Sessualità al femminile: parliamone
Sono stata da una sessuologa quando avevo 22 anni. Condividere la mia esperienza in questo articolo non è facile, una parte di me si vergogna a dirlo ad alta voce. Ero imbarazzata a parlarne con altre ragazze che si vantano della loro vita sessuale. Mi sentivo sola, sbagliata, e meno donna.
Tramite il percorso sessuologico, ho capito di non essere io sbagliata per non conoscere il mio corpo, per non averlo mai esplorato o studiato. La consapevolezza sessuale femminile è un tabù, un argomento di cui si parla pochissimo, pure tra donne. Il tema della sessualità al femminile è intriso di stereotipi e pregiudizi che limitano la comprensione e la curiosità verso il piacere.
La sessualità comprende diversi aspetti, come l’educazione sessuale, il diritto alla scoperta del proprio corpo, la salute sessuale, la libido femminile, la gravidanza e la maternità. La sessualità delle donne è quindi sfaccettata, comprendendo una dimensione emotiva, psicologica, culturale e sociale, oltre che fisica.
Per comprendere perché è così difficile parlarne, ho intervistato la Dottoressa Roberta Rossi, sessuologa e past president della FISS (Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica), autrice del libro Cosa può andare storto – Affrontare imprevisti e difficoltà nel sesso, per riscoprire il piacere.
«Abbiamo decenni, anzi millenni, di una cultura che non vedeva di buon grado il piacere femminile, né tantomeno la possibilità che vi potesse accedere. Le donne avevano una sessualità che corrispondeva a quello che era il desiderio e la necessità al maschile. Ci è voluto tutto il periodo del femminismo perché le donne iniziassero a prendere contatto con questo aspetto», spiega la Dottoressa Rossi.
Il corpo delle donne è stato per millenni nelle società patriarcali considerato solo per procreare. Con la rivoluzione sessuale e la seconda ondata femminista, le donne si sono riappropriate del proprio piacere e di una sessualità slegata dalla riproduzione. Questa rivendicazione però è ancora ostacolata. Le cause sono numerose, ma la mancanza di conoscenza e di educazione sessuale rientrano tra le principali. «Non conosciamo nemmeno l’anatomia, non sappiamo come siamo fatte, cosa si agita là sotto in questo corpo», precisa la sessuologa, «Nessuno ci insegna a guardare i genitali, nessuno ci dice prova a guardarti, prova a vedere come sei fatta, prova a capire le varie funzioni della zona più esterna». A bambine e ragazze non si parla di sesso, di piacere, di masturbazione, non vengono insegnati i nomi e le funzioni dei propri organi sessuali, non si conoscono i termini vagina/vulva/clitoride. Parlare dei genitali femminili è ancora un tabù, e ciò rappresenta un’enorme differenza con i maschi, la cui ricerca del piacere è legittimata.
La mancanza di educazione sessuale rafforza l’idea che il corpo femminile è “troppo complicato” e che l’orgasmo e il piacere femminile siano difficili da raggiungere. «Il percorso che porta al piacere è molto differenziato per ognuna», puntualizza la sessuologa, «Un percorso di conoscenza magari eviterebbe un sacco di problemi soprattutto alle giovani donne che si avvicinano alle loro prime esperienze sessuali».
Oltre ad affrontare il discorso della sessualità, quando lo si fa, ci si incentra attorno al dolore e al rischio associato ai rapporti. La dottoressa spiega che «per tutto quello che riguarda le donne, il rapporto sessuale, la gravidanza, il parto, tutto deve passare attraverso una situazione di dolore necessariamente, ma non si parla mai del piacere. Sul corpo si interviene soltanto quando c’è un problema, ma il corpo come fonte di piacere, di soddisfazione, di un rapporto privilegiato con noi stessi, non viene mai citato».
Nonostante la rivoluzione sessuale e i movimenti femministi, per le donne è tuttora difficile acquisire consapevolezza del proprio corpo, gli stereotipi culturali fanno fatica ad essere sradicati. «Anche nelle generazioni più giovani, c’è una certa difficoltà a vivere la sessualità perché c’è ancora questa idea di delegare il proprio piacere al partner, soprattutto se è un partner maschile, che lui saprà quello che deve fare e quindi io donna rimango più passiva, meno consapevole di quello che dovrebbe essere piacevole per me con l’idea che l’altro sappia cosa fare. Questo è uno dei miti e dei tabù più difficili da buttare giù», spiega la Dottoressa Rossi.
