Dopo il lockdown e le rivolte, cosa è cambiato nelle carceri in Italia?
Dopo il lockdown e le rivolte, cosa è cambiato nelle carceri in Italia? Negli ultimi mesi il mondo dietro le sbarre ha attirato l’attenzione di autorità e cittadini, prima per le rivolte del mese di marzo e poi per le scarcerazioni. L’emergenza sanitaria ha infatti contribuito a esasperare alcune criticità come il mai risolto problema del sovraffollamento e la carenza di alcune figure professionali.
L’Associazione Antigone, nel presentare il suo rapporto annuale sulle condizioni di detenzione in Italia, ha ripercorso le tappe della gestione dell’emergenza sanitaria nelle carceri italiane. Il 22 febbraio il dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (DAP) ha espresso in una nota le prime “Raccomandazioni organizzative per la prevenzione del contagio da coronavirus”. Già a partire dal 26 febbraio era chiaro che si stava affrontando una situazione fuori dall’ordinario e le misure preventive hanno fatto spazio a indicazioni più mirate.
Per tutelare la salute dei detenuti e del personale penitenziario, la nuova nota mirava ad assicurare “l’impermeabilità sanitaria in ogni condizione” dell’interno delle carceri. In altre parole, la strategia delineata consisteva nel bloccare il virus all’ingresso.
Ma le norme di distanziamento sociale che tutti ci impegniamo a rispettare risultano estremamente limitanti in un contesto come quello del carcere. Le carceri italiane sono tra le più affollate d’Europa, con un tasso che si aggira intorno al 130 per cento con picchi del 195 per cento a Taranto e Como. In queste condizioni il distanziamento sociale è pressoché impossibile da rispettare. Anche l’età dei detenuti è più alta che altrove, il che aumenta le possibilità di contagio.
E proprio le misure di distanziamento hanno generato il panico tra i detenuti. Alla sensazione di pericolo scatenata dalle notizie provenienti dall’esterno si sono aggiunte la preoccupazione per l’iniziale carenza di dispositivi di sicurezza e l’inevitabile sospensione dei colloqui. A prevalere è stato il senso di isolamento, la paura di restare tagliati fuori dal mondo. Così la situazione è esplosa nei giorni 8-9 marzo, quando le proteste nelle carceri si sono estese a tutta l’Italia.
Da fine febbraio a fine aprile si è registrato un calo complessivo di 7.326 presenze nella popolazione carceraria. Durante il lockdown i reati sono fortemente diminuiti e 3.282 detenuti hanno avuto accesso alla detenzione domiciliare grazie al decreto “Cura Italia”.
Fino al 30 giugno 2020 è stato permesso ai detenuti condannati con pena residua non superiore a diciotto mesi di presentare istanza al Magistrato di Sorveglianza per chiedere che la pena fosse eseguita presso l’abitazione del condannato (o in altro luogo pubblico o privato di cura). Tuttavia, tale misura è preclusa ai detenuti che siano stati condannati per alcune categorie di reati o che abbiano promosso o partecipato a disordini e sommosse.
In definitiva, ai detenuti scarcerati per aver scontato la propria pena non sono corrisposti altrettanti nuovi ingressi e questo ha contributo a snellire in parte l’affollamento.
In questi giorni si fanno però ancora più numerosi gli appelli per chiedere misure alternative alla detenzione, per alleggerire la pressione del sovraffollamento ed evitare l’insorgere di nuovi clusters. Solo pochi giorni fa sono stati registrati nove nuovi casi di positività in Campania.
Se in Italia l’emergenza sembra essere sotto controllo, a preoccupare sono le notizie provenienti dall’estero. Dall’Egitto arriva la notizia della morte per complicanze legate al coronavirus di un giornalista nel carcere di Tora, al Cairo, lo stesso carcere in cui dal 7 febbraio scorso è detenuto il ricercatore Patrick Zaki. E come non pensare a Narges Mohammadi, la giornalista e attivista per i diritti umani rinchiusa dal 2016 in un carcere di Teheran, risultata positiva al tampone. I suoi figli hanno lanciato un appello perché preoccupati per le condizioni di salute della madre e per poter riascoltare la sua voce in seguito al divieto totale di fare telefonate.
L’emergenza Covid ha inasprito quindi le criticità del sistema penitenziario italiano, innescando paure e tensioni che sono sfociate in rivolte non sempre pacifiche, a cui hanno fatto seguito manifestazioni sia di protesta sia di solidarietà da parte dei cittadini. Questo ha di nuovo posto l’attenzione su un problema molto spesso sottovalutato. Oggi l’emergenza sembra essere sotto controllo ma si teme il riacutizzarsi delle problematiche qualora il numero dei contagi dovesse crescere in maniera preoccupante dopo l’estate.