L’ecofemminismo e la lotta comune delle donne e dell’ambiente
Esiste una connessione tra le rivendicazioni dei diritti delle donne e dell’ambiente?
La crisi climatica è uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi decenni. Il 15 maggio 2023 è stata
la data del Country Overshoot Day italiano, ovvero del giorno in cui l’Italia ha esaurito le risorse
naturali disponibili per l’anno corrente e ha cominciato ad attingere da quelle riservate all’anno
futuro. Il deperimento delle risorse a disposizione in soli quattro mesi e mezzo è un angosciante
campanello d’allarme dell’imminenza degli irreversibili effetti del cambiamento climatico.
Fenomeni come l’effetto serra e il riscaldamento globale sono stati scientificamente ricondotti a
cause di natura ampiamente antropica, come l’utilizzo di combustibili fossili, la deforestazione e gli
allevamenti intensivi di bestiame. Il ruolo dell’uomo nella distruzione sistemica dell’ambiente
naturale è stato dunque ampiamente riconosciuto.
Gli effetti peggiorativi della crisi climatica sulle disparità tra uomini e donne stanno rapidamente
diventando un importante dibattito a livello mondiale. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Diritti Umani, il riscaldamento globale ha acutizzato il rischio di violenza contro le
donne, rappresentando queste circa l’80% degli sfollati a causa del cambiamento climatico.
Ed è stata proprio la Commissione delle Nazioni Unite sullo Status delle Donne a enfatizzare gli
effetti benefici di un aumento della leadership al femminile nello sviluppo sostenibile.
Nato negli anni settanta e sviluppatosi ulteriormente nei decenni seguenti, il movimento
ecofemminista analizza il rapporto tra la donna e l’ambiente e sostiene la necessità di affrontare le
tematiche del cambiamento climatico e delle disuguaglianze di genere in modo congiunto. Il
termine appare per la prima volta nel libro dell’attivista francese Françoise d’Eaubonne “Il
femminismo o la morte” nel 1974. Considerato come il primo manifesto del movimento
ecofemminista, il manoscritto elabora un approccio intersezionale nei confronti dell’oppressione
delle donne e dell’ambiente, descrivendo il capitalismo patriarcale come denominatore comune.
Secondo l’autrice, l’ecofemminismo diventa l’unica soluzione “all’assassinio generalizzato del
vivente”.
Il movimento identifica le similitudini tra le oppressioni che l’uomo ha esercitato sulla donna e
sull’ambiente attraverso i secoli, sostenendo che la loro storia è strettamente intrecciata attraverso la
loro condivisa dominazione patriarcale. Entrambe le donne e le risorse naturali vengono viste
dall’uomo come un oggetto a sua disposizione, che ha il potere di sfruttarle e metterle al suo
servizio in base alla gerarchia sociale.
Le modalità di dominazione esercitate dall’uomo sulla donna rispecchiano di conseguenza quelle
esercitate sul mondo naturale. Durante la sua evoluzione, il pensiero ecofemminista ha incorporato
diversi argomenti e si è talora esteso anche ad argomenti antispecisti, ovvero correlati alla lotta
contro le discriminazioni praticate dal genere umano verso le altre specie.
Seguendo una prospettiva ecofemminista, la conclusione della tirannia dell’uomo sulla donna è
dunque imprescindibilmente unita a quella dell’oppressione sistemica che l’umanità ha esercitato da
secoli sull’ambiente. L’una non avverrà senza l’altra. Identificare il capitalismo e il sistema
patriarcale come la caratteristica unificante di questa “doppia” discriminazione significa riconoscere
che i due fenomeni sono il prodotto dello stesso sistema di oppressione.
Durante gli anni novanta, il movimento ecofemminista è stato oggetto di critiche indirizzate
principalmente alla sua presunta natura “essenzialista” e alla sua mancanza di attenzione verso il
ruolo di altre forme di discriminazione come l’etnia o la classe sociale. In merito alla prima critica,
la tesi ecofemminista è stata spesso accusata di proporre una descrizione superficiale e largamente
spirituale del rapporto tra la donna e l’ambiente e di rinforzare la dicotomia uomo-donna. Negli anni
a seguire, l’ecofemminismo si è sviluppato ed ha assunto dimensioni e correnti differenti.
Nel 1989 l’attivista americana Kimberlé Crenshaw ha introdotto l’espressione “intersezionalità”,
con l’obiettivo di proporre una struttura per analizzare i modi in cui diverse forme di disuguaglianze
e discriminazioni agiscono talvolta in concomitanza. La prospettiva ecofemminista intersezionale,
che si è sviluppata a partire dal ventunesimo secolo, analizza le similitudini tra le problematiche
affrontate dalle donne e dal mondo naturale, riconoscendo al tempo stesso la presenza di elementi di
altra natura, come sociale, economica e geografica. Oltre agli effetti del cambiamento climatico
sulle donne, include nel suo pensiero altri gruppi emarginati come la comunità LGBTQ+, le persone
con disabilità e le comunità indigene.
In questo modo, un aumento del punto di vista ecofemminista può diventare utile nel
riconoscimento degli effetti del capitalismo patriarcale, e può acquisire un’importanza particolare
per una lotta inclusiva contro le disparità di genere e la distruzione del pianeta.