La predominanza di una visione maschile del sesso e la forte presenza di idee su cosa sia giusto e sbagliato nei rapporti impediscono la riappropriazione del proprio piacere. «La sensazione è che si stia entrando in un’ottica più di performance, cioè del devo avere un orgasmo sempre e comunque, devo avere un rapporto penetrativo. Si stanno creando dei must, delle situazioni che si devono avere e raggiungere, pena il non sentirsi uguali alle altre e pensare di avere necessariamente un problema», continua la sessuologa. «Questi must ci portano a saltare delle fasi nostre femminili, che sono diverse rispetto alle fasi di eccitazione maschile. Se il ragazzo è praticamente pronto ad avere un rapporto quando ha un’erezione, per la ragazza questo non è sempre valido. Le donne hanno bisogno di tempo per lubrificarsi, altrimenti si crea attrito durante la penetrazione e si prova dolore». L’eccitazione femminile, infatti, è diversa da quella maschile, e ha tempi più lunghi. Gli uomini sono generalmente più sensibili agli stimoli esterni, cioè legati agli organi di senso come la vista. Il tempo richiesto per eccitarsi è solitamente più rapido per gli uomini, le donne invece hanno un’eccitazione più lenta, influenzata maggiormente da aspetti psico-affettivi, emozionali e relazionali, come fantasie e coinvolgimento affettivo, che non da aspetti fisici.
Rimanendo in tema di stereotipi sbagliati, tra i più diffusi c’è quello di affidare alla penetrazione tutta l’importanza della sessualità. Come spiega la dottoressa, «ci è stato raccontato per anni che un incontro sessuale non è un incontro sessuale se non c’è una penetrazione. Però non è così, l’incontro sessuale è fatto di tanti aspetti». Alla predominanza del sesso penetrativo è connesso il mito dell’orgasmo penetrativo. «Solo una piccolissima percentuale di donne riporta una sensazione di intenso piacere o di orgasmo durante la penetrazione, mentre per la stragrande maggioranza delle donne l’orgasmo durante il rapporto è fondamentalmente un orgasmo da stimolazione esterna, dato dal punto di vista clitorideo, ma anche dalla stimolazione di altre zone erogene».
Rimanendo in tema di orgasmi, la Dottoressa Rossi riporta un altro stereotipo comune, quello dell’orgasmo simultaneo. «L’orgasmo raggiunto insieme sembrerebbe avere molti più punti di quello che si raggiunge in momenti differenziati, come se raggiungere l’orgasmo in momenti diversi denotano denoti più il distacco tra i partner». L’importanza attribuita all’orgasmo raggiunto insieme evidenzia ancora una volta la poca importanza data al proprio percorso al piacere, che può essere diverso da quello del partner. «L’orgasmo è quell’esperienza che dà piacere, soddisfazione, che può essere raggiunto in modalità e situazioni diverse, è importante appunto conoscere il proprio percorso».
La persistenza dei ruoli di genere si riversa anche sulla contraccezione. «È vero che gran parte dei metodi contraccettivi sono a carico femminile, ma per la donna avere tutto il carico della contraccezione sulle proprie spalle può risultare pesante da un punto di vista psicologico», spiega la sessuologa.
Il corpo femminile non è stato studiato in campo medico. Solo più recentemente si sono approfonditi degli studi, ma ne sappiamo ancora poco in confronto allo studio del maschile. Questo impatta la qualità della vita delle donne, in quanto la scarsa considerazione delle specificità femminili porta a ritardi nelle diagnosi di malattie. In aggiunta, l’aspetto della salute sessuale delle donne viene ben poco considerato. «Tutte le fasi della vita della donna comportano dei cambiamenti, ma nessuno dice cosa ci si può aspettare», spiega Roberta Rossi, «all’uomo si parla di quello che ne sarà della propria salute sessuale, alla donna no».
Se i medici possono impegnarsi per fornire informazioni sulla salute femminile, alla politica spetta il compito di favorire l’educazione sessuale e al rispetto nelle scuole. «Quello che può fare la politica è consentire che l’educazione alla sessualità venga finalmente messa sul tavolo e che si possa parlare con i bambini e con i ragazzi, ovviamente con il linguaggio adeguato all’età, fornendo non solo informazioni ma anche riflettendo sulla scoperta del corpo, sul discorso del piacere, sul rispetto, sul consenso». In mancanza di una legge uniforme in tutto il territorio, in Italia le attività educative alla sessualità e affettività sono disomogenee, il compito è lasciato agli enti e ai progetti locali.
In mancanza di educazione a scuola, di ricerche mediche e di parità di genere, ho chiesto alla Dottoressa che cosa consiglia alle donne per vivere al meglio la propria sessualità. «Avere curiosità verso se stesse significa avere e darsi la possibilità di mettere il naso in situazioni che magari poi possiamo decidere che non ci piacciono, ma intanto aumentiamo la nostra possibilità di ampliamento del piacere e della conoscenza». Aggiunge anche «poi parlarne con le altre donne, cioè il discorso della sorellanza. La condivisione con le altre è importantissima perché ci fa sentire meno sole e può essere fonte di riflessione, di scoperta, di una persona amica. Vedo tante donne sofferenti dal punto di vista della sessualità che non hanno mai parlato con nessuno, e questa cosa le fa sentire uniche nella loro difficoltà, con tutta la fatica psicologica che si portano dietro, e sole perché non hanno opportunità di confronto con altre».