Due termini da non confondere: sesso e genere
Fin da piccoli riceviamo un’educazione diversificata in base al genere. Ai ragazzi e alle ragazze si insegna a comportarsi differentemente per adeguarsi alle convenzioni sociali, in modo che l’atteggiamento e il modo di porsi sia adatto alla propria identità. Ci viene insegnato a muoverci nel mondo in base a ciò che è consono alla nostra mascolinità o femminilità, questo perché il comportamento sociale viene costruito di conseguenza all’identità sessuale.
Nel linguaggio quotidiano confondiamo, erroneamente, l’identità sessuale con il genere.
In ogni essere umano esiste un’identità sessuale anatomica e un’identità socialmente costruita, ovvero il genere. E spesso si dà per scontato che debbano necessariamente coincidere.
Abbiamo per tanto tempo pensato che il sesso biologico dovesse definire il ruolo sociale di quel soggetto, ma questo determinismo – che ha le sue basi nell’antichità – ha subito varie evoluzioni. I ragazzi di oggi si sentono liberi di esprimere la propria identità al di là della categoria sociale loro attribuita, hannoil dominio della propria dimensione individuale.
Questa corrispondenza univoca fra sesso e genere confonde le caratteristiche naturali di un individuo con quelle socioculturali, convenzione a oggi messa in crisi dal fatto che la maggior parte degli individui non si sentono rispecchiati in una differenziazione così netta, che non permette libertà.
Come ci dice Joan Scott, storica statunitense: “Il genere è quella conoscenza che stabilisce i significati per le differenze corporee”.
Il caso di Thomas Beatie
Thomas Beatie è un americano nato nel corpo di una femmina, ma dentro di sé percepiva che il ruolo sociale adatto a lui fosse quello di un uomo. Una volta adulto, si è sottoposto a una terapia ormonale e si è fatto asportare il seno, così da poter avere esternamente un fisico che rispecchiasse la sua vera identità. Venne quindi riconosciuto legalmente come uomo ma decise di conservare i propri genitali, e non sottoporsi dunque alla sterilizzazione. Non è infatti necessario diventare sterili per definire la propria identità.
Thomas si è poi sposato con Nancy, ma quando si è presentato il desiderio di diventare genitori è arrivata la notizia che Nancy non aveva possibilità di rimanere incinta. Dopo aver sospeso il trattamento di testosterone ed aver optato per l’inseminazione artificiale, Thomas ha dato alla luce la sua bambina nel 2008.
Questo viene riconosciuto come il primo caso di gravidanza maschile, in cui un individuo socialmente riconosciuto uomo dà alla luce una vita. Un caso esemplare che ci esplicita la discordanza fra sesso e genere e che ci mostra come il sesso anatomico non sia sufficiente per definire il genere identitario di un individuo.
La comunità transgender indiana: un esempio di come il genere sia definito dalla cultura
In India esiste il termine hijra, una nozione alquanto differente dal concetto occidentale di transessualità. Sono anime femminili che si sono reincarnate in corpi maschili, hanno una storia molto antica e nel passato veniva loro attribuito un ruolo sacro perché portatori di fertilità, ma con la radicale occidentalizzazione degli ultimi anni, quest’interpretazione sacrale si è ridotta notevolmente.
L’attivista Laxmi Narayan Tripathi ha avuto un’influenza determinante per la promessa di condizioni di vita egualitarie nel subcontinente indiano per il Terzo Sesso. Grazie al suo lavoro, è stato chiesto al governo di costruire nuovi bagni per gli hijra e la possibilità di adottare figli.
Il loro status ufficiale è stato riconosciuto nel 2014, quando il Terzo Sesso è stato inserito nei documenti e nei passaporti con una sentenza della Corte Suprema Indiana.
Il caso degli Inuit
L’antropologa francese Françoise Héritier ha studiato la popolazione degli Inuit, uno dei due principali gruppi in cui si distinguono gli Eschimesi. In questa realtà l’identità non è definita tramite l’anatomia di un individuo, ma in base all’anima-nome reincarnata, che viene assegnata dagli sciamani alla nascita.
Per esempio, se un ragazzo nasce con un’anima-nome femminile, sarà cresciuto come una femmina fino alla pubertà, quando assumerà i tratti e i comportamenti che gli sembrano adatti in base alla sua biologia, ma mantenendo per sempre i tratti femminili propri ormai della sua identità.
Una piccola parte però, solitamente donne con identità sessuale maschile, decidono di continuare la loro vita nel ruolo assegnatogli alla nascita, seppur diverso da ciò che gli indica l’anatomia. Quello che possiamo imparare dalla concezione dell’identità degli Inuit è che i tipi sessuali possono mutare nel corso della vita, e non deve necessariamente esserci immutabilità nella scelta identitaria che si fa.