Oriana Fallaci: una femminista contro il femminismo?

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Oriana Fallaci (1929-2006) è stata una delle giornaliste e scrittrici italiane più influenti e controverse del XX secolo. La sua figura è associata a una produzione letteraria e giornalistica che ha percorso temi di grande rilevanza politica, sociale e culturale. 

Tra questi si fa spazio un vero e proprio filone di scritti dove la giornalista affronta, con una lucidità e una franchezza che ancora oggi colpiscono, la questione dell’essere donna.

Osserva infatti “che i problemi fondamentali degli uomini nascono da questioni economiche, razziali, sociali, ma i problemi fondamentali delle donne nascono anche e soprattutto da questo: il fatto d’essere donne”, e scrive così il reportage sociologico Il sesso inutile (1961), nel quale riporta un’analisi profonda e talvolta impietosa della realtà femminile in diverse culture, offrendo uno sguardo crudo sulla vita delle donne musulmane, indonesiane, giapponesi e indiane, tutte intrappolate in sistemi religiosi e culturali repressivi. 

Ma la sua penna non risparmia critiche: la Fallaci sarà estremamente dura con le donne occidentali, che sacrificano la loro identità per conformarsi alle aspettative sociali, con le donne giapponesi, che accettano passivamente un ruolo subalterno, e soprattutto sarà aspra con le donne musulmane, complici della loro oppressione accettando l’obbligo religioso di indossare il velo, definito dalla giornalista come una vera e propria “gabbia”.

La scrittrice continua il suo viaggio nel mondo femminile creando un manifesto “scomodo”: Se nascerai donna (1964), nel quale, attraverso un dialogo intimo con il lettore, indaga sul significato di essere donna in una società patriarcale affrontando anche temi quali la maternità, ripreso poi successivamente all’altezza di Lettera di un bambino mai nato (1975), dove riflette sull’importanza del diritto all’aborto e sul prezzo che comporta tale scelta per una donna.

Queste riflessioni e la fermezza con cui la giornalista ha difeso i diritti delle donne in numerosi dibattiti, portano a chiedersi: “Ma Oriana Fallaci è stata una femminista?” 

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la risposta non è nè immediata nè semplice: più che una femminista la Fallaci è stata una ribelle solitaria, una donna che credeva nell’autodeterminazione sopra ogni cosa. La sua eredità è dunque quella di un intellettuale che non ha mai temuto di mettere in discussione se stessa, il proprio genere e il mondo che la circondava. E forse, proprio per questo, rimane una figura così affascinante e divisiva.

Infatti, nonostante gli scritti sopra citati rappresentano un grande patrimonio per la battaglia per l’emancipazione femminile e dimostrano il grande interesse e coinvolgimento della giornalista per queste tematiche, il suo stile diretto e senza filtri si scaglierà anche con le cicale di sesso femminile, le femministe di cattiva memoria, a cui scrive:

“Giù la maschera, false Amazzoni. Ricordate gli anni in cui anziché ringraziarmi di avervi spianato la strada cioè d’aver dimostrato che una donna può fare qualsiasi lavoro come un uomo o meglio d’un uomo, mi coprivate di insulti?… Ebbene, dov’è finita la vostra presunta bellicosità? Com’è che sulle sorelle afgane, sulle creature assassinate seviziate e umiliate dai maiali-maschilisti con la sottana e il turbante, imitate il silenzio dei vostri ometti?Com’è che non organizzate mai una abbaiatina dinanzi all’ambasciata dell’Afghanistan o dell’Arabia Saudita o di qualche altro paese mussulmano?… La verità è che non siete nemmeno cicale. Siete e siete sempre state galline cui riesce soltanto starnazzar nel pollaio, coccodè-coccodè-coccodè.”

Queste dure parole che la Fallaci scrive all’altezza de La rabbia e l’orgoglio (2001) diviserò l’opinione pubblica aprendo un dibattito che ancora oggi resta infuocato: infatti c’è chi, sulla scia delle osservazioni della giornalista, ritiene che, quantomeno alcuni movimenti femministi attuali abbiano perso di vista la vera essenza della lotta femminista, basata su una conquista individuale portata avanti con forza, determinazione e resilienza, dedicando piuttosto la loro “bellicosità” a battaglie collettive per lo più “simboliche”,come la lotta contro il “meanspleaning” o la scelta del linguaggio, alimentando in questo modo soltanto uno stereotipo di femminismo “accanito” che ha nulla a che fare con quello più radicale di un tempo.  

La questione rimane tuttavia estremamente complesse e l’unica cosa certa è che “essere donna è affascinante. E’ un’avventura che richiede coraggio, una sfida che non annoia mai”.