Adozioni in calo: la storia di F. che è andata controcorrente accettando la sfida
Le coppie che fanno richiesta di adozione sono sempre meno. Ce lo dicono i dati raccolti dalla Commissione per le Adozioni Internazionali: la domanda di adozione nel 2018 è stata del 3% inferiore a quella del 2017.
La questione delle adozioni nel nostro paese è un argomento molto dibattuto: tra le battaglie di coloro che lottano per consentire l’adozione a coppie lgbtq e single e l’incitamento a mantenere le adozioni solo per le coppie eterosessuali da parte di coloro che si fanno emblema della conservazione dei valori della famiglia, il governo si trova in una situazione di stallo. E in un clima politico come quello attuale, la realtà in cui viene a trovarsi catapultato un bambino appena adottato è spesso segnata dall’odio e dalla discriminazione.
Abbiamo intervistato intervistato F. che nel 2009 ha deciso di accettare la sfida e adottare. Oggi vive a Roma con il marito e i due figli, che hanno origini ucraine.
Parlaci del processo di adozione. Nella tua esperienza, l’iter burocratico è stato faticoso?
Si tratta decisamente di tempi molto lunghi. Ci vogliono più o meno due anni dalla formulazione della domanda all’attivazione dell’adozione. Io e mio marito abbiamo deciso di adottare nel 2009, ma solo nel 2011 abbiamo avuto modo di conoscere i nostri due figli. Poi bisogna aspettare il nulla osta del tribunale, ma non solo: bisogna anche sottoporsi a numerosi test di idoneità sia fisica che psicologica. Per noi è stato difficoltoso anche perché la norma prevede che tra il figlio più giovane e il genitore più anziano ci sia una differenza di al massimo 45 anni. Anche per questo abbiamo deciso di adottare dall’Ucraina: perché era l’unico Paese da cui si potevano adottare bambini un po’ più grandi e questo ci ha permesso di rientrare nei parametri.
Hai avuto modo di conoscere i tuoi figli prima dell’adozione?
Si, certo. A marzo 2011 io e mio marito siamo partiti per l’Ucraina, dove abbiamo trascorso tre mesi. Arrivati a Kiev, al centro di adozione, abbiamo subito avuto i nominativi dei nostri figli. Non vivevano a Kiev, ma in un paese un po’ lontano, per cui ogni giorno dovevamo fare mezz’ora di macchina, in modo da poter passare un po’di tempo con loro e iniziare a conoscerli.
Come è stato l’arrivo in Italia per i ragazzi?
Sull’aereo erano molto emozionati. Quando siamo arrivati a casa a Roma sono rimasti subito meravigliati, perché pensavano che sarebbero andati a vivere in una baracca. In Ucraina vivevano in una zona in cui regnava la povertà; anche se a Kiev si nota una certa ricchezza, nelle campagne la gente si sposta usando macchine che in Italia andavano di moda trent’anni fa o di più. I miei figli passavano molto tempo all’aria aperta vicino a un laghetto e giocavano a fare buchi nel ghiaccio per pescare i pesci. Un passatempo che io guardavo con tanto affetto. L’Italia li ha sorpresi positivamente fin da subito, ma non appena atterrati sono anche entrati in contatto con un mondo diversissimo da quello a cui erano stati abituati fino ad allora.
Hanno avuto modo di integrarsi appieno nella società?
Sì, stanno frequentando il liceo in Italia e ormai si sentono a casa. Il pomeriggio escono a fare un giro con gli amici o vanno da McDonald’s (ride, ndr). Come tutti i ragazzi, insomma. C’è anche da dire che sono due fratelli che hanno avuto la fortuna di venire adottati insieme quindi hanno sempre avuto questa certezza, di poter contare l’uno sull’altro. Ogni tanto dicono a me o a mio marito che vorrebbero tornare in Ucraina, per ritrovare gli amici di infanzia e per confrontarsi con la realtà che era stata la loro prima casa. Però non lascerebbero mai l’Italia, perché questo è il loro mondo ormai. Mentre all’inizio si sentivano come degli ospiti – mi ricordo che nel primo periodo, quando andavamo al ristorante, mio figlio più grande rifiutava sempre il dolce perché gli sembrava di star chiedendo troppo – adesso invece si sentono e casa.
Perché hai deciso di adottare
Adottare è una sfida, richiede certamente un grande impegno e sacrificio, come lo richiede essere genitore in generale. Si tratta di fare del bene ad altri e donarsi completamente, senza essere sicuri al cento per cento che tutto questo amore verrà ricambiato. Io però sono convinta che ognuno ti doni sempre qualcosa a modo suo e che quindi il grande sforzo che fai da genitore ti ritorni tutto indietro attraverso soddisfazione e orgoglio. Con i miei due figli litigo dalla mattina alla sera, però è normale così, è quello che succede a ogni madre con figli adolescenti. Ma io e mio marito non potremmo immaginare la nostra vita senza di loro e loro ci ringraziano sempre e sottolineano che senza di noi avrebbero solo l’un l’altro. È in quei momenti che capisco che ogni sforzo e momento di difficoltà è stato ampiamente ripagato.