Le misure a sostegno del clima tra impegni istituzionali e partecipazione civica
Possiamo salvare il mondo, prima di cena? Sono passati solo cinque anni da quando Jonathan Safran Foer ha tentato di spiegare perché “il clima siamo noi”, ma intanto tanta acqua è passata sotto i ponti (letteralmente e non).
Se si provasse a creare un sondaggio, è quasi certo che gran parte degli intervistati sosterrebbero di ricordare almeno un evento climatico che li abbia visti direttamente coinvolti o di cui comunque conservano vivida memoria.
La domanda sorge dunque spontanea: se i cambiamenti climatici sono ormai evidenti e tutti possono dirsi coinvolti, perché risulta così difficile intervenire e arginare il fenomeno?
Ogni giorno siamo inondati (altro termine riferito all’ambiente) di post social o di servizi televisivi sulle conseguenze dirette di questi fenomeni atmosferici sempre più sentiti e pesanti. Ci si indigna, si intervistano un paio di persone per strada, si commentano gli eventi nei programmi pomeridiani, ma tutto sembra rimanere uguale.
Dopo attenta riflessione, sono personalmente giunta alla conclusione che non venga dato il giusto risalto a quanto di buono si sta tentando di portare avanti, quanta strada si è percorsa, quanti obiettivi si intendono raggiungere con entusiasmo e fiducia.
Se ci fermassimo anche solo un attimo ad indagare il fenomeno, sapremmo infatti che sono moltissimi gli impegni assunti a livello internazionale, così come sono numerosissime le associazioni – nazionali o locali – nate per portare avanti progetti di sensibilizzazione ambientale e climatica, le quali intendono educare alla sostenibilità con determinazione e passione.
Se poi consideriamo che il linguaggio dei social network sia ormai il metodo più consolidato, riuscito o – se vogliamo – vincente per raggiungere la mia ampia platea di riceventi possibile, vanno allora menzionate le centinaia di pagine che si occupano di divulgazione sostenibile (cito qui, tra le tante, Parlasostenibile, Greencome, Duegradi, Lifegate).
Molto probabilmente, ciò che rende difficile la creazione di un quadro di riferimento chiaro è la differente progettualità di breve e lungo periodo. Mentre infatti le piccole realtà agiscono nell’immediato piantando alberi, sensibilizzando al riuso, educando ad uno stile di vita più eco-friendly, i grandi vertici internazionali coinvolgono spesso persone provenienti da realtà differenti e che si fanno portatori di interessi altrettanto diversi (spesso anche in contrasto con gli obiettivi climatici).
Ne consegue che, nel secondo caso, si fatichi maggiormente a raggiungere un compromesso soddisfacente. Anche qualora questi accordi venissero siglati, resta comunque la difficoltà di tradurre quegli obiettivi in azioni concrete. In un mondo così veloce e frenetico, bisogna poi ricordare come fermarsi per comprendere cosa prevedano gli Accordi di Parigi, il Green Deal europeo o le conclusioni di ogni COP risulti una impresa alquanto ardua per i non esperti in materia.
La vera sfida sembra essere quindi proprio questa: convincersi che, in effetti, ognuno nel proprio piccolo sta facendo davvero quanto necessario e che, contemporaneamente, i grandi decisori – davvero volenterosi – stanno tentando di arginare il fenomeno tramite misure di più ampio respiro, che coprono orizzonti temporali anche più ampi (2030 o persino 2050).
Forse possiamo davvero salvare il mondo prima di cena. Intanto, fuori c’è il sole e vale la pena darne conto finché possiamo.