Cento anni di don Lorenzo Milani
Era nato il 27 maggio 1923, a Firenze, don Lorenzo Milani, che come scriveva Michele Gesualdi, uno dei suoi ragazzi di Barbiana, era “uno di quegli uomini che per le sue scelte nette e coerenti, le sue rigide prese di posizione, il linguaggio tagliente e preciso, la logica stringente, si tirava facilmente addosso grandi consensi o grandi dissensi”. E se su di lui è stato detto e scritto molto, sosteneva Gesualdi, ancora resta molto da scoprire, “soprattutto in quella dimensione religiosa che è l’aspetto fondamentale di tutta la sua vita e delle sue opere”. Così dichiarò qualche giorno fa alla stampa Nazionale il suo primo studente.
Perché, prima di tutto, don Lorenzo era un prete che voleva servire Dio radicalmente e lo voleva fare servendo la gente che gli era stata affidata.
Raccontare la storia di don Lorenzo Milani significa prima di tutto contribuire ad una operazione di riconoscimento tardivo del suo stile e della sua dedizione al ministero sacerdotale ed educativo.
La vita di don Milani subisce una profonda conversione l’8 Novembre 1943, durante la seconda guerra mondiale, quando decide di entrare nel Seminario Maggiore di Firenze.
Prima Lorenzo studiava all’Accademia delle Belle Arti di Brera tecniche pittoriche, fu proprio lo studio della pittura sacra che generò nel giovane i primi dubbi sul suo orientamento vocazionale.
Il 13 luglio 1947 verrà ordinato sacerdote e inviato alla Parrocchia di San Donato di Calenzano.
Don Lorenzo arrivò a Calenzano pieno di entusiasmo come colui che ha trovato il senso della propria vita: finalmente poteva mettersi al servizio del suo prossimo e restituire quanto per 20 anni aveva ricevuto.
All’inizio cercò di avvicinare i giovani alla Chiesa col gioco del pallone, il ping pong e il circolo ricreativo come facevano gli altri preti. Presto però si rese conto che la mancanza di cultura era un ostacolo all’ evangelizzazione e all’elevazione sociale e civile del suo popolo.
Così un giorno il pallone e gli attrezzi del ping pong finirono in fondo a un pozzo che era in mezzo al cortile della canonica e don Lorenzo organizzò una scuola serale per giovani operai e contadini.
Per lui, prete, la scuola era il mezzo per colmare quel fossato culturale che gli impediva di essere capito dal suo popolo quando predicava il Vangelo; lo strumento per dare la parola ai poveri perché diventassero più liberi e più eguali, per difendersi meglio e gestire da sovrani l’uso del voto e dello sciopero. Con quella tenacia di cui era capace quando era convinto di avere intuito una verità andò a cercare uno ad uno tutti i giovani operai e contadini del suo popolo. Entrò nelle loro case, sedette ai loro tavoli per convincerli a partecipare alla sua scuola perché l’interesse dei lavoratori, dei poveri non era quello di perdere tempo intorno al pallone e alle carte come voleva il padrone, ma di istruirsi per tentare di invertire l’ordine della scala sociale.
“Voi – diceva – non sapete leggere la prima pagina del giornale, quella che conta e vi buttare come disperati sulle pagine dello sport. E’ il padrone che vi vuole così perché chi sa leggere e scrivere la prima pagina del giornale è oggi e sarà domani dominatore del mondo”. Aveva una dialettica e una capacità di leggere dentro davvero straordinaria. Riusciva a toccare e far vibrare le corde più sensibili di ognuno.
Nella sua scuola raccolse giovani operai e contadini di ogni tendenza politica, presenza che mantenne e ampliò perché dimostrò di servire la verità prima di ogni altra cosa: “vi prometto davanti a Dio che questa scuola la faccio unicamente per darvi una istruzione e che vi dirò sempre la verità di qualunque cosa, sia che serva alla mia ditta, sia che la disonori, perché la verità non ha parte, non esiste il monopolio come le sigarette”, disse ai suoi giovani uno dei primi giorni di scuola a Calenzano.La concezione scolastica di Milani era in realtà una scuola che mirava ad educare i suoi studenti, ponendo essi dunque in primo piano non solo fornendo conoscenze ma rendendoli parte attiva della vita sociale e politica.
Lavorare con i ragazzi e per i ragazzi significa creare un’alleanza educativa con le famiglie: l’educatore Milani quindi non perse occasione per fare visite periodiche alle famiglie degli studenti ed aiutarle in tutte le pratiche necessità della vita quotidiana. Sia leggere o scrivere una lettera (l’analfabetismo era un problema serio e diffuso) che spiegare loro l’importanza di mandare a Scuola i figli, in realtà qualsiasi cosa, qualsiasi necessità che ci fosse stata da parte dei soggetti ai quali era riservato il suo ministero, lui c’era con una presenza costante, interessante e appassionata.
