Le false libertà della nostra epoca

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Vi siete mai chiesti cosa vuol dire vivere nella contemporaneità? Quali sono le generalizzazioni indebite di cui siamo vittime nella nostra epoca, oppure i falsi miti ai quali ci aggrappiamo a causa della mancanza di uno scarto di riflessione sulla nostra vita? 

Queste sono le domande centrali alle quali il libro Le false libertà. Verso la postglobalizzazione (Meltemi, 2017) tenta di dare una risposta attraverso una serie di incontri che avvengono in giro per il mondo. Prima di addentrarci in questo viaggio nella mente – e nella vita – dell’ antropologo e professore Stefano de Matteis, chiarisco un punto fondamentale che aiuta a comprendere questa affascinante disciplina: l’antropologia è lo studio della realtà attuale, e si sostanzia nei termini di quel tessuto di relazioni che si formalizza collezionando storie di vita vera raccolte tramite la ricerca di campo, chiamata etnografia, come ci insegna l’antropologo Gregory Bateson.

Questi pezzi di vita sono la base della ricerca antropologica che non si basa su generalizzazioni, ma su punti di vista soggettivi, e dunque esclusivi.

Il libro si apre fornendoci le definizioni di globalizzazione e postmodernità, entrambe forniteci da Michael Ignatieff. Secondo lo studioso, la globalizzazione sarebbe l’intensificazione delle relazioni sociali mondiali, che ha come conseguenza una sorta di livellamento globale per cui luoghi geograficamente lontanissimi fra loro risultano ravvicinati, tanto che gli avvenimenti di un determinato luogo possono essere influenzati da quanto accade a migliaia di chilometri di distanza. 

Un esempio? Le crisi economiche. La globalizzazione che tocca tutti noi è quella finanziaria ed economica; ed ecco come il crollo della borsa di New York ha le sue dure conseguenze nella vita reale di chi vive in Africa. 

In questo processo di livellamento, non possiamo occultare uno dei costi della modernità: nonostante lo spazio geografico risulti ridotto, i legami comunitari e di vicinato appaiono dissolti. Il mondo moderno è così un mondo abitato da estranei, un mondo in cui nessuno conosce i propri vicini.

Possiamo ora iniziare a notare quali sono le false libertà alle quali allude il titolo di questo libro: una caratteristica della modernità che tutti diamo per scontato è quella secondo cui l’affermazione della globalizzazione corrisponde con l’epoca della comunicazione.

Ma è realmente così?

Secondo l’autore, questa è una delle grandi false libertà che ci raccontiamo. Perché nella realtà dei fatti il mondo è iperconnesso solamente per i ceti dominanti, nello specifico quelli che nel libro vengono chiamati i Weird, un acronimo con cui si intende Western, Educated, Industrialized, Rich, Democratic.

Siamo noi, gli occidentali, laici, democratici, ricchi e progressisti. Noi, quelli che si sono scordati che il mondo non è globalizzato e connesso ovunque, e il nostro errore più grande è descrivere questa modernità tramite un’immagine unificante, perché a ben guardarla mostra buchi e toppe. Questo processo inconscio rientra pienamente nel concetto di controllo culturale ideato dall’antropologo australiano Keesing, secondo cui le idee e i comportamenti rappresentati come ovvi e naturali da parte di una cultura altro non sono che le idee e i comportamenti di coloro che sono socialmente prevalenti. L’idea che il mondo sia iperconnesso è una verità che vale solo per noi, dunque dovremmo fare attenzione a non renderla una generalizzazione indebita estendendola al mondo intero.

Altre false libertà analizzate nel libro si riferiscono per esempio alla credenza, seguita dai più, secondo cui ognuno di noi è libero di scegliere chi vuole essere, in altre parole abbiamo cavalcato l’ebbrezza della società del possibile. Nel pratico dei fatti però, nessuno di noi ha la possibilità di svegliarsi la mattina e scegliere liberamente chi essere. 

Perchè?

Innanzitutto siamo esseri imitativi e procediamo alla crescita tramite l’immagazzinamento di comportamenti e soluzioni espressive e relazionali, ovvero cresciamo attraverso un lavoro speculare, guardando chi abbiamo vicino, a partire da nostra madre. Detto ciò, abbiamo comunque la possibilità di essere originali, perché in antropologia quando si parla di imitazione non ci si riferisce ad una mera copia, ma piuttosto ad una reinvenzione in individuale personalizzata di ciò che vediamo.

In quanto esseri umani, siamo un prodotto stratificato di caratteristiche individuali e relazionali, che incarna costruzioni sociali e storiche contemporaneamente. E come conseguenza, la nostra storia non può non essere individuale e non può neanche non essere collettiva. 

Nella falsa libertà di poter scegliere chi essere, ci siamo scordati che la condotta sociale, variabile, non corrisponde all’identità della persona. La nostra identità non può essere ridotta ad una sorta di maschera o cappello che possiamo variare quotidianamente, ma rappresenta l’intera persona, con l’insieme dei modelli culturali acquisiti e rielaborati, declinati tramite il suo vissuto. 

Ci crogioliamo in un delirio di onnipotenza che ci fa pensare di poterci autodeterminare, quando in realtà siamo prodotti sociali e nasciamo con una serie di parametri precostruiti, come la posizione geografica, la famiglia e l’ambiente che frequentiamo. 

Siamo figli di tutti i legami e i condizionamenti che chiamiamo culturali, ma se solo ne fossimo coscienti potremmo avviare un processo di comprensione di noi stessi e del mondo che ci circonda.

Per cominciare a muoverci in maniera conscia all’interno della rete intricata di questa modernità, dovremmo innanzitutto ricordarci che il mondo è fatto a mano da ciascuno di noi.

Tramite una metafora dal grande potere espressivo, alla fine del libro l’uomo è descritto nei termini di bricoleur

Il bricoleur è colui che fa le cose con le proprie mani, colui che dispone di oggetti, ovvero cose già precostruite e se ne serve in base al proprio bisogno. Per farlo, questi oggetti devono essere adattati alle necessità del caso.

Allo stesso modo, noi possiamo costruire la nostra vita adattando i modelli culturali che abbiamo acquisito per creare ciò di cui non disponiamo. Questo vale per le memorie, i ricordi, le impressioni. In quanto esseri umani, noi facciamo ricorso al nostro patrimonio di conoscenze e di esperienze per creare il nostro mondo personalizzandolo. Come il bricoleur, costruiamo il nostro mondo, ma siamo in grado di farlo solo se siamo coscienti dei modelli da cui partiamo.