Migrare significa ricominciare tutto da capo: intervista alla scrittrice Lilia Bicec
Lilia Bicec, attualmente giornalista e scrittrice, nasce in un paese della Repubblica Moldava da Eugenia e Michael, ex deportati in Siberia. Si laurea in giornalismo e inizia a lavorare per radio e giornali. Nel 2000 decide di lasciare la Moldavia e di giungere in Italia, ma nonostante i suoi studi l’unico lavoro che trova è come badante.
Lilia ci ha raccontato cosa ha significato vivere tutto questo.
Quando hai lasciato la Moldavia, perché hai scelto proprio l’Italia come destinazione? Com’è stato il primo impatto con la cultura, prima ancora che con le problematiche?
Non è stato facile decidere di lasciare tutto quello che avevo di più caro e prezioso e partire per una meta sconosciuta, soprattutto dato che ero appena tornata dagli Stati Uniti dopo un mese di stage in giornalismo, ma quando ho visto che il mio popolo doveva scegliere tra comprare il giornale per cui lavoravo o il pane mi sono detta che non potevo più andare avanti così. Se un Paese che aveva ottenuto l’indipendenza nel 1992, nel 2000 era ancora al punto di partenza, a quel punto toccava a me pensare al futuro dei miei figli.
All’inizio ero indecisa tra Grecia e Italia, ma alla fine ho scelto il paese di Dante, Boccaccio e Michelangelo, dove la lingua è neolatina come il mio romeno. Dapprima ho incontrato soltanto difficoltà (sono arrivata clandestinamente, mi hanno fermata al confine tra la Repubblica Ceca e la Germania, ammanettata…), poi però mi sono affidata alla cultura come strumento di integrazione, nutrendomi giorno dopo giorno del grande patrimonio di conoscenze di questo paese.
I tuoi studi non sono stati riconosciuti, qui: dopo quanto tempo ti sei “arresa” all’idea di dover fare altro, se volevi rimanere in Italia?
Nemmeno ho provato a cercare di far riconoscere i miei titoli in Italia. Sono laureata in giornalismo, il mio mestiere è scrivere e il mio solo riconoscimento sono i lettori, non importa dove mi possa trovare.
Sono passati più di vent’anni da quando sei arrivata. Il tuo modo di vedere “il bel Paese” è cambiato, in tutto questo tempo? Hai mai pensato di tornare a vivere in Moldavia?
Qui c’è la mia famiglia e tutta la mia vita. Mi sono innamorata subito dell’Italia; amo e rispetto questo Paese, come d’altronde anche la Moldavia, dove sono nata, sono cresciuta e mi sono laureata. Attraverso i miei libri ho tentato di creare un ponte fra questi due stati che hanno avuto tanto in comune, tanto se guardiamo al periodo dell’Impero romano (in cui la Moldavia era detta “Dacia”), quanto al tempo dell’immigrazione italiana verso l’Unione Sovietica…
Per molti anni, sei stata qui “illegalmente”. Ora, quando senti di altri che affrontano un percorso simile al tuo, come ti senti? Sollevata perché non sei tu a dover ripetere il percorso, o in qualche modo responsabile, perché tu “ce l’hai fatta”, ti sei integrata, e loro non ancora?
Non mi sento assolutamente sollevata. L’immigrazione e il fenomeno che essa rappresenta sono un processo vasto e faticoso, ma che esiste da sempre: anche Gesù è stato un immigrato.
Io mi riferisco, in particolare, all’immigrazione dall’Europa dell’Est, che è di tipo sociale e che, per permettere una comprensione migliore, ci obbliga a risalire ai fattori che hanno scatenato tale ondata migratoria: il crollo dell’URSS, la deflazione del rublo e poi tutti i risparmi azzerati, stabilimenti e fabbriche chiuse e smantellate. Tutti questi cambiamenti sono avvenuti nel momento in cui l’Italia viveva un boom dell’economia e, al contempo, l’invecchiamento della società. Se da un lato prosperava, dall’altro i tanti anziani avevano bisogno di qualcuno che li accudisse. Mentre sempre più richieste di lavoro provenivano dalla Romania, dall’Ucraina e dalla Moldavia, da parte dell’Italia arrivavano le offerte: ecco perché è iniziata l’emigrazione di massa. Viceversa, l’immigrazione in l’Italia ha dato poi vita ad un flusso migratorio nella direzione opposta, con numerosi italiani che si sono trasferiti in Moldavia, chi per viverci (con la pensione italiana in Moldavia si ha un tenore di vita elevato), chi per affari.
Si parla di “passaporti fortunati”, di immigrati che, perché vengono da un determinato Paese, affrontano meno problematiche e discriminazioni quando arrivano qui. Secondo te esiste davvero questo tipo di differenziazione, ci sono davvero nazionalità più fortunate di altre quando si tratta di fuggire e sopravvivere?
Chiunque decida di emigrare dal proprio paese incontra determinati ostacoli. La via dell’immigrazione non finisce con l’arrivo nel luogo che hai scelto; semmai, inizia in quel momento, perché devi ricominciare tutto da capo e per ciascuno è diverso, dipende dall’età, dall’educazione e dal livello di istruzione.
Dal 2009 in poi, vari tuoi scritti sono stati pubblicati in rumeno quanto in italiano. L’ultimo si chiama “Boomerang” (Another Coffee Stories, 2021): di cosa parla?
Nel libro “Boomerang”, sotto forma di diario, racconto degli effetti negativi dell’immigrazione femminile dall’Europa dell’Est. Attraverso le traversie di Elena, la protagonista del romanzo, i suoi pensieri e le confessioni affidate al suo diario, non solo cerco di mandare un messaggio ai genitori affinché siano responsabili della vita e del futuro dei loro figli, ma anche di mettere in guardia la società da soprusi ed ingiustizie verso i bambini ed i giovani. È un romanzo ricco di emozioni, sentimenti, con un filo rosso d’amore dall’inizio alla fine, in cui tanti sono i tradimenti, ma anche la speranza.