Ascoltiamoci. Essere adolescenti al tempo del Covid-19
Chiedo a un’amica, che quest’anno ha la maturità, come stia vivendo la nuova fase di questa pandemia. “La cosa che mi stanca di più è il fatto di non sapere come saranno le cose: se si tornerà a scuola o no, come torneremo, cosa potremo fare, quando potremo farlo… Preferirei un nuovo lockdown, piuttosto, se almeno avessi la certezza che poi tutto tornasse come prima” e mi guarda stringendosi nelle spalle, un po’ come dire “anche se so che niente tornerà come prima”.
Le sorrido e vorrei tanto trovare una soluzione al suo scoraggiamento, perché penso che in fondo avremmo tutti bisogno di un po’ di abbracci al sapore di “come prima”.
Le soluzioni esistono solo se cercate, e allora in questo articolo provo, con la voce di chi lavora a contatto diretto con i ragazzi più fragili e con le scuole per professione, di offrire un ritratto, un tentativo di analisi e soprattutto una prospettiva per cercare di raccontare e spiegare cosa significa essere adolescenti al tempo del Covid-19. E per capire cosa possiamo fare perché tutte queste adolescenze siano salvate.
Cosa è cambiato: le differenze tra la prima e la seconda fase / l’importanza di avere delle ‘certezze’ / adolescenza e motivazione dopo la chiusura
(tempo di lettura: 3 minuti)
Febbraio 2021: un anno dall’inizio della “prima fase”.
Cos’è cambiato, rispetto a un anno fa? E chi ne soffre di più? Chi ne soffrirà di più? Perché se sappiamo che questa pandemia ha coinvolto tutti, sappiamo anche che non ha stravolto tutti allo stesso modo, e c’è una fascia particolare – quella degli adolescenti – che troppo spesso è stata tralasciata, perché in fondo “tanto quest’anno non vi bocciamo”, e comunque alla fine non sono loro ad aver perso il lavoro. Ma ho letto anche che “sono solo svogliati” e “magari avessi avuto io la DaD”. La narrazione della situazione è difficile per due principali motivi: innanzitutto – e questo non è una novità – perché accade spesso che da adulti ci si scordi di cosa vuol dire essere un adolescente. E poi siamo già in una situazione difficile, quindi è sicuramente molto più rassicurante raccontarsi questa versione della storia: “Cosa vuoi che sia, alla fine, dover stare in casa invece che andare a scuola?”. Sarà rassicurante, ma non è reale.
L’adolescenza è uno dei passaggi più delicati e fragili della vita, e non è così semplice incastrarla dietro a qualche “adesso ci sono cose più importanti a cui pensare”, perché la situazione è molto più frastagliata e complessa. Si sottolinea che è invece nel profondo interesse di tutti assicurarsi che ai nostri ragazzi vengano forniti gli strumenti giusti per affrontare questa fase della vita nel migliore dei modi. Desideriamo ed è nostro dovere proteggere i ragazzini di oggi, per loro e per chi verrà guidato da loro, che – è sempre bene ricordarlo – sono la classe dirigente del futuro.
A tale proposito abbiamo scelto di riportare le parole di Ivan Ferrero, psicologo digitale e delle nuove tecnologie che lavora a stretto contatto con gli adolescenti e con le realtà scolastiche da più di vent’anni.
Come stiamo rispondendo a questa nuova fase della pandemia?
Rispetto alla prima ondata – che si pensava potesse essere anche l’unica – adesso c’è una consapevolezza maggiore della reale portata della situazione. E a livello psicologico questo non è senza conseguenze: se un anno fa si pensava ‘stringiamo i denti e ce la faremo’ adesso molti hanno iniziato a perdere di vista la luce in fondo al tunnel, che a tratti sembra quasi non esserci. Questo continuo apri-e-chiudi, le zone rosse che poi diventano gialle e poi di nuovo rosse e poi arancioni e poi gialle e poi rosse e poi di nuovo arancioni, sulle persone crea la percezione di una situazione fuori controllo.
A livello psicologico, l’assenza di controllo è molto determinante. Questo perché siamo strutturati in maniera tale da riuscire a gestire una percentuale di incertezza nelle nostre vite solo se questa è sorretta da un forte nucleo interno di solidità. Tutto questo scoraggiamento, la perdita di certezze nel proprio futuro e della possibilità di programmare il proprio tempo, ci schiaccia e ci impedisce di avere la forza di affrontare tutte le sfide che abbiamo davanti. Sfide che vanno dalle più semplici attività quotidiane alle più importanti scelte che daranno forma alla nostra vita.
Nel caso dei ragazzi, in particolare, si assiste al convergere di ulteriori aggravanti: in primo luogo, se il clima familiare non è sereno i figli inevitabilmente assorbono tutta la disperazione più o meno esplicita che aleggia per la casa. E la televisione, i giornali, in generale ogni fonte di informazione e di notizia, veicolano questo: incertezza e disordine. In secondo luogo, c’è la DaD. La mancanza del contatto, vedere i propri compagni banco, toccarsi, essere visti ed essere toccati, sono tutti aspetti centrali nella crescita di un adolescente, che vede il suo corpo in trasformazione e avverte il bisogno di costruire relazioni sociali, che sente la necessità di affermare la sua individualità. E tutto questo, in condizioni di normalità, avverrebbe proprio tra i banchi di scuola.
