Anche il porno è un film? Intervista a Veronica Cicirelli
Parlereste mai di sesso ad una cena di famiglia? Di porno a un pranzo di lavoro? Suppongo di no. Probabilmente non lo farei nemmeno io. Può causare disagio. Tuttavia, molte persone, in quel discorso che ci provoca disagio, e forse anche un po’ di fastidio, ci vivono dentro (quella pornografica è un’industria a tutti gli effetti), e moltissime, ma davvero moltissime persone li guardano. La straordinaria quantità di materiale pornografico che abbiamo a disposizione grazie al web ha un’influenza sulle nostre vite, e sul modo in cui ci relazioniamo agli altri. Chi lavora all’interno dell’industria pornografica ha il diritto di essere tutelato.
Alcuni argomenti sono scomodi da trattare. Eppure, sono molto presenti nella nostra realtà: nascondere la testa sotto la sabbia non è soltanto inutile, ma può davvero diventare pericoloso. Fare informazione vuol dire raccontare la realtà per quello che è, ed è il primo passo per muoversi verso la realizzazione dell’uguaglianza e dei diritti.
Per parlare di filmografia porno, tutela dei diritti di pornoattrici e pornoattori e di educazione alla sessualità ho intervistato Veronica Cicirelli, psicologa ed esperta in sessuologia clinica contemporanea e psicoterapia gestalt-espressiva. Si occupa principalmente di educazione sessuale, nelle scuole e online. Online, inoltre, svolge anche sedute terapeutiche, individuali o di coppia, e ha una pagina Instagram (@psicosessuologia_online) in cui si occupa di divulgazione.
Veronica, per iniziare vorrei farti una domanda un po’ personale: come mai hai scelto proprio questa strada?
Ho sempre saputo di voler fare la psicologa, da piccola ero convinta servisse il taccuino, facevo sedere mio fratello sul divano e gli chiedevo “come stai?”. Il mio quindi è stato un percorso abbastanza diretto: ho fatto il liceo classico e poi mi sono iscritta a psicologia. Lungo il mio percorso universitario, però, non avevo avuto l’opportunità di acquisire competenze in sessuologia, e siccome mi sembrava una carenza importante, durante il tirocinio post-laurea ho scelto di integrare le mie competenze con la sessuologia clinica. Era un ambito che mi interessava molto perché nella mia esperienza personale – con amici e conoscenti – avevo notato che la sessualità, mentre per me non era mai stata un tabù, per altri invece lo era. Era proprio un argomento che metteva le persone a disagio. Io ricordo di essere sempre stata serena, perché ho ricevuto un’educazione sessuale ottima: i miei genitori hanno sempre risposto a tutte le mie domande e sono sempre stati molto tranquilli se si parlava di sessualità, non hanno mai cambiato canale se alla tv c’erano scene a sfondo sessuale. In sostanza è questo il motivo della mia scelta: mi sono sempre sentita serena, e vorrei aiutare anche gli altri a liberarsi di questa fonte di disagio. E oggi lo faccio attraverso l’educazione e l’informazione.
Passiamo al tema delle conseguenze dell’incapacità di trattare temi a sfondo sessuale, pornografia in particolare, e l’importanza di una buona educazione sessuale.
La pornografia, oggi, è un tabù. Se ne parla poco, e comunque ancora non si riesce ad averne una discussione seria, informata ed imparziale. Che conseguenze ha questo nella nostra società?
Si può dire che la pornografia in generale, come strumento, non sarebbe un problema, nel senso che se una persona cosciente e consapevole, sessualmente matura, utilizza la pornografia come uno strumento per aiutarsi nella masturbazione – sia individualmente che in coppia – questo non dovrebbe crearle alcun problema. Essendo però un argomento che non viene molto discusso proprio perché le persone si sentono a disagio, è una realtà che non ha alcuna regolamentazione e al cui uso – penso soprattutto ai più giovani – non siamo accompagnati. Di conseguenza i video porno offrono immagini pericolosamente fuorvianti della relazione tra partner e vengono poi considerati come modelli, quando non sono altro che finzione.
Nello specifico, un primo problema è che nei porno le donne sono oggettificate. Oggettificate nel senso che la donna nel video è sempre l’oggetto del desiderio, anziché essere una persona che desidera. I video sono nati da e per una mentalità maschile che vede la donna come un oggetto, e la perpetuano. Questo naturalmente non offre un’immagine realistica della realtà e produce molti stereotipi.
L’altro problema nasce nel momento in cui l’approccio alla pornografia diventa un modello anziché uno strumento. Il video porno utilizzato come modello è sbagliato perché come ogni film – perché anche il porno è un film – al suo interno c’è molta finzione. Il video non è più uno strumento per raggiungere il piacere, ma diventa un modello irraggiungibile che provoca insoddisfazione e senso di inferiorità.
Questo è pericoloso, perché l’insoddisfazione genera frustrazione e la frustrazione può degenerare in violenza.
