“Il teatro non morirà mai, resisterà anche a questa pandemia”: intervista a Davide Livermore

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È forte il desiderio del Teatro Nazionale di Genova di essere presente in questo momento: “Abbiamo lanciato lo slogan ‘lo spettacolo più bello sarà ritrovarci’ e lo abbiamo affisso sui manifesti in giro per la città con l’hashtag #ritrovarci”, ci spiega per telefono Davide Livermore, direttore del Teatro Nazionale di Genova.

Anche durante la quarantena sono tante le iniziative che il teatro propone, anche grazie alla rubrica “Primocanale Nazionale”, ospitata sull’omonima emittente televisiva genovese. In questa rubrica vi sono diverse proposte: una rassegna di spettacoli di archivio e performance di grandi artisti che vogliono far sentire la loro voce, curata da Giorgio Gallione, ma anche una rubrica di ricordi e aneddoti teatrali curata da Marco Sciaccaluga e, ancora, per i più piccoli, la lettura di alcune favole curata da Giorgio Scaramuzzino.

Quale pensa possa essere l’apporto che la cultura può portare in questo particolare momento a livello mondiale?

Questo è un tempo storico straordinario che sarà sicuramente ricordato. È un punto, forse, di non ritorno, che può servirci per riscoprire i fondamenti della nostra società, in primis della cultura. Abbiamo bisogno di ritrovarci insieme, intorno ai pilastri della nostra Costituzione e il teatro – la cultura in generale – rappresenta uno di essi. È innegabile che questo momento provochi profonde riflessioni sulla propria vita e generi spesso una nostalgia di bello, di grande e di stupore che la cultura in generale e il teatro in particolare hanno sempre offerto ai propri spettatori. Andare a teatro è militanza, è un rapporto profondo con il desiderio di fare comunità. Nel guardare al futuro del teatro io penso che non morirà mai. Ha resistito a pestilenze, ad esempio ai tempi di Shakespeare i teatri sono rimasti chiusi per due anni per questo motivo, censure e guerre: mio nonno piangeva ricordando il concerto di Toscanini con la Scala bombardata alla fine della guerra. Il teatro resisterà anche a questa pandemia, perché profondamente connaturato con la natura dell’uomo.

Il direttore del Teatro Nazionale di Genova ci offre anche uno spunto di riflessione sul fatto che i greci ci hanno insegnato che la responsabilità etica è sempre dell’uomo.

Se si legge l’Edipo Re di Sofocle, ci si rende conto che il primo atto e mezzo si svolge nella peste e tutta la società cerca il colpevole per poi scoprirlo in Edipo stesso, promotore di questa inchiesta.

La speranza che porta in cuore è che la società impari differenziare una volta per tutte l’arte e l’intrattenimento, e che chi fa arte abbia la voce e la forza di comunicare questo aspetto fondamentale.

La storia dell’umanità ha il teatro nel suo patrimonio. Il teatro ha la funzione di specchio delle istanze della società e a questo deve rispondere per non diventare un museo o un luogo di pura autoreferenzialità. È anche il luogo in cui si va per celebrare la nostra società, per militare come collettività, a teatro passano le idee che servono a educare la società, trasformando il palcoscenico in un luogo di cultura e di insegnamento che vuole stimolare la riflessione e la coscienza critica.

Il modo migliore per riavvicinare al teatro?

Fare è spettacoli straordinari, non autoreferenziali. È importante che il teatro possa parlare a tutti, ritornando ad un profondo rispetto della parola originale, che è quella poi capace di resistere nel tempo e che va ben oltre i singoli interpreti.

Per quanto riguarda i giovani?

È importante non considerare i giovani come un pubblico da acchiappare: non si deve fare marketing, ma ricordare loro che sono persone di valore e noi per primi dobbiamo produrre prodotti di valore. I giovani vanno considerati come adulti, permettendo loro di prendere dallo spettacolo quello che la propria età ed esperienza suggerisce.

Che consiglio dare ad un giovane che desidera iniziare un percorso che lo porti a diventare attore?

La prima domanda che deve porsi è: perché voglio fare l’attore? Fare l’attore è un viaggio interiore per liberarsi di e fare spazio ai personaggi, per servire qualcosa di più alto del nostro narcisismo. La seconda domanda che un giovane deve porsi, invece, riguarda l’ego dell’attore e la necessità di essere disposti a metterlo da parte, per lasciare spazio al personaggio da creare.

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