Le emozioni: un viaggio tra natura e cultura
Vi è mai capitato di non riuscire a descrivere con esattezza quello che provate?
In quanto esseri umani, siamo continuamente impegnati in un lavoro di continua attribuzione di senso all’essere, e questo processo può risultare terribilmente faticoso. Ma per intraprendere le molteplici strade di questo lavoro ermeneutico, i vissuti emotivi in quanto rilevanti nel definire il valore di un significato diventano centrali.
Nel corso di questo articolo tento di spiegare cos’è un’emozione, come l’uomo si è approcciato allo studio del mondo emotivo e come gestire la nostra intelligenza emotiva.
Siamo nell’Antica Grecia, il padre fondatore della medicina che chiamiamo Ippocrate sviluppa la teoria della medicina umorale.
Secondo la sua teoria, ogni singolo corpo umano è provvisto di quattro elementi fondamentali, che prendono il nome di umori e danno forma agli stati d’animo:
- Bile nera, che provoca allucinazioni terribili offuscando il cervello
- Bile gialla, che corrisponde alla collera
- Flemma, il cui eccesso ci rende tendenti alla pace, ma anche inclini alla tristezza
- Sangue, il cui eccesso di circolo nelle vene ci rende impulsivi ma anche coraggiosi
La novità di questa dottrina risiede nel fatto che era in grado di enfatizzare il legame tra fattori psichici e fisici, rendendo l’interpretazione degli stati d’animo una materia necessariamente olistica. Nonostante questo tipo di lettura si allontani molto dagli studi moderni sulla conoscenza delle emozioni umane perché eccessivamente essenziale, l’influenza di questa teoria viaggia nei secoli e ci raggiunge quando utilizziamo espressioni come “mi ribolle il sangue” per dire che siamo arrabbiati, oppure quando diciamo che siamo “di cattivo umore”.
Lo scalino successivo viene intrapreso da Thomas Willis, anatomista inglese che individua il reticolo del sistema nervoso come il responsabile della gioia o degli stati di nervosismo. Gli studi si concentrano dunque sempre di più sul cervello, piuttosto che sugli slanci dell’animo come si era soliti fare precedentemente.
La svolta si verifica poi nell’Ottocento, quando Thomas Brown suggerisce di utilizzare il termine emotions, parola al tempo vaga ma che risponde alla necessità di creare un nuovo vocabolario per intendere il modo in cui le reazioni fisiche esprimessero o provocassero movimenti interiori nelle persone.
Arriva poi Darwin, che a fine 800 sostiene coraggiosamente che le emozioni non sono prefissate a uno stimolo, ma il frutto di processi evolutivi ancora in atto, e la loro funzione è quella di permetterci di vivere. Come il disgusto per odori spiacevoli ci vieta di mangiare determinati cibi senza sapere se siano buoni o meno.
Quasi tutti gli studiosi fino a questo momento tendono ad interpretare gli stati emotivi come reazioni biologiche, ma finalmente Freud riesce a conferire maggiore spessore alla ricerca sulle emozioni umane, superando la teoria di Darwin. La conclusione, che poi diverrà un punto di partenza nell’antropologia delle emozioni, è la seguente: non bastano risposte scientifiche, quando è coinvolta la psiche. Le emozioni non possono infatti essere ridotte a realtà biologiche.
Nello studio delle nostre emozioni entra in gioco la nostra mente, una sorta di vaso di pandora in cui i nostri desideri profondi e i nostri terrori possono rimanere celati per anni e riaffiorare tramite sogni o sfoghi. Nella definizione e gestione delle nostre emozioni collabora invece il fattore culturale, insegnandoci il linguaggio appropriato per definire cosa proviamo in base alla situazione.
Le emozioni non sono universali, non sono espresse ovunque allo stesso modo. Dipendono dai modelli culturali introiettati nell’infanzia, un esempio ci è fornito dai Baining della nuova Guinea.
Questa popolazione è solita posizionare una ciotola d’acqua nelle abitazioni per tutta la notte per assorbire l’awumbuk, l’insieme di tristezza e inerzia che si deposita dopo la partenza di un ospite gradito. Che il rituale funzioni o meno scientificamente, non vi è prova. Ma è invece provato che le nostre idee e credenze creano delle reazioni biologiche. Potremmo semplificare dicendo che si tratta di effetto placebo, ma in ogni caso la verità è che la nostra mentalità crea delle risposte fisiche e biologiche in noi.
Un altro esempio ci è fornito dagli Ifaluk, una popolazione della Micronesia che si serve di due nozioni, metagu e song. Song è la collera di un genitore nei confronti di un figlio che trasgredisce le regole, mentre metagu è la risposta socialmente approvata di timore nei confronti di un soggetto autorevole. Questi sentimenti sono introiettati dai bambini Ifaluk il prima possibile, in modo da saper come reagire e come esprimere appropriatamente la propria reazione.
Ora sappiamo che le emozioni trovano spazio nei nostri corpi dopo aver attraversato il reticolo della nostra mente, e che godono di una forma grazie alla cultura nella quale viviamo.
Ma per comprendere meglio cosa sia un’emozione, abbiamo bisogno di quella che l’antropologo Clifford Geertz chiama thick description: una descrizione densa. Quando si parla di stati emotivi, una descrizione sottile, unicamente biologica, non è sufficiente. Abbiamo bisogno del contesto, è infatti nella totalità della storia del protagonista che possiamo davvero cogliere un’emozione.
Come disse Geertz: L’uomo è un animale sospeso in ragnatele di significato che lui stesso ha filato.
Verso la metà degli anni 90, si è sviluppata una corrente degli studi psicologici che prende il nome di intelligenza emotiva, o quoziente emotivo (EQ). Secondo studiosi come Goleman, l’abilità di essere consapevole di sé stessi, riconoscere le proprie emozioni e di utilizzarle come strumenti per prendere decisioni, è fondamentale per il perseguimento di una vita soddisfacente.
Per essere emotivamente intelligenti, bisogna esercitarsi alla consapevolezza e procedere ad un’operazione di classificazione delle proprie emozioni.
Il passo successivo consiste nell’imparare a regolarsi e controllarsi, garantendo sempre un contatto tra i due tipi di mente delle quali godiamo: la mente razionale e quella emotiva. Una mente che sente e una che pensa.
Il libro Intelligenza Emotiva di Goleman trae in salvo tutti coloro che si sentono persi nella rete intricata degli stati interiori, fornendo delle coordinate per creare una forma di gestione di sé stessi e delle proprie emozioni per proiettarsi verso un obiettivo.