Da Mazzini a Nietzsche: Europa, sogno o desiderio?
Desiderio: la parola deriva dalla preposizione de-, che in latino designa sempre un’accezione negativa, e –sidus, che significa letteralmente stella.
Dunque, il desiderio significa letteralmente “mancanza di stella”, la consapevolezza della distanza con le stelle, e dunque la spasmodica passione nel raggiungerle.
Sogno: la parola si riconduce al latino somnium, che a sua volta deve la radice sanscrita svapnja, e nel greco ypnos, tutte significano sonno. In origine sogno e sonno non si distinguevano, per poi prendere oggi l’accezione di quella parte di sonno in cui l’inconscio produce immagini relative a situazioni reali e non, a volte talmente sgradevoli da generare illusioni, incubi, deliri.
«Forse il mio cuore e il mio intelletto hanno errato, la missione che io aveva fantasticato per la mia patria non è che un sogno mio. Quando vedo sì pochi intenderla, sentirla — e quei pochi sentirla quando il discorso altrui concita ad essi la potenza dell’anima — sto per convincermene. Alcuni scrivono: gli Italiani sono codardi, addietro di mezzo secolo almeno; vogliono servire, sia così. Ma l’aver pensato il pensiero di cinquant’anni dopo è cosa sì lieve che l’anima possa acquietarvisi come fanno?»
(Mazzini, Scritti, op. cit. Epistol. IV lettera DCXIV (22 giugno 1835))
Il 15 aprile 1834 Giuseppe Mazzini costituì con i rappresentanti nazionali di Giovine Italia, Giovine Polonia e Giovine Germania, un’associazione politica internazionale per riunire e coordinare i popoli europei che aspiravano all’indipendenza nazionale.
È forse qua, nel grande delirio idealistico di Giuseppe Mazzini che possiamo intravedere l’aurora di quella Piccola Europa, della CECA, della CEE, della CE ed infine dell’Unione Europea.
Ben prima di Maastricht in quel 7 febbraio 1992, Giuseppe Mazzini già nell’inverno del 1831 a Marsiglia, fondò la Giovine Italia, che mirava alla formazione di un’Italia repubblicana, e che fu oggetto di repressioni che portarono al fallimento nel febbraio del 1834, quando Mazzini fu costretto a rifugiarsi a Berna, dove appunto nacque la Giovine Europa.
A Berna Mazzini pensò molto, e giunse alla conclusione che i fallimenti derivavano dal richiamo ai semplici interessi egoistici degli uomini, al naturale desiderio di felicità, si era lottato contro il male, senza ricercare il bene.
Occorreva istituire una fede sociale, un lavoro europeo, che non riguardava il semplice individuo, ma l’Umanità in quanto “associazione di tutte le patrie”, l’alleanza delle Nazioni contrapposta all’alleanza dei Re.
Ben presto Mazzini e le sue idee rivoluzionarie portate in giro per tutta Europa vennero messe sotto accusa dalla Santa Alleanza.
Nel 1836 le persecuzioni si fecero ancora più forti, vennero messe in moto spie e agenti provocatori e le associazioni furono rapidamente costrette a disperdersi. Di lì a poco Mazzini prese, con non poche sofferenze, la decisione di partire per l’Inghilterra. Si stava manifestando il crollo del suo sogno, di quel che lo portò ai limiti della follia. Nel gennaio del 1837 la Giovine Europa era ormai al suo atto conclusivo, essa, con i suoi ideali, avrebbe continuato a vivere soltanto nello spirito del Genovese.
Ci sono stati tentativi, per esempio, l’Unione Paneuropea dell’austro-ungarico Richard Nikolaus di Coudehove-Kalergi nel 1922 e poi ripresa dopo la guerra, dove ci fu l’uso per la prima volta del termine Unione Europea.
Passando, necessariamente, dal Manifesto di Ventotene.
Il manifesto, avente come titolo originario “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto” è un documento che promuove l’Unione europea scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel periodo di confino presso l’isola di Ventotene, nel 1941.
Il manifesto di Ventotene, a differenza di quello di Kalergi che era a guida tecnocratica, esprimeva la necessità di un’ideologia europeista, di istituire una federazione europea con un parlamento e un governo democratico con poteri in economia e politica estera.
Il manifesto esalta i concetti di pace e libertà espressi anche da Immanuel Kant nel trattato “Per la pace perpetua”.
Il Manifesto di Spinelli e Rossi è ad oggi considerato uno dei testi fondanti dell’Unione Europea.
Dopo anni di tensioni, dopo infiniti tentativi di capire cosa significhi essere in pace e tanto, tanto sangue versato, l’Europa, guardandosi in faccia, capisce l’esigenza di provare a creare nella realtà quella follia idealistica di Mazzini, quel disperato urlo di pace di Kant, Rossi e Spinelli.
