La crescita del cives accompagnata dal magister
“Non si insegna quello che si vuole; dirò addirittura che non si insegna quello che si sa o quello che si crede di sapere: si insegna e si può insegnare solo quello che si è”.
La citazione di Jean Jaurès è, in realtà,il modo migliore per parlare dell’Insegnamento trasversale dell’educazione civica negli Istituti d’Istruzione Primaria e Secondaria del nostro Paese.
Solo in un’ottica che preveda il cammino virtuoso fra discente (il futuro cives) e docente (magister) si può ben capire lo spirito che ha stimolato il legislatore a (re)introdurre, con la Legge 92/2019, l’Insegnamento trasversale di Educazione civica.
Perché, dunque, l’esigenza di fare educazione civica per legge?
La ragione per la quale il Parlamento ha legiferato in questa maniera ( i tecnici del diritto parlano in tal senso di ratio legis) è che, secondo i proponenti, vi sono gravi lacune da parte dei giovani in relazione alla sensibilità sociale, politica ed economica. Carente risulta(va) anche la responsabilità verso la quale ogni cittadino dovrebbe sentirsi partecipe in quello che è il suo ruolo all’interno della vita pubblica della polis.
Lo Sovranità appartiene al popolo, occorre però ricordarglielo. Occorre influenzare e stimolare il ruolo dei cittadini, facendo leva sulle giovani generazioni.
Un esempio molto preciso di come l’appartenenza alla Repubblica sia – specie fra i giovani – carente è ben delineabile dalla scarsa partecipazione alle elezioni di ottobre dell’anno scorso.
Mi ricordo che mentre si votava per il Senato e Camera dei Deputati ero in Irlanda per un progetto Erasmus (assieme ad altri 50 studenti circa).Solo uno si prese l’impegno di votare dall’estero.
Sarà stato uno sfortunato caso, ad ogni modo maggior tristezza e desolazione mi ha assalito quando scoprii che nessuna Scuola (quindi non solo la mia) aveva avvisato gli alunni di come avessero potuto esercitare il loro diritto-dovere al voto all’estero. Sarebbe stato invece un bel modo per applicare l’educazione civica.
Evidenziare come l’educazione civica sia utile solo per colmare una o più lacune che secondo la classe politica hanno i giovani non sarebbe sufficiente per affermare l’intrinseca importanza che la contraddistingue e che è il carattere essenziale della missione educativa.
Partendo dal presupposto che insegnare il galateo e le buone maniere sono compito specifico e irrinunciabile della famiglia, non possiamo non dimenticare che l’educazione alla vita della polis è ruolo improcrastinabile che spetta alla Scuola.
Con l’avvento dello Stato Moderno e democratico, infatti, è iniziata un’opera (lenta e ancora da compiere) di democratizzazione dell’Istruzione. Piano piano, con grande fatica, la scuola è diventata quell’ Istituzione che porta in consegna il significato della cultura della collettività.
Proprio per essere portatrice di valori comunitari ecco che la Scuola non può essere quella del salotto di casa dell’aristocratico ma deve essere un’aula. Grande, per tutti, dove insieme si parte da una base comune per tentare di scrivere un destino migliore del nostro passato.
Se facciamo caso e desideriamo dare un’occhiata al nostro Codice Civile (che è stato approvato in epoca pre-repubblicana) noteremo che nel titolo che parla delle responsabilità di certe obbligazioni, vi è anche la responsabilità tipica del “precettore”, colui il quale si recava in casa, privatamente ad istruire il fortunato e ricco giovane che poteva così crescere. Crescere però come singolo, non come membro di una comunità.
Crescere assieme in un Paese che riconosce i principi fondamentali dello stato di diritto, necessita dell’aula e del magister, dell’Insegnante che nel suo agire quotidiano educhi anche a quei valori eminentemente culturali che ci contraddistinguono nelle nostre origini. Non per chiuderci a riccio nei confronti di chi non è come noi, ma per essere consapevoli della ricchezza della diversità e crescere “Uniti nella diversità”, come recita il motto dell’ Unione Europea.
Fin dalla fondazione della Repubblica, dunque, si capì che il ruolo educativo della Scuola non poteva prescindere dal preparare il discente nel suo ruolo di cittadino.
Già il Padre costituente Piero Calamandrei parlò di scuola come “più importante del Parlamento e della Corte Costituzionale se si vuole che la democrazia che ora si è fatta in seguito si mantenga”.
Nel 1945 degli illuminatissimi programmi di quella che allora si chiamava Scuola Elementare chiarirono bene la questione:
“La Scuola Elementare, pertanto, non dovrà limitarsi a combattere solo l’analfabetismo strumentale (350 mila persone, secondo Istat. L’attuale problema invece è l’analfabetismo funzionale e di ritorno che, secondo l’OCSE, colpisce il 27,7% della popolazione italiana), mentre assai più pernicioso è l’analfabetismo spirituale che si manifesta come immaturità civile, impreparazione alla vita politica, empirismo nel campo del lavoro, insensibilità verso i problemi sociali in genere. Essa ha il compito di combattere anche questa grave forma di ignoranza, educando il fanciullo, l’uomo e il cittadino (…).
