Piccola ode alle pagliacciate e alle scenate
La performance tra critica e cambiamento
Dobbiamo prepararci in anticipo per lasciare la città e non assistere a delle pagliacciate?
Nulla di nuovo. Commenti simili spuntano ogni volta che i giornali della mia città fanno il minimo accenno all’organizzazione del Pride. Non è solo il Pride però ad attirare commenti di questo tipo. Anche quando si cerca di affrontare il tema del patriarcato, quando si svolgono manifestazioni dedicate a una particolare causa, quando ci si espone su difficoltà soggettive che moltɜ incontrano nella vita di tutti i giorni, le parole che vengono usate spesso sono le stesse.
Pagliacciate da circo
Sono tutte scene
Inutili scenate
Ci sarà sempre qualcunɜ (con più pazienza di me) prontɜ a spiegare perché questi termini non sono per nulla adatti a temi così delicati e complessi. Oggi non parliamo di non-pagliaccɜ, non-scene, non-scenate. Oggi sono tutte scene non sarà il commento scocciato scritto dall’ennesimo profilo anonimo. Parliamo di verɜ pagliaccɜ, di vere messe in scena, di vere scenate di rabbia.
Pagliacciate da circo
La figura del pagliaccio è molte cose. Divertente, tragica, spaventosa, un insulto. Lɜ pagliaccɜ e il circo (inteso come luogo e come gruppo) possono essere anche resistenza. Non ci è nuovo pensare aɜ comicɜ come figure in grado di affrontare tematiche politiche e sociali, dall’iconica figura molto pagliaccesca di Chaplin, alla satira, alla stand-up comedy. In particolare il circo, spiega Robyn Hambrook, fa rumore, interrompe la quotidianità, mette in scena azioni fuori dalle convenzioni sociali, mette al centro il corpo, estremizza gesti evidenziandone l’assurdità.
Le pratiche del circo e del clownismo si possono interfacciare con diversi temi cari anche alla lotta femminista. L’accademica e ricercatrice Margaret J. Irving sostiene che lɜ pagliaccɜ femministɜ possano utilizzare il proprio corpo per esplorare il tema dell’identità di genere e sfidare le dinamiche patriarcali. In Australia YUCK Circus porta in scena temi con poca visibilità come la povertà mestruale. V V Vroom e H P Source esprimono con il loro Queer Clownifesto le potenzialità dell’attività dellɜ pagliaccɜ come in grado di mettere a nudo le assurdità delle convenzioni sociali e del binarismo, rendendo ciò che è familiare estraneo. Il gruppo italiano Pagliacce Network ha organizzato nel 2024 la terza edizione del Festival Pagliacce, che interpreta la risata come atto liberatorio e portatore di cambiamento.
Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi, sento ripetere da quando ho memoria. In effetti spesso siamo davvero sciocchɜ. Ma non quando ridiamo o quando sfiliamo. Siamo sciocchɜ quando, con i paraocchi del buon costume e il grigiore delle regole, non notiamo la ridicola e assurda oppressione che riempie le nostre giornate.
Scene e scenate
Anche il teatro in senso più tradizionale ha partecipato e partecipa tuttora al dibattito su temi di rilevanza sociale. Maria Morelli (2019) parla del Teatro della Maddalena a Roma (che vide la partecipazione, tra le altre, di Dacia Maraini e Edith Bruck) come primo teatro femminista italiano, fondato nel 1973. Le opere presentate al teatro della Maddalena non erano femministe solo nei temi, ma anche nella forma. Il teatro “femminista”, infatti, si distingue non solo grazie rappresentazione di tematiche care alla lotta (come la violenza di genere, l’identità di genere, l’orientamento sessuale) ma spesso anche grazie ad approcci che privilegiano l’interazione con il pubblico, sviluppano nuovi linguaggi, pongono grande attenzione al corpo, si avvicinano alla sfera popolare.
Il teatro femminista, spiega Elaine Aston, si evolve insieme al femminismo stesso: se agli inizi la pratica teatrale femminista consisteva principalmente nella ricerca di opere con un cast principalmente femminile, nel tentativo di appianare uno squilibrio che favoriva la rappresentazione maschile, a partire dagli anni Novanta si assiste alla svolta del pensiero oltre il binarismo di genere. Ciò non significa che la pratica teatrale fosse stata fino a quel momento completamente intrisa di essenzialismo di genere. Un esempio è la visione dell’arte di Mario Mieli e il suo spettacolo La Traviata Norma, ovvero vaffanculo… ebbene si!.