Poi c’è tutta la questione della patologia: anche i porno possono creare dipendenza. Si ha una dipendenza nel momento in cui il bisogno di qualcosa di superfluo rende impossibile vivere la quotidianità. Ma per guarire da una patologia bisogna chiedere aiuto, e a chi si può chiedere aiuto se non si riesce nemmeno a parlarne?
Questo è la conseguenza del non poter avere una discussione aperta sul tema.
Di solito, per rompere un tabù bisogna spiegarlo, e ti confesso che io per prima, mentre ti intervisto, mi accorgo di fare fatica a comprendere e ad accettare questa realtà. Se tu dovessi spiegare cos’è la pornografia ad una persona che non riesce ad accettarla, come gliela spiegheresti?
Prima di tutto bisognerebbe lavorare un po’ sul tabù della sessualità in generale, perché non si può parlare di pornografia se prima non si parla di sesso. Poi ti direi di considerare il porno per quello che è: un film. Come esistono i film horror per provare paura e quelli comici per ridere, i porno sono dei film che si guardano per provare piacere fisico. Sono film che hanno obiettivi diversi.
Ora, non mi sembra che dopo aver visto un film horror le persone vadano in giro ad ammazzarsi, e nessuno pensa di impedire la produzione di film horror per il rischio che vengano emulati, giusto? Così vale per il porno, perlomeno in teoria.
Il grande problema dell’industria pornografica non è l’idea di produrre un filmato che ha lo scopo di stimolare l’eccitazione, ma la modalità con cui lo fa. A me per prima, da donna e da psicologa, dà molto fastidio vedere la rappresentazione che il porno fa della figura femminile. Questo è un problema che purtroppo ha ancora la nostra società in generale – basti vedere gli stipendi – e che viene perpetuato anche attraverso la filmografia. Ma se nel dibattito pubblico si può parlare dell’immagine che ci viene proposta dai film ‘normali’, la stessa cosa non vale per i porno – perché, appunto, è un tabù – e questo impedisce il doveroso cambio di rotta. Per fortuna, le cose stanno leggermente cambiando.
Mi viene in mente, a questo proposito, che le pornoattrici sono una delle categorie più stereotipate e con meno voce in capitolo di tutti. Per far valere i loro diritti, è indispensabile riconoscere la dignità della loro voce, e per riconoscere loro dignità è necessario restituire anche al loro lavoro la credibilità che gli spetta.
Sicuramente. Con l’informazione attenta e un’educazione sessuale scolastica, anche la pornografia può diventare etica. Nascondere la testa sotto la sabbia è abbastanza inutile, e può diventare pericoloso: il fenomeno esiste, le persone la usano. Gli studi ci dicono che è qualcosa di molto naturale, anche altri animali si eccitano guardando i loro simili. L’unica strada percorribile, oggi, è quella dell’educazione. L’offerta può cambiare, e cambia nel momento in cui cambia la domanda. Per cambiare la domanda servono persone consapevoli, attente e informate.
Tu ti occupi molto di educazione sessuale nelle scuole. I ragazzini di oggi sono una delle primissime generazioni ad avere accesso a grandi quantità di materiale pornografico, senza alcun tipo di filtro. Dal punto di vista interrelazione, l’abuso di materiale pornografico ha delle conseguenze?
Vorrei iniziare ricordando che nell’industria pornografica si riflette uno stereotipo che purtroppo è strutturale alla nostra società – anche se, ancora, le cose stanno leggermente cambiando direzione. Ma il cambio di direzione è destinato ad essere molto lento, finché il porno resta un argomento tabù.
Tornando ai ragazzini, sì: il problema di cui abbiamo parlato prima, quello del modello, ha conseguenze gravi soprattutto nell’ambito relazionale.
A scuola svolgo educazione sessuale seguendo un progetto che ho creato io, si chiama educazione sessuale 2.0. Organizzo l’educazione sessuale in tre stadi: il primo è più organico/fisico, si spiega il sesso dal punto di vista biologico. Il secondo è sul web: si spiega cosa sia il sexting, revenge porn e simili. Il terzo è educazione affettiva alla sessualità: si spiega proprio la differenza tra il sesso e la relazione, non che siano due cose necessariamente separate, ma sono diverse). Personalmente mi colpisce che mentre quando andavo a scuola io la parte più importante era la prima (perché non avevamo accesso a tutta questa valanga di materiale), adesso la più importante è la terza. I ragazzini di oggi non sanno sempre come relazionarsi tra loro. Ho sentito ragazzini dire che “non si può avere una relazione se non si arriva al massimo del godimento”. Ma la loro idea di “massimo” è un’idea profondamente sbagliata, perché si basa su modelli finti. Sono film, e quindi irraggiungibili. Si sentono sbagliati, pensano di essere disfunzionali o impotenti, e spesso non hanno una figura di riferimento a cui rivolgersi per poter risolvere dei dubbi che possono anche essere vissuti come dei veri e propri drammi.
L’educazione sessuale a scuola è fondamentale anche per questo: perché i ragazzini – che saranno adulti – possano vivere serenamente il loro corpo e le loro relazioni. Che è ciò che auspichiamo per una società più aperta, più equilibrata e più felice.