I ballerini informatici
Lockdown o non lockdown? Questo è il dilemma che sta attanagliando tanto i governi quanto i cittadini. Cittadini che sono anche lavoratori, o, come si suol dire, la forza economica che porta avanti il paese.
Ciò che ricorderemo della primavera 2020, tra le altre cose, sarà sicuramente l’esplosione delle live streaming di esibizioni canore, performance di ballerini e attori teatrali e tante altre professioni che vengono accomunate – e non di rado sminuite – sotto il nome comune di “artista”. Alcune di queste performance online erano fruibili gratuitamente, altre erano a pagamento.
In un periodo di grave crisi economica, che sia o meno dovuta a un lockdown, gli artisti vanno aiutati e lo ha detto anche una pubblicità di “CyberFirst”, un programma per i giovani lanciato nel 2019 dal centro nazionale britannico di cybersecurity. In quale modo? Cambiando lavoro.
In particolare, non si tratta di passare dall’essere ballerino all’essere ginnasta (settori tra di loro comunque incompatibili) ma, come nel caso di Fatima, reinventarsi lavorando nel settore della cybersecurity. Ci sono state naturalmente tante polemiche sul suolo britannico, anche a causa del quiz di cinquanta domande poste dal dipartimento di educazione che, a seguito delle risposte date dagli artisti, li avrebbe collocati nei settori più adeguati. Che, come si direbbe in Italia, li avrebbe candidati per dei lavori veri.
Ci sono state numerose proteste su Twitter e su Instagram, affinché un VFX (addetto ai visual effects) non divenisse un nail artist o un parrucchiere, oppure una fotografa non si ritrovasse nei panni di una portinaia o una pilota d’aereo.
Il ministro Dowden ha scritto un tweet, in seguito alle polemiche, affermando che la pubblicità in questione non ha niente a che fare con il dipartimento per il Digitale, la Cultura, i Media e lo Sport, che “vuole salvare i lavori nel campo artistico”.
Fortunatamente si tratta soltanto di una pubblicità che sarà presto dimenticata, sperando che non venga replicata o presa sul serio anche sul territorio italiano, ma a volte è bene ricordare che chi lavora nel settore delle arti e dell’intrattenimento lo fa anche per la società che svolge “dei lavori veri”.