea mi ha permesso di mixare il mio amore per la cucina con la mia voglia di impegnarmi socialmente. Tutto quello che facevo personalmente nel terzo settore lo faccio adesso con la mia impresa.
Posso riassumere il tutto in una frase, che può sembrare molto retorica, ma ti assicuro che è totalmente vera: non trovo altro modo per spendere meglio quel tempo e quei fondi se non in queste attività.
Per cui il tuo ristorante ha un concept preciso condiviso da tutto il personale?
La mia Osteria oramai si muove grazie all’impegno sociale che ci mettiamo dentro. Cerchiamo però di trasmettere questi valori anche a chi viene a trovarci o chi entra in contatto con noi, per cui sarebbe impensabile che i miei valori non vengano condivisi e diffusi anche da tutto il mio staff.
Quando faccio delle selezioni per nuovo personale pongo molto l’attenzione sulle qualità formative del candidato, a prescindere che la persona sia giovane, con esperienza o meno. Mi chiedo sempre quanto il mio personale, oltre che a lavorare bene, riesce ad insegnare bene il mestiere? Quanto condividono i valori del ristorante?
Anche perché, nel Grandma, i valori che condividiamo sono visibili, anche fisicamente.
C’è un angolo merchandising della Open Arms, e nel mondo di oggi supportare una ONG che salva le persone in mare già ti schiera in qualche modo.
Quanto, secondo te, i clienti del Grandma sono influenzati dai valori che esponi?
La realtà della mia Osteria è abbastanza particolare: ho aperto nel quartiere Quadraro Vecchio, che si può definire l’ultima borgata di Roma, un quartiere da sempre molto schierato a livello ideologico.
Per cui coloro che negli anni hanno frequentato il nostro ristorante o che pensano di venirci a trovare, già sentendo la parola Quadraro si aspettano un locale di un certo tipo.
In più, come dicevo prima, noi esponiamo fisicamente i nostri valori, per cui gli ideali che cerchiamo di professare sono ben visibili.
Ammetto che negli anni è capitato di avere scontri al bancone, differenze di vedute con qualche cliente, ma poi si parla, si scambiano opinioni, e spesso quello stesso cliente torna a mangiare da noi.
Insomma, se ti esponi puoi discutere, se invece il ristorante si riduce a un posto dove mangi e basta non farai mai uscire determinati argomenti, che noi cerchiamo in tutti modi di tirare fuori e diffondere.
Alla base di tutto però c’è sempre la buona cucina, altrimenti non funzionerebbe l’idea.
Per cui abbiamo clienti che tornano perché si mangia e bene, e clienti che tornano perché si mangia bene e perché sosteniamo determinati valori.
Tu sei anche stato volontario sulla Open Arms come cuoco, ti va di raccontarci come è nata questa esperienza, e come ti ha cambiato?
Entrando in contatto con tanti giovani migranti mi sono reso conto che l’esperienza di “approdo” nel Mediterraneo è quella più importante per molti di loro. Così ho deciso di andare a vedere con i miei occhi, contattando la Open Arms e chiedendo cosa potessi fare per loro. “Fra 10 giorni serve un cuoco a bordo, saresti disponibile?” Non ci ho pensato due volte.
Imbarcarsi è un’esperienza che non va solo vissuta, ma va raccontata, va diffusa a gran voce. Bisogna creare consapevolezza e umanità nel nostro Paese. Dopo che salvi un barcone carico di migranti, ti rendi conto che se non ci fosse stata la tua nave lì in quel momento, quelle persone sarebbero andate alla deriva o morte. Questa idea ti si rigira nel cervello e ti fa cambiare la prospettiva di ogni cosa.
Io poi ho vissuto in prima persona l’angoscia dopo i numerosi rifiuti dei vari Stati Europei per un l’approdo in un porto sicuro.
Quando ti trovi da italiano su una nave spagnola, e il tuo governo decide di non supportarti, di non darti un attracco, la prima sensazione è quella di delusione; poi arrivano i sensi di colpa verso le persone che sono lì davanti a te e aspettano con speranza.
A lungo andare però, quando interiorizzi e ti rendi anche conto che attualmente l’ideologia predominante dell’Italia è l’opposta alla tua volontà di aiutare, allora sale un senso di rabbia incredibile.
Per questo è importante parlarne, esternare l’argomento, raccontare la situazione così come l’ho vissuta io. Il cuoco lo potevo fare da qualsiasi parte, ed effettivamente lo poteva fare chiunque, per questo non volevo limitarmi ad essere solo “un cuoco che cucina su una nave della ONG”. La mia missione ora è diffondere la voce e parlarne.