Non sono solo canzonette
CHE RAPPRESENTAZIONE C’È DELL3 ARTIST3 NELL’INDUSTRIA MUSICALE?
L’eliminazione dell’artista Francamente, donna lesbica di trent’anni, dal talent show XFactor del 28 novembre 2024 e ancora di più la riflessione che ha portato sul palco in seguito, riguardo la sottorappresentazione delle donne nell’industria musicale, ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora, dimostrando ancora una volta quanto queste discussioni siano necessarie e tutt’altro che superflue.
I discorsi sulla rappresentazione, da sempre considerati di serie B o ritenuti ormai superati, così come la lotta femminista in generale, ci permettono di osservare la realtà che ci circonda con una prospettiva finalmente intersezionale.
Le risposte che sono seguite al discorso di Francamente sul palco di XFactor, uno su tutti il commento di Cruciani nel suo programma La Zanzara, sono la dimostrazione di come la musica sia e sarà sempre anche una questione politica, nonostante si voglia continuare a credere il contrario.
Dire che la disparità di genere nel mondo dello spettacolo e nel mercato discografico sia dovuta solo a caratteristiche intrinseche alle artiste e al loro modo di agire nello star system, stroncando sul nascere ogni riflessione e usando come unico parametro quello del merito e dell’impegno, è una risposta facile e che deresponsabilizza chi invece dovrebbe agire per eliminare quest’asimmetria. Ma se anche volessimo leggere il fenomeno solo in base a questo criterio, allora perché non ci interroghiamo sul motivo per cui le donne siano socialmente portate a non investire sulla propria carriera musicale? Una possibile risposta ce l’ha data Francamente sul palco: “Meno donne sono rappresentate, meno donne si avvicineranno alla musica”.
Nel contesto musicale, infatti, come in altri ambiti della vita, le donne sono soggette a valutazioni e giudizi di tipo multifattoriale e pluristratificato che non prendono in considerazione solamente il piano delle competenze e delle capacità, come accade nel caso degli uomini, ma anche valori come la moralità, l’estetica, la capacità di relazionarsi, l’atteggiamento e addirittura le scelte personali.
Questa consapevolezza più o meno inconscia da parte delle donne o dellɜ artistɜ socializzate come tali fa sì che molto spesso vengano messe in atto dinamiche di esclusione e autoesclusione soprattutto sul piano professionale, causate dall’assorbimento e l’incorporazione di questi stereotipi e strutture di (auto)giudizio imposte dalla società.
Ma quantɜ e quali artistɜ riescono a ritagliarsi uno spazio? E quali invece vengono sovradeterminatɜ o rappresentatɜ in modo indiretto?
QUANTO SONO RAPPRESENTAT3?
Da un’analisi quantitativa emerge una chiara disparità di genere nell’industria discografica e per rendersene conto basta consultare la classifica FIMI di questa settimana (dal 10.01.2025 al 16.01.2025): nelle prime cento posizioni dei dischi più venduti sono presenti solo dodici donne.
A livello internazionale la situazione purtroppo non migliora e il rapporto annuale dell’Università Annenberg di Los Angeles promosso da Spotify, dal titolo “Inclusion in the Recording Studio? Gender & Race/Ethnicity of Artists, Songwriters & Producers across 1,100 Popular Songs from 2012 to 2022”, ci racconta più nel dettaglio i caratteri specifici del forte divario di genere presente nel mondo musicale.
La ricerca, che prende in considerazione un campione di 1100 canzoni prodotte dal 2012 al 2022 all’interno della Billboard Hot 100 Year and Chart, ci mostra che le donne sono solo il 22,3% con un rapporto di una donna ogni 3,5 uomini. Nella popolazione di autori solo il 12,8% sono autrici, con un rapporto di una donna ogni 6,8 uomini. Tuttavia il dato più allarmante viene dal mondo della produzione, con solo il 2,8% di donne e un rapporto che vede una donna ogni 34,1 uomini.
Negli ultimi anni tuttavia la situazione sembra lentamente migliorare. Nel 2023, infatti, il numero di musiciste donne a livello globale ha raggiunto il livello più alto mai registrato a partire dal 2012, raggiungendo il 35%, mentre le cantautrici sono aumentate passando dal 14,1% al 19,5% anche se nel contesto italiano è difficile vedere dei miglioramenti in questo senso.