Così, dopo la guerra che aveva sconvolto il mondo, il 9 maggio 1952 Robert Schuman, ministro degli esteri francese, parlò così in un suo celebre discorso:
“L’Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.”
Schuman intendeva creare una Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, la C.E.C.A., istituita nel 1952 nel Trattato di Parigi.
Alla CECA, prendevano parte Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo.
La CECA ha rappresentato sin da subito un modello per le successive comunità.
Dal punto di vista economico la CECA ha creato un mercato unico, e politicamente, ha segnato un punto di svolta per l’appianamento elle tensioni tra Francia e Germania.
Il 25 febbraio del 1957 nacque la CEE (la Comunità Economica Europea), che segna un nuovo campo operativo: quello economico.
È grazie alla CEE che nasce il mercato comune, con l’obiettivo per gli stati membri di portar avanti l’unione economica, il libero scambio dei beni e dei servizi, l’abolizione dei cartelli, in un’ottica di cooperazione che avrebbe facilitato la nascita di un’eventuale unione politica.
Nel 1985, Francia, Germania e i Paesi del Benelux firmano l’accordo di Schengen.
Nel dicembre dello stesso anno, il Consiglio europeo a Lussemburgo decide di modificare i Trattati di Roma e di dare nuovo impulso al processo di integrazione europea elaborando l’Atto unico europeo, firmato all’Aia nel febbraio 1986.
L’Atto realizza importanti riforme istituzionali e permette il proseguimento del cammino verso il completamento del mercato unico.
Il 1° gennaio del 1986 Portogallo e Spagna aderiscono alla Cee (Comunità economica europea), portando a 12 il numero degli Stati membri.
Il 7 febbraio 1992 a Maastricht viene firmato il nuovo Trattato.
Quella che fino ad allora era stata comunemente indicata come Cee diventa Unione europea (Ue). I trattati firmati nella città dei Paesi Bassi definiscono anche precise norme relative alla moneta unica, alla Politica estera e di sicurezza e alla più stretta cooperazione in materia di Giustizia e Affari interni. L’Unione europea uscita dai Trattati di Maastricht non è dunque soltanto la somma delle tre Comunità storiche (Cee, Ceca e Euratom), ma anche un ampliamento delle competenze in diversi e importanti settori.
Con il Trattato i 12 Stati membri fondatori hanno determinato la nascita dell’Unione Europea.
La caduta del Muro di Berlino nel novembre 1989 e i timori di un riarmo tedesco della Francia accelerarono il processo di integrazione europea.
Con il crollo del blocco sovietico nell’Europa centrale ed orientale i cittadini europei si sentono più vicini e nel 1993 viene istituito il mercato unico in virtù di circolazioni di beni, servizi, persone e capitali.
Questa volta l’unione politica è l’obiettivo fondante dell’organizzazione, non più solamente un obiettivo economico o militare.
Il Trattato di Maastricht aprì la strada ad altri tre grandi trattati che conclusero l’opera.
Il primo fu il Trattato di Amsterdam del 1997, entrato in vigore due anni dopo, che proseguì la costruzione comunitaria con passi in avanti sotto il profilo istituzionale, nelle relazioni tra Unione e cittadino, fino a toccare temi rilevanti per quanto riguarda la libertà, la sicurezza e la giustizia.
Il secondo, il 26 febbraio 2001, fu il Trattato di Nizza, concluso dai Capi di Stato o di governo al Consiglio europeo.
Il nuovo trattato entrò in vigore il 1° febbraio 2003, dopo la sua ratifica da parte dei quindici Stati membri dell’Unione europea e con la riforma delle regole di votazione nell’Ue, e aprì la strada all’allargamento.
Il 1° dicembre 2009 entrò in vigore il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007. Il Trattato introduce due nuove funzioni nell’architettura istituzionale dell’UE (il presidente del Consiglio europeo e l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza), rafforza i poteri del Parlamento europeo e attribuisce anche un ruolo più importante ai parlamenti nazionali in seno all’UE, crea il diritto d’iniziativa dei cittadini che permette ai cittadini di partecipare più attivamente alla costruzione dell’Europa.
Il 1° gennaio 2002 si fa un altro passo verso la grande aggregazione, cioè l’ingresso della moneta unica: l’euro.
Uno degli obiettivi dell’Unione Europea è la promozione della pace, tanto che nel 2012 a Oslo fu proprio l’Ue a essere scelta come premio Nobel.
