In rete contro il cyberbullismo

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Siamo in un cambiamento d’epoca dove, a causa della crisi pandemica, si può distinguere un “prima covid” e un “dopo covid”. Inizia così la prefazione dell’Atlante dell’infanzia (a rischio) – Tempi digitali 2023 di Save the Children [scaricabile qui].

Nel 2020, circa tre anni fa (anche se in realtà sembra che sia passato molto più tempo) l’hardware e il software hanno avuto un ruolo preponderante nel quotidiano e sono diventati il motore attraverso il quale abbiamo potuto lavorare, incontrarci con gli altri e divertirci.

Prima di quel periodo pandemico in cui, per allinearci alle esigenze del tempo, siamo diventati improvvisamente esperti di tecnologie e sistemi di videoconferenze, quasi mezzo miliardo di giovani nel mondo non disponeva di una connessione ad internet.

La parola disuguaglianza, quindi, si è unita a una già preesistente povertà educativa che ha visto la sua deflagrazione in questo particolare periodo storico: il 72% degli alunni nel mondo che sono stati esclusi dalla didattica a distanza viveva infatti nei nuclei familiari più poveri dei rispettivi Paesi.

La tecnologia destinata ad avere molteplici vantaggi, ha numerosi punti di debolezza. Al tempo stesso risulta essere una delle più importanti chiavi di volta per ridurre notevolmente diseguaglianze.

Tutto cambia sotto la lente d’ingrandimento della tecnologia: si pensi all’informazione e, ad esempio, alla scelta de il manifesto di negare bloccare ChatGpt.

La tecnologia, fra le altre cose, è anche strumento di perseguimento e difesa della libertà: tali e tanti episodi di denuncia di crimini contro l’umanità sono stati e tutt’oggi vengono veicolati per tramite dei Social Networks che consentono in breve tempo di raggiungere una amplissima platea.

Di fronte alle innumerevoli “autostrade digitali” è necessario concentrarsi sul triste fenomeno del cyberbullismo.

“Le parole fanno più male delle botte”: ricordiamo così la prima vittima di cyberbullismo Carolina Picchio che si è tolta la vita nel gennaio del 2013. 

I numeri parlano chiaro di come questo sia un problema reale: il 25,3% degli studenti riporta di essere stato vittima di bullismo e il 7,9%, in particolare, denuncia di essere vittima di cyberbullismo.

Una presenza “truccata” da parte degli adolescenti nei social network è sicuramente una delle prime criticità, problema che può essere risolto con strumenti che identificano realmente l’identità del fruitore (è in studio l’idea di uno SPID apposito per minorenni, in tal senso).

Le vittime che maggiormente soffrono di questa pratica illegale sono le donne. Si pensi alla pratica della “Boiler summer cup”: scelte denigratorie di ragazze che mirano a deridere per caratteristiche fisiche.

Definire il bullismo non è tema facile: nella previsione normativa penalistica attuale non esiste nessuna fattispecie che il legislatore ha configurato come “atti di bullismo”. Si tratta di singoli reati che possono essere sintomatici di quella situazione di disagio interiore che la vittima sta patendo.

Il nostro ordinamento giuridico sotto l’aspetto civilistico, ovvero nel profilo del risarcimento del danno, si presenta invece più attento nei confronti della vittima: l’articolo 2043 del Codice Civile tratta infatti del cosiddetto “Illecito extracontrattuale”. Non occorre una complessa attività ermeneutica per comprendere come chi subisce attività denigratorie della propria immagine e reputazione (ancor di più se effettuate con uno strumento che amplifica questi atti offensivi) ha diritto a un “idoneo risarcimento” che soddisfi i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

Nel 2017 è stata promulgata la Legge 29 maggio 2017, n. 71, importante perché definisce il concetto di Cyberbullismo:

Qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.

La gravità del fenomeno che ha indotto il legislatore ad agire in tal senso ci consente di individuare gli strumenti attuali e concreti che mirano a contrastare questo fenomeno secondo l’ottica meramente sanzionatoria, un’ottica che già sappiamo essere insufficiente a risanare e a ridare serenità alla vittima. Non si può tuttavia, in un contesto educativo statale, lasciare all’angolo aspetti normativo-istituzionali perché essi, anche se non completamente risolutivi, chiedono una pronta applicazione anche solo per trasmettere agli studenti quel senso di cittadinanza che compete ad ognuno, ovvero il rispetto delle regole per tutti e in ogni circostanza.

Secondo la legge del 2017 ci sono diversi strumenti per contrastare il cyberbullismo: primo fra tutti è consentire a qualsiasi ultraquattordicenne, con i suoi genitori, di chiedere al titolare del trattamento o al gestore del sito/pagina social di rimuovere qualsiasi suo dato presente. In caso di inerzia l’interessato potrà rivolgersi all’autorità amministrativa preposta: il Garante per la protezione dei dati personali.

In tutte le istituzioni scolastiche italiane, sia statali che paritarie, è stato avviato un lavoro di formazione e sensibilizzazione di docenti e dirigenti scolastici su queste tematiche. Ogni scuola ha un referente per il contrasto al bullismo/cyberbullismo che è il riferimento di ragazzi e ragazze che si trovano in difficoltà.

Sono state inoltre potenziate le sanzioni disciplinari che possono essere irrogate a chi compie questi atti e introdotta la sanzione amministrativa dell’ammonimento da parte del questore nei confronti del minore e dei suoi genitori.

Questi strumenti afflittivi – che si vanno a sommare ad altri specifici, a istanza di parte (risarcimento, denuncia in sede penale…) – non mirano però a un sincero ravvedimento della vittima e a una riconciliazione della frattura che si è venuta a creare.

Per questo diventa fondamentale rafforzare un concetto: quello della vicinanza fra studenti e coloro i quali sono deputati alla loro crescita.

Se di primo acchito il termine vicinanza può sembrare vago, astratto e di difficile applicazione in realtà i grandi esperti della pedagogia possono esserci di aiuto: già nel famoso “I Care” di don Milani ritroviamo il sincero interesse dell’educatore per la crescita umana del suo alunno.

Tutti gli alunni nel periodo post-pandemico, dal più sfrontato a quello più timido, hanno espresso nelle statistiche Invalsi una mancanza di cura e attenzione da parte degli adulti nei loro confronti. Molti di loro notano una lontananza da parte degli adulti, anche da quelli appartenenti al mondo della politica.

Sembra quasi che più il tempo passi e più l’assenza relazionale fra i più grandi ed i più piccoli trovi la sua manifestazione da parte del soggetto più debole (i giovani) in azioni extra-ordinarie che per ribellione o per richiamo di attenzione o per mera debolezza cercano vie d’uscita pericolosissime, fra le quali la sopraffazione del coetaneo, oggi anche con l’uso della tecnologia.

Agevolare il dialogo intergenerazionale può portare ad allentare questi gravi pericoli per il benessere psicofisico degli adolescenti.

Conciliare dolcezza e fermezza, intesi come sanzione ma anche accompagnamento personale di “vittima e carnefice”, sono una strategia che consente di rimarginare ferite e crescere “cooperativamente”.

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