È da rilevare che con l’educazione morale e civile si mira più che a una precettistica di vecchia maniera, alla formazione del carattere, con un avveduto esercizio della libertà nella pratica dell’autogoverno. A tal fine è premessa indispensabile l’unità di insegnamento.
La stessa costituzione delle singole materie è sorta da questa esigenza unitaria e dalla critica all’indirizzo dispersivo delle precedenti partizioni, che favorivano un insegnamento frammentario e slegato”.
Avanguardisti questi programmi. Di un attualità spiazzante perché compresero in modo assolutamente calzante che la finalità educativa dei saperi deve percorrere la strada del civismo.
L’estensione del concetto di civismo anche alle Scuole “Medie e Superiori” avvenne successivamente col DPR 585/1958.
Giova ricordare che il proponente di questo importante pilastro educativo fu l’Onorevole Aldo Moro, autentico servitore della nostra Repubblica. Il 09 Maggio 1978 verrà trovato morto in via Caetani, a Roma, dopo essere stato assassinato dalle Brigate Rosse.
Il DPR 585 ben identifica i problemi del sistema di istruzione che talvolta sono ancora presenti tra noi:
“La Scuola giustamente rivendica il diritto di preparare alla vita, ma è da chiedersi se, astenendosi dal promuovere la consapevolezza critica della strutturazione civica, non prepari piuttosto solo a una carriera. D’altra parte il fare entrare nella scuola allo stato grezzo i moduli in cui la vita si articola non può essere che sterile e fin anche deviante.
La soluzione del problema va cercata dove essa è iscritta, e cioè nel concetto di educazione civica. Se ben si osserva l’espressione “educazione civica” il primo termine “educazione “si immedesima con il fine della scuola e il secondo “civica” si proietta verso la vita sociale, giuridica, politica, verso cioè i principi che reggono la collettività e le forme nelle quali essa si concreta”.
L’etica condivisa è la chiave che consente di trasformare le conoscenze acquisite nel corso degli studi in autentiche competenze a favore del bene comune.
Senza presupposti etici potremo educare degli iper competenti Medici Chirurghi che, privi di una educazione alla polis, potrebbero delinquere nell’operare illegalmente bambini e lavorare a favore del traffico di organi.
L’unica via per evitare di interfacciarsi con cittadini immaturi, insensibili o magari anche rispettosi delle regole ma solo per paura delle sanzione (non perché ne riconoscono il valore per la collettività) è generare un vortice educativo che operi in tal senso.
Per lavorare su questa rotta, tuttavia, è necessario che i Magister ai quali ogni giorno affidiamo i nostri figli siano veramente idonei e portatori di ideali che dovrebbero essere patrimonio condiviso e parte fondamentale dell’etica pubblica.
Paulo Freire ne “Le virtù dell’educatore” mette al primo posto la coerenza con ciò che si dice e quello che si fa. I ragazzi sono abilissimi ad accorgersi anche della incoerenza più impercettibile, compito del Docente non è quindi quello di disumanizzarsi e rendersi un robot ma proporre con umiltà uno stile di vita che sia fatto di più “Noi” e meno “Io”. Si è Docenti 24 ore al giorno, anche quando si va in vacanza, anche quando – fuori dal luogo di lavoro – si prende parte ad azioni che ledono l’immagine dell’amministrazione o fanno perdere quell’opinione inizialmente positiva che si aveva sull’educatore.
L’errore, la caduta, in realtà non si trasformeranno così in condanne assolute e per le quali non è possibile redenzione. Anzi. L’errore posto dallo studente o dal suo Insegnante sarà un modo per risalire in superficie e cresce cooperativamente.
Crescere cooperativamente tuttavia richiede dei patti, un’adesione a dei principi che si traducono in norme di buona condotta effettivamente rispettate, applicate, credute.
Col buon esempio si educa in modo civico e si portano a casa i risultati più commoventi.Educare al buon esempio è l’impresa più difficile in quanto vanno abbandonati altari, mere e inutili “medagliette professionali”, più delle volte autocelebrative e va messo in primo piano lo studente, fulcro attorno al quale ruota l’operato didattico.
Talvolta, anche nella nostra progettazione curriculare siamo poi soliti far narrare agli studenti episodi di educazione civica anziché inserirla nell’agito.
Che senso ha imparare a memoria gli articoli della Costituzione se poi non si traduce in vita reale il significato che vi è nascosto fra le righe?
Il quadro nazionale ed internazionale dell’educazione civica ci fa cogliere come la chiave europea sia di preminente importanza per capire la costruzione educativa di tale insegnamento che è sempre trasversale ad ogni disciplina.
Già le linee guida del 2009 su Cittadinanza e costituzione parlavano di un requisito fondamentale per fare buona educazione civica: un idoneo ambiente di apprendimento. Non solo dal punto di vista strutturale ma soprattutto umano.