Se la parola scena può evocare, tutto sommato, un significato abbastanza neutro, la parola scenata ha una connotazione prettamente negativa (Treccani: rimprovero o litigio violento e concitato, in cui l’ira non consente più di moderare le parole, gli atti e il tono della voce). Il tema della rabbia non è estraneo al femminismo, tanto che l’emozione stessa è vista come uno strumento liberatorio contro l’oppressione (di genere ma, come fa notare Audre Lorde, anche razziale). La rabbia da parte di soggettɜ oppressɜ viene spesso stigmatizzata come una emozione esagerata, nonostante spesso nasca da situazione di forte marginalizzazione o violenza. Anche a teatro la rabbia femminista trova il suo spazio. Alcuni spettacoli riprendono e reinterpretano personagge emblematiche della tradizione teatrale greca (come Medusa, Clitennestra, Medea), contestualizzando e soggettivizzando l’ira delle protagoniste.
Altri spettacoli invece nascono da storie vere e contemporanee che potrebbero difficilmente essere raccontate senza una dose di rabbia. È il caso di Maryland, breve spettacolo di Lucy Kirkwood scritto dall’autrice in reazione alla notizia di nuovi femminicidi in Regno Unito. Le protagoniste, Mary1 e Mary2, si incontrano in una stazione di polizia, entrambe con l’intenzione di denunciare una molestia. La loro storia è accompagnata da un coro di Furie che elenca, una ad una, piccole preoccupazioni (come la disponibilità di parcheggio), misure per la propria sicurezza (un kit antistupro ricevuto come regalo di natale), la sfiducia nei confronti della polizia (in particolare, il timore che la polizia non si occupi di indagare per la morte di una donna non bianca). Lo spettacolo si conclude proprio con le Furie, che esprimono la loro rabbia singolarmente e in unisono (in grassetto).
Cos of course Not All Men and also Not Just Women because men get hurt too
(by other men)
men get killed too
(by other men)
which by the way, kind of suggests the wrong people are over- thinking this doesn’t it?
But still we put up and shut up and hold our keys in our hands and our hope in our throats
that one day Not All Men will become Not Some Men or even Not Many Men At All actually.
But we have been waiting
For centuries we have been waiting
Doing all the right things
Being safe rather than sorry
But we aren’t safe.
And we are sorry.
We are angry, unhappy, exhausted women
What fresh hell do you need?
Before you are as angry as we are?
(Il testo è stato reso disponibile dal Royal Court Theatre)
Potrebbe sembrare inutile riversare rabbia in un testo teatrale. Potrebbe essere visto come un semplice sfogo personale. La rabbia di chi scrive e di chi recita però non svanisce nel vuoto, quando si chiude il sipario e si riaccendono le luci. Si trasferisce nella platea, nei palchi, nella galleria. Si insinua negli occhi lucidi del pubblico, nei loro cuori fibrillanti, nelle loro mani che applaudono. Si inserisce nelle conversazioni con lɜ vicinɜ di posto mentre ci si dirige verso l’uscita, riempie il silenzio del viaggio di ritorno, si affaccia durante la pausa caffè del giorno dopo. Si trasforma in consapevolezza, in determinazione, in voglia di lottare, di discutere, di manifestare. La rabbia vive, si trasforma e trasforma la realtà.
Altro che inutili scenate.
(Un grazie alle persone che usano la propria voce e il proprio corpo, cambiando il mondo a suon di pagliacciate e scenate)
Per approfondire la tematica:
- Feminist Theatre | HowlRound Theatre Commons
- Giacobbe Borelli, M. (2019). Attrici d’avanguardia e teatro femminista a Roma negli anni Settanta: nuovi luoghi e linguaggi. Italica Wratislaviensia, 10(2), 257–273. DOI: http://dx.doi.org/10.15804/IW.2019.10.1.28
- Queer a teatro. Percorsi del contemporaneo – Teatro e Critica
Mario Mieli autore, regista, costumista, scenografo, truccatore: qualcosa di magico – AUT Magazine
Credit foto: https://www.pagliacce.it/