Lampedusa, l’isola che c’è: le interviste a Eleonora Camilli e Pietro Bartolo
Lampedusa è una lingua di terra in mezzo al Mar Mediterraneo. Meno male che c’è. Che altro si potrebbe dire, di Lampedusa, a posteriori?
Sono arrivata a Lampedusa la mattina del 30 ottobre, dopo aver trascorso la notte precedente a Palermo. Raggiungere l’isola partendo da Roma, in bassa stagione, non è semplice. Durante l’ultimo giorno di permanenza, mentre ero seduta al tavolo di un bar di via Roma, vicino a me c’era il proprietario che cantava un ritornello: «Paese mio, che stai sulla collina». È un brano dei Ricchi e Poveri – Che sarà – che molte delle persone che hanno vissuto in un piccolo Paese conoscono. E tutti quelli che vivono o hanno vissuto in un piccolo Paese fanno i conti con almeno due concetti: la lontananza, che è quella fisica; la distanza, che è quella emotiva.
Lampedusa sembra un luogo geograficamente molto distante anche dall’Italia, dalle sue principali città. Basti pensare che i voli diretti che partono da Roma si concentrano perlopiù nel periodo estivo, quando le persone scelgono questa meta per le vacanze. Lampedusa è molto presente nei notiziari, nelle pagine dei giornali e in generale nel dibattito pubblico e politico, eppure cosa abbiamo capito davvero di Lampedusa dopo anni che ne parliamo? Siamo ancora lontani da una ricostruzione dei fatti obiettiva e da una narrazione limpida, non corrotta dagli interessi della politica, per esempio.
La narrazione che i media hanno fatto di Lampedusa negli anni ha scavato proprio lungo queste due traiettorie: la distanza, che ci permette di agire in modo disinteressato nei confronti di un qualcosa che sembra non riguardarci; e quindi la lontananza; portando conseguenze molto serie.
Eleonora Camilli, giornalista che scrive anche per Redattore Sociale, ha risposto ad alcune nostre domande a margine degli eventi organizzati dal Comitato 3 ottobre per la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza. Secondo Camilli è da circa un decennio che i toni utilizzati dai media sono sempre allarmistici quando utilizzati per parlare di tragedie o di invasione. Dopo il 2013, anno del naufragio del 3 ottobre in cui morirono 368 persone, qualcosa sembrava essere cambiato e si rifletteva anche sul motivo che spingeva i migranti a partire verso Lampedusa o, più in generale, verso l’Europa. Ad oggi i toni sono di nuovo quelli allarmistici di un tempo, che descrivono la migrazione come un pericolo o un problema, sicuramente anche a causa di un diverso panorama politico. Camilli spiega il paradosso di Lampedusa dicendo che il problema dei media è che non parlano mai dell’isola stessa, che è un’isola che vive soprattutto grazie al turismo: «C’è questa situazione quasi distopica per cui i media raccontano “l’isola dei migranti” quando qui i migranti quasi non esistono: stanno nell’hotspot di Contrada Imbriacola, che è lontano dal centro abitato, da lì non possono uscire e i giornalisti non possono accedervi. Non esistono neanche come soggetti portatori di diritti. I media non parlano di migranti come persone che hanno diritto a chiedere asilo politico, per esempio, ma solo del fenomeno migratorio come problema da risolvere». I dati, secondo Camilli, possono aiutare a costruire una narrazione più chiara e corretta, perché aiutano a contestualizzare un certo fenomeno. «Ma le persone non sono numeri, bisogna raccontare le loro storie, da dove partono e perché partono. Spesso si è parlato di push factor, ma quello che è davvero importante è il pull factor: cosa li spinge a lasciare i propri Paesi d’origine» chiarisce.
Per migliorare la qualità dell’informazione che riguarda le persone migranti e tutelare i richiedenti asilo è stato necessario redigere, già nel 2008, un Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti, noto anche come Carta di Roma e che dal 2016 è parte integrante del Testo unico dei doveri del giornalista.
Pietro Bartolo è un medico e europarlamentare, a Lampedusa è quasi una celebrità. È stimato da molte delle persone del luogo e soprattutto da quanti sono arrivati a Lampedusa in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza. Lo incontro nel primo pomeriggio del 2 ottobre. Lui è davanti ai pannelli esposti all’esterno dell’Archivio Storico Lampedusa sui quali sono apposte foto dell’isola e dei lampedusani. Un gruppo di persone ha formato un semicerchio davanti a lui, lo ascoltano con attenzione. Poco dopo, anche se il gruppo si disperde, Bartolo si intrattiene con chi lo ferma per fargli qualche domanda, scambiare due parole o anche per fare una foto insieme.
Quest’estate c’è stato un periodo in cui il tema centrale dei notiziari era il sovraffollamento dell’hotspot di Lampedusa, un centro che può accogliere 300 persone al massimo e che a fronte anche di un lieve incremento degli arrivi ha raggiunto fino a 1000 ospiti. Il problema sono chiaramente le condizioni di vita che si creano in questi casi: la difficoltà nella gestione crea una situazione invivibile dal punto di vista igienico sanitario e della sicurezza delle persone. Secondo Bartolo la narrazione mediatica e politica che fa uso in modo eccessivo di termini come invasione ma che contribuisce anche alla diffusione di informazioni false sui migranti è «da criminali». Anche secondo Bartolo quello che manca è una narrazione che si concentri sulle cause e che parli della vita e del trascorso delle persone che arrivano a Lampedusa, del viaggio che affrontano e delle violenze che subiscono. Bartolo fa questo, racconta la storia delle persone che ha incontrato e poi racconta la sua storia. Parla degli incubi che dopo anni di lavoro – la notte del 3 ottobre era a Lampedusa e nei giorni successivi si è occupato delle ispezioni cadaveriche – e di impegno politico ancora lo tormentano. Inoltre, sottolinea spesso quanto si parli poco o affatto delle condizioni psicologiche dei migranti che sono spesso invisibili e quindi più difficili da curare. «I confini vanno difesi, certo, ma il nemico da cui bisogna difenderli non è la persona migrante. Questo tipo di narrazione ha plagiato le persone, io credo sia una forma di incitamento all’odio. C’è bisogno di una contro narrazione: raccontare le cose come stanno per far riflettere le persone. Poi c’è sicuramente bisogno di un’azione politica diversa, perché è la politica che deve dare risposte sul fenomeno migratorio» conclude Bartolo.