L’attività di educazione civica deve tuttavia inserirsi nel regolare servizio didattico, quindi è principio presente in tutte quelle diverse declinazioni de “La competenza” individuate dalla Raccomandazione UE 22.05.2018.
Ecco le 8 competenze chiave sulle quali si fonda il sapere europeo:
- Alfabetica funzionale;
- Multilinguistica;
- Matematico-scientifica;
- Digitale;
- Personale, sociale, imparare ad imparare;
- Cittadinanza;
- Imprenditoriale;
- Consapevolezza e espressione culturale.
Andando sul pratico (agito), tutti noi reperiamo in rete notizie, dati e informazioni. Per poter serenamente cercare le informazioni che desideriamo quindi dobbiamo mettere in pratica quelle competenze che consentono di fare il discernimento fra fonti più e meno attendibili. In tal caso dunque si fa riferimento alla competenza alfabetico-funzionale legata a quella digitale e personale, sociale, imparare ad imparare.
Andando un pochino a fondo su queste 8 competenze chiave sono necessarie delle precisazioni.
Quando si parla di multi linguaggio si intende sia la lingua madre e/o straniera ma tutti i meta-linguaggi. Quindi anche le arti e la Matematica, strumenti attraverso i quali si può descrivere e analizzare il mondo che ci circonda.
L’insegnamento ostico di una disciplina come la Matematica, quindi, è di preminente importanza e va fatto non solo come un’ostica teoria magari da imparare a memoria in vista del compito in classe. Si dovrebbe insegnare raccontando storie reali. La Matematica in quanto tale è piena di ripercussioni reali. Si pensi al calcolo del tasso di ammortamento di un mutuo, alla statistica, al ruolo sempre più intrigante fra matematica e musica.
La competenza scientifica, invece, è intesa come approccio davanti ai problemi in chiave razionale.
Per competenza digitale occorre precisare come la sapienza nell’uso pratico dello strumento incide solo per il 20%, preponderante viene considerata la capacità critica di accesso all’etere e l’uso responsabile della tecnologia.
Le competenze 5, 6 e 7 sono le cosiddette competenze cognitive, che l’UE identifica con questa bella definizione: “Rilevare occasioni e opportunità e trasformarle in valore per altri”.
Consapevolezza ed espressione culturale è competenza propria delle discipline quali la Letteratura, Storia, Arti, Diritto. Sono molto importanti perché ci fanno capire le nostre origini culturali e ci aprono alla collettività.
Come si pone la L. 92/2019 dinanzi a questi pilastri?
La norma è entrata in vigore il 01.09.2020 e prevede anch’essa l’apprendimento dell’educazione civica non come disciplina ma come “insegnamento”, proprio per notarne la trasversalità su tutte le discipline e sul curriculum.
La legge è frutto di quindici proposte di legge provenienti da differenti sensibilità politiche, non è difficile dunque stupirci dinanzi a delle incongruenze poco utili alla crescita del cives.
Se da un lato si chiede la trasversalità dell’apprendimento dall’altro la stessa norma prevede l’orario predefinito. Quasi un controsenso che smonta il concetto chiave di agire civico in ogni momento della vita scolastica.
Educare i giovani in modo civico e portarli alla responsabilità, poi, cozza con la scelta di assegnare loro una valutazione perché non c’è nulla di più estrinseco e etero diretto di un voto.
Si corre dunque il rischio che lo studente agisca in cambio di una determinata valutazione, non per maturare consapevolezza e responsabilità.
Le opportunità maggiori sulle quali lavora e stimola questa legge sono la conoscenza dell’ordinamento dello Stato e del pluralismo istituzionale; la preparazione attiva e consapevole agli obiettivi definiti dall’agenda ONU 2030.
De relato altri emendamenti hanno aggiunto differenti temi, vorrei ricordare l’educazione finanziaria: assolutamente utile e importante per evitare crisi importanti e danni irreversibili a danno dei risparmiatori che, per eccesso di fiducia, si sono fatti assistere da chi prometteva “l’albero degli zecchini d’oro”.
La competenza, dunque, presupposto essenziale per l’educazione civica, si configura come agire in modo responsabile verso tutti, nessuno escluso.
Questa innovazione normativa carica formalmente i nostri docenti di un impegno gravoso: la rendicontazione in termini amministrativi di ciò che si fa
Rendicontazione che, se corrisponde a realtà, è un impegno usato per scrivere atti amministrativi e non progettare la didattica. Se, invece, non corrisponde a quanto fatto, è una bella scusa per i negligenti i quali potranno dire “l’ho messo in programma”.
Il magister, come sempre, fa la differenza. Perché è solo a lui che lo stato moderno ha chiesto di formare il cittadino, autentico protagonista del domani.
“Nessuno educa nessuno.
Nessuno si educa da solo.
Gli uomini si educano tra loro,
con la mediazione del mondo.”
Paulo Freire