COME SONO RAPPRESENTAT3?
Come dimostrano i numerosi studi che hanno portato alla definizione della metafora del glass ceiling, il “soffitto di cristallo”, anche allɜ artistɜ viene spesso richiesto il doppio o il triplo dello sforzo rispetto ai colleghi uomini per raggiungere gli stessi risultati. Ciò rende molto più ricco di ostacoli il loro percorso per via di radicati pregiudizi all’apparenza invisibili, ma in realtà quasi invalicabili che influenzano profondamente la loro esperienza, così come quella delle persone appartenenti alle comunità marginalizzate in generale.
Le donne sono spesso spinte, per non dire costrette, a creare spettacoli straordinari intorno alla propria musica e da loro si tende a pretendere oltre che bravura anche presenza scenica, l’accompagnamento di corpi di ballo, ospiti, davanti a scenografie degne dei migliori palchi del mondo, per poi, ironia della sorte, non essere comunque riconosciute come artistɜ, ma piuttosto oggetti del desiderio scelti per compiacere lo sguardo maschile e niente di più.
A questo giudizio da parte dello star system si aggiunge poi una pressione sociale costante che tende a svalutare lɜ artistɜ nel momento in cui mostrano il loro corpo, declassandolɜ a prostitutɜ dello spettacolo e portandolɜ a perdere qualunque possibilità di giudizio sulle proprie capacità, perché si sa, o sei bravə o sei attraente e non puoi usare il tuo corpo come vuoi perché dai, con una voce così bella che bisogno hai di esibirti in quel modo?
Parallelamente però è richiesta una certa cura estetica perché alle donne in particolare non è permesso di non corrispondere anche a certi canoni di bellezza, ma è fondamentale che non si tratti di una bellezza volontariamente esibita. Insomma la massima aspirazione è quella di una modella con una bella voce, ma assolutamente non autodeterminata o indipendente nelle proprie scelte professionali.
Ed è qui che si verifica il madonna-whore complex, teorizzato da Freud e poi riletto in chiave femminista negli anni ‘70, insieme agli studi sullo sguardo teorizzati da Laura Mulvey in Visual Pleasure and Narrative Cinema (1975). Secondo questa teoria il maschio eterosessuale è portato a scindere la società femminile in due grandi categorie: donne che può ammirare e donne che trova sessualmente attraenti. Il maschio eterosessuale venera le prime senza desiderarle e trasforma le seconde in un oggetto del desiderio da svalutare perché immorale.
E se da un lato il pretty privilege è un fenomeno trasversale che porta anche gli artisti a dover soddisfare certi parametri, dall’altro spesso nei confronti degli uomini c’è una più alta probabilità che ci si mostri più indulgenti nelle caratteristiche strettamente estetiche, puntando piuttosto sul fascino dell’uomo non canonicamente bello, ma che piace per la propria sfrontatezza o sicurezza nell’atteggiamento.
DOVE E DA CHI VENGONO RAPPRESENTAT3?
Come è ormai ampiamente dimostrato dalle classifiche degli ultimi anni, il genere che sta battendo qualunque primato sulle piattaforme di streaming è la trap.
Da sempre l’hip hop e i suoi sottogeneri sono dominati da una mascolinità, spesso tossica, che porta uomini a produrre musica indirizzata ad altri uomini, mentre il genere che stereotipicamente viene associato alle donne e persone socializzate come tali è il ben più femminile e dolce pop, basti vedere quantɜ pochɜ rapper o trapper abbiano spazio nella scena italiana e mondiale.
È però interessante e insieme preoccupante vedere come il genere che sta assolutamente primeggiando nel mercato discografico, guardacaso prodotto quasi esclusivamente da uomini, racconti le donne.
Con un meccanismo a doppio senso in cui riflettono e a loro volta contribuiscono ad alimentare la cultura patriarcale, i testi di queste canzoni ci parlano di donne dipinte come oggetti sessuali, bersaglio di slutshaming, spesso senza alcuna autodeterminazione e intrappolate in relazioni tossiche da cui non vogliono mai veramente uscire, insomma esistenti solo per soddisfare il proprio partner.
E questo è solo uno degli esempi che si potrebbero fare per vedere come il linguaggio che usiamo e sentiamo quotidianamente formi le nostre menti e vada a sedimentarsi in un contesto già intriso di romanticizzazione della violenza a tutti i livelli e cultura dello stupro.