Il sommarsi di questi disagi porta i ragazzi a una difficoltà che può essere decisiva per l’evolversi del loro futuro: c’è una grande fatica a riprendere le attività. È un meccanismo mentale per cui, dopo essersi trovati per un certo periodo in una sorta di bolla – nel senso di essere lontani dalle pressioni concrete della società che si vivono nell’adolescenza – diventa poi molto difficile rialzarsi in piedi e uscire. E questo purtroppo è un pericolo abbastanza tangibile. Io sono a contatto con ragazzi che fanno fatica a rientrare a scuola perché hanno paura di non riuscire a gestire la normale vita scolastica, i litigi, gli scherzi tra compagni… La disaffezione dei ragazzi verso la scuola, la socialità, la perdita di motivazione causata dalla situazione di disagio e dal rendimento scolastico che peggiora, sono tutti fattori che in un momento così delicato e decisivo come lo è la scelta della scuola superiore, possono avere conseguenze importanti sulla vita di una persona.
Soluzioni: cosa possiamo fare? Come scuola, famiglia e singoli ragazzi possono affrontare la realtà
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Siamo fatti per aggiustare: trovare una soluzione. Il quadro è realistico, e come ogni cosa reale è anche complesso e variegato, tuttavia, spesso, la soluzione ad un problema complesso è la via più semplice. La soluzione più semplice si chiama dialogo. Dialogo che significa incontro, significa ascolto attivo e significa molto tempo (qualcosa che in effetti non manca). Semplice, però, non è sinonimo di facile, ed è importante avere la forza di perseverare – non insistere, non forzare, perseverare– nella ricerca continua del dialogo con l’adolescente. Perché è nel dialogo che avviene l’incontro, e non può esserci soluzione allo scoraggiamento senza incontro.
Avverte lo psicologo: “È fondamentale adesso trovare il coraggio di affrontare la situazione. In questo momento è fondamentale che i ragazzi vengano ascoltati”.
Quali consigli possiamo dare a genitori, docenti e ragazzi?
In primo luogo, bisogna prendere coscienza del fatto che probabilmente sarà doloroso, perché i genitori sono i primi ad essere ingabbiati da questa bolla di pessimismo e scoraggiamento. I genitori spesso sono le prime vittime, e anche loro devono affrontare la situazione, che nella mia esperienza viene spesso tralasciata e messa da parte. Affrontare la situazione anche se è doloroso, che significa iniziare a spegnere il telegiornale e chiedere ai propri figli come stanno e come stanno vivendo la situazione. Esprimere la loro difficoltà (anche di genitori) garantendo comunque una forte stabilità e un punto di riferimento per i ragazzi. Creare rete, anche tra genitori e docenti, può garantire stabilità e sicurezza.
In secondo luogo, affinché il dialogo possa avere luogo è indispensabile che si crei un clima di accoglienza e non giudicante. È un processo che richiede tempo, ma non c’è motivo di non iniziare subito. Questo significa che si può proprio partire da domande molto semplici “com’è andata a scuola”, però poi ascoltare con attenzione le risposte, che nella maggior parte dei casi saranno un “tutto bene”, cercare di approfondire con delicatezza “come stai vivendo questa situazione?” e prendere tutto il tempo per ascoltare anche il silenzio. Senza avere fretta. Su questo punto vorrei insistere: è fondamentale non arrendersi davanti alla chiusura dell’adolescente (che avviene sempre), ma anche non fare forza sul loro spazio. È importante garantire loro una stabilità, perché sappiano di avere uno spazio aperto in cui essere ascoltati. Bisogna prendere responsabilità dei ragazzi, perché hanno bisogno di riferimenti.
Per quanto riguarda la scuola, naturalmente l’ideale sarebbe che le scuole potessero restare aperte. La situazione lo impedisce, ma questo non deve significare che la DaD sia una possibile copia del modello scolastico scandito dalla campanella.
Pensare che la DaD possa sostituire la scuola significa non aver compreso qual è il ruolo che la scuola deve avere: l’aspetto didattico ne è soltanto una piccola percentuale, e la DaD non prende in considerazione tutto l’aspetto educativo e di socializzazione che invece fa parte della crescita della persona, e si fa a scuola. Per molti ragazzi la scuola diventa una vera e propria seconda famiglia, per qualcuno addirittura la prima. Per un adolescente è comunque una fetta importante della sua vita, il luogo in cui trascorre metà della sua giornata e l’occupazione che impiega gran parte del suo tempo: non si imparano soltanto le tabelline, si impara a stare con gli altri, a risolvere i conflitti, a conoscere gli altri – altri venti adolescenti sconosciuti! –, è il luogo in cui nascono i primi amori, le prime delusioni, le prime aspettative per il futuro, i primi sogni. L’ideale sarebbe tenere la scuola aperta, non si può? Però che la DaD sia diversa, che prenda in considerazione tutti gli aspetti dell’educazione che la scuola deve offrire. Non può essere solo didattica, perché non funziona. È fondamentale che i docenti abbiano una formazione efficace su tutte le possibilità che il digitale può offrire. Ai docenti consiglio questo: prendete del tempo, sempre, per lasciare ai ragazzi lo spazio di esprimersi. Per chiedere loro come stanno, come la stanno vivendo. So che i programmi sono intensi, ma in questo momento è importante anche fermarsi. Fermiamoci e ascoltiamoci.