La vera forza e genialità è stata infatti unire l’impegno ordinario che ha un sacerdote con la comunità di destinazione a quello di insegnante. Il ruolo non fu semplicemente un impegno “a contratto” ma tutt’altro, si trattò di una vocazione e sostanzialmente di una consacrazione nei confronti di quelle povere ed emarginate condizioni precarie di vita alle quali erano costrette le famiglie del posto.
La solitudine e l’emarginazione di Milani e dei suoi figli spirituali si fanno presto sentire: nonostante il successo educativo e pastorale delle sue azioni, nonostante i libri pubblicati che chiedevano una Chiesa aperta al mondo che cambia e attenta alle difficoltà del tempo, verrà abbandonato da tutte le Istituzioni.
Solamente la visita a Barbiana del Santo Padre Francesco avvenuta nel 2017 e del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del centenario, hanno in qualche modo riabilitato la figura di Milani.
Nel 1954 don Milani verrà trasferito a Barbiana, piccolo paesino del Mugello.
Lì costituirà la “Scuola di Barbiana”, iniziata come attività di doposcuola e destinata a diventare una sperimentazione pedagogica innovativa e vincente.
Per poter descrivere in modo chiaro le specificità positive di questa comunità educante è necessario citare la parola chiave del Milani educatore “I care”.
Io mi prendo cura, io mi interesso all’altro, al suo destino e alla conseguenza delle azioni proprie e altrui nei confronti della Società, specialmente a chi si trova in condizioni di povertà materiale ed educativa.
Don Milani in realtà con il suo “I care” è da considerarsi innovatore perché mette l’alunno al centro, frutto di attenzioni anche sul lato emotivo, non solo su quello meramente didattico. Un po’ come quello che accade oggi ai ragazzi che frequentano il IV Anno di Rondine. Don Milani, però, non aveva i fondi che ha oggi Rondine, don Milani è stato un “self-made man” che con olio di gomito ha combattuto la sua battaglia.
La Scuola di Barbiana è la canonica del Parroco, ancora oggi ben mantenuta e visitabile.
Il metodo educativo era innovativo (ricordiamo che siamo a metà degli anni 50): gli alunni avevano occasione di imparare non solo dalle sterili lezioni ma anche attraverso incontri con ospiti illustri che venivano lì apposta per loro, un bel modo per evidenziare sincero interesse nei loro confronti. Ampio spazio anche al dialogo con questi ospiti, dove tutti – alunni inclusi – esprimevano le loro opinioni, erano considerati straordinari; quello che oggi chiamiamo corsi di “public speaking” lì si chiamava “ascolto e conversazione”.
Tutte le mattine si leggeva il giornale e la posta – ad alta voce – e si faceva tesoro delle informazioni ascoltate per collegarsi con la realtà e apprendere storia, geografia e approfondire tutte quelle criticità proprie del tempo (lavoro, italia nel boom economico, diritti dei lavoratori).
Si dava ampio spazio alle attività pratiche: nuotare, dipingere, imparare a sciare, osservare le stelle e riconoscere le costellazioni; lavorare il legno e il ferro non erano solo dei passatempi ma erano la prova per far capire ai ragazzi che imparare serviva veramente, aveva un senso. Dunque, se quello che studio ha una correlazione con la realtà ed io posso esserne protagonista, allora ci investo impegno e tempo (cfr. didattica per competenze).
E per quanto riguarda l’orario scolastico?
Dalle 8 di mattina alle 7 di sera, con opportuna pausa pranzo che non veniva svolta da un servizio di ristorazione, ma con panini e affettati che chi riusciva si portava da casa e chi non poteva si faceva lì, approfittando del frigo della canonica che era colmo perché don Milani si sacrificava in ogni ambito per i suoi ragazzi.
Un orario scolastico che porta dunque ad avere tanto tempo per studiare e apprendere, occorre il dono della sintesi per riassumere gli argomenti trattati. Ecco che si inizierà quindi ad abbellire i muri della Scuola con grafici, mappe concettuali etc. ).
Senza nemmeno rendersene conto i ragazzi utilizzavano un metodo consigliato per l’apprendimento (le mappe concettuali), oltre iniziare a lavorare coi “Flow chart”, presupposto fondamentale per la comprensione dell’Informatica.
La conoscenza precisa della lingua italiana era importantissima, non verranno tuttavia trascurate le lingue straniere verso le quali Milani incentivò convintamente lo studio anche con metodi tecnologici, quali l’uso dei dischi per imparare le lingue “a suon di musica” e attraverso l’ascolto della pronuncia dei verbi.
Ed oggi, cosa ci insegna Milani?
Milani ci insegna che c’è bisogno di tempo pieno. Presupposto essenziale per essere al passo coi tempi e dare a tutti l’opportunità di stare in un ambiente sicuro e accogliente come lo sono le nostre Scuole.
Superare l’immagine stereotipata di percorsi di istruzione di serie A e di serie B e capire che l’apprendimento teorico può e deve essere correlato ad un’ attività pratica sono solo alcuni degli aspetti che oggi non mancano nell’offerta didattica delle Istituzioni Scolastiche, ma vanno messi a sistema affinché siano nelle disponibilità di tutti. Nessuno escluso.
“Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati.”
don Lorenzo Milani