Se poi pensiamo che ad ascoltare queste narrazioni sono prevalentemente le fasce più giovani che ancora non hanno gli strumenti per leggerle in modo critico è inevitabile che esse contribuiscano a dare una certa percezione del mondo femminile e non solo (si potrebbero aprire almeno altre tre parentesi sull’omofobia, il razzismo e la romanticizzazione della criminalità organizzata).
L’ILLUSIONE DELLA SCELTA
La verità è che sarebbe bellissimo raccontarci che lɜ ascoltatorɜ siano del tutto liberɜ da pregiudizi o sovrastrutture nella scelta di chi seguire e supportare, ma un discorso simile non ci permetterebbe di riflettere sul perché sistematicamente si scelga di ascoltare artisti uomini piuttosto che artistɜ.
Per di più si tratta di un’argomentazione doppiamente miope in quanto è chiaro che le persone siano influenzate e guidate dal mercato e ad occupare ruoli apicali (e quindi decisionali) nell’industria musicale sono comunque in maggioranza schiacciante uomini.
Se da un lato è vero che le piattaforme permettono una varietà di scelta molto più ampia, dall’altro siamo il frutto di costrutti sociali e il modo in cui è strutturata la cultura fa in modo che la mentalità patriarcale pervada anche il mondo dell’arte e dell’espressività portandoci a scegliere alcuni prodotti piuttosto che altri, aspetto che dipende non solo da cosa effettivamente cerchiamo (o pensiamo di ricercare liberamente ma anche dal modo in cui l’industria investe sulle artiste donne e per quali scopi).
A maggior ragione il fatto che molti programmi televisivi siano principalmente basati sul televoto dovrebbe rappresentare uno spunto di riflessione e non una centrifuga per le nostre coscienze o un nascondiglio dietro l’affermazione “Se al pubblico piace di più X al posto di Y allora è giusto che le classifiche siano stilate così”. Ciò che è giusto e ciò che naturale, anzi culturale, non coincidono quasi mai e questa ne è una dimostrazione lampante.
Abbiamo a tal punto incorporato la convinzione che il gusto sia soggettivo e legittimo da dimenticarci di riflettere su cosa orienti il nostro “gusto personale”.
Un altro meccanismo che alimenta questo divario è il funzionamento degli algoritmi nelle piattaforme che tendono a riproporre in modo consequenziale contenuti simili a quelli già visionati o apprezzati in precedenza, creando delle vere e proprie bolle, dei microcosmi in cui ognuno guarda e riguarda prodotti molto simili tra loro senza venire in contatto con gusti, ma anche posizioni e idee differenti dalle proprie.
Ma quindi come uscirne? Innanzitutto è importante riconoscere che il sistema è truccato in partenza e non solo sull’asse di genere, ma anche sulla base di tutti gli altri rapporti di potere e di oppressione come quello l’appartenenza di classe, etnia, orientamento sessuale, relazionale, identità di genere, credenze religiose o politiche che influenzano profondamente l’esperienza che fa del mondo lǝ singolǝ individuǝ e che vanno a creare una combinazione specifica.
È necessaria una presa di coscienza e di posizione in primis da parte degli uomini che li porti a decostruirsi e mettersi in lotta insieme alle donne o persone socializzate come tali, mettendo in discussione il proprio privilegio e sfruttandolo per far emergere le voci che spesso non trovano spazio per essere ascoltate, anche per non rischiare di ricadere in una vittimizzazione secondaria delle donne che spesso non si trovano nella posizione di potersi esporre senza conseguenze per la loro carriera già svantaggiata.
Una bella pagina in questo senso è stata scritta da Marco Mengoni due anni fa, dopo la vittoria del Festival di Sanremo, quando all’Ariston ha voluto portare l’attenzione sul mancato riconoscimento dato alle artiste che hanno condiviso il palco con lui.
Ma è mettendo in discussione il concetto di merito che si potrà realmente iniziare a complessificare il discorso senza rischiare di cercare facili soluzioni a problemi difficili.
Sarebbe bello che da domani iniziassimo a fare più caso a cosa scegliamo di ascoltare e di foraggiare con i nostri ascolti , un piccolo passo, ma non vano, verso un mondo un po’ più equo e giusto per tuttɜ.