Ad oggi l’UE conta 27 stati membri a dimostrazione del grande lavoro di allargamento e di espansione degli ideali nati a Ventotene che ormai sono divenute radici del telaio del continente europeo.
Oggi, con l’arrivo della più grande emergenza dai tempi del dopoguerra, l’Unione è tornata a vacillare dopo il duro colpo della Brexit.
“Quando si difende il proprio Paese non si fanno calcoli. Io sono convinto, lo dico con tutta la prudenza che mi contraddistingue, che la storia è con noi. E vedremo alla fine quale piega prenderà”.
Con queste parole Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri, ha lanciato un ulteriore appello alla coalizione europea, un disperato urlo di aggregazione forte, che rispecchia il forte bisogno di umanità di fronte ad un nemico così poco umano.
“L’Europa ha bisogno di dare il senso di una forte, coesa credibile risposta a questa sfida epocale”, parole che se paragonate a quelle di sessantotto anni fa di Schuman fotografano in pieno il momento di crisi all’interno dell’Unione.
Siamo incappati in un ritorno all’origine?
Friedrich Nietzsche fu uno dei più grandi europeisti senza Europa, il suo insegnamento nell’aforisma 377 della “Gaia Scienza”, ovvero “Noi senza patria” è più attuale che mai:
«Non mancano tra gli Europei di oggi alcuni che hanno il diritto di chiamarsi senza patria in un senso che torna loro a distinzione e onore: a costoro sia posta espressamente nel cuore la mia segreta saggezza e gaya scienza! Perché duro è il loro destino, incerta la loro speranza, sarebbe una grande acrobazia inventare per loro un conforto — ma a che servirebbe poi!»
In quel “noi senza patria” Nietzsche racchiude tutto il senso della sua inattualità e riecheggia quanto mai attuale. Nietzsche dedica la sua opera a coloro che hanno animi misti, che non hanno “razza” e hanno una dimensione più ampia. Nell’aforisma 475 di “Umano, troppo Umano” Nietzsche elogia la capacità degli ebrei di non essere radicati, di essere “heimatlos”, ovvero senza patria. L’odierna vita nomade di tutti coloro che non posseggono una terra, di tutti coloro che non sono proprietari terrieri porterà all’indebolimento e alla distruzione delle nazioni.
Con ciò Nietzsche intende esprimere il suo ideale di buon europeo colui che non ha patria, che è di sangue misto perché così facendo si potrà procedere ad una fusione di tutte le Nazioni, in un unico grande ideale di Grande Europa.
«Il ghiaccio che oggi ancora ci regge si è già molto assottigliato: soffia il vento del disgelo, noi stessi, noi senza patria, siamo qualcosa che spezza il ghiaccio e tutte le altre “realtà” troppo sottili … Noi non “conserviamo” nulla…».
Prosegue sempre nell’aforisma 377 della Gaia Scienza:
«No, noi non amiamo l’umanità; d’altra parte, siamo però ben lungi dall’essere abbastanza “tedeschi”, nel senso in cui la parola “tedesco” è oggi d’uso comune, per parlare in favore del nazionalismo e dell’odio di razza, per poter godere della rogna al cuore e dell’intossicazione sanguigna nazionale a causa delle quali oggi, in Europa, un popolo contro un altro popolo si isola e si barrica nei propri confini quasi fosse in quarantena. Siamo troppo spregiudicati, troppo maligni, troppo raffinati per far questo, anche troppo ben istruiti, troppo “navigati” […] Noi senza patria, noi siamo per razza e discendenza troppo multiformi e troppo di sangue misto […] Noi siamo, in una parola — e sia essa la nostra parola Europei»
La parola di Nietzsche si va ad instaurare in quel grande e complesso quadro che l’Unione Europea è oggi, oggetto di critiche e di slanci idealistici complessi quanto ammirevoli.
Un quadro forse ancora in costruzione e che oggi è messo a durissima prova.
Un quadro che si basa sull’individualità per farne una comunità: noi cittadini in primis, coscienti di quello che siamo riusciremo a reggere l’urto potente quanto distruttivo dei pericoli che ciò comporta?
Mazzini e il suo ideale vorrebbero prendere vita affiancati dal verbo nietzschiano, dalla potente dichiarazione di Schuman, uniti in quell’ideale di buon Europeo, che forse dovrebbe estendersi ed andare oltre il semplice “europeo”, avere quella dimensione più ampia che lo stesso Nietzsche tributava a Goethe classificandolo come non tedesco, ma europeo.
Chissà se quelle dodici stelle solitarie che fluttuano in quel profondo mare blu potranno mai essere ricongiunte uscendo da quel barricamento tanto pericoloso a cui oggi sembriamo andare incontro, formando un’unica grande stella splendente.
Desiderio.
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