Le fanzine come strumento di lotta politica femminista

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Materia Prima, Neurosifilide e Interiorume

In ottica intersezionale la lotta politica femminista, oltre a passare attraverso le piazze reali e virtuali, si canalizza nell’arte, come forma di attivismo.

Ho incontrato Beatrice, Marzia e Marcella del collettivo Materia Prima; Carol, Scer, Martina e Alessia di Neurosifilide e Maria e Masa di Interiorume.

Da dove nasce l’esigenza di creare una fanzine?

Materia Prima: Dalla volontà di esprimere liberamente la nostra creatività, senza compromessi o preventive auto-censure. 

Dalla fusione delle nostre diverse modalità artistiche. 

Neurosifilide: Ad un certo punto eravamo stanchə, forse un po’ annoiatə della scrittura limpida, pulita, cristallina e coerente: una pratica che ci insegnavano alla Holden e che è quella riconosciuta nei sistemi editoriali classici e mainstream.

Nonostante nel privato ognunə di noi continuasse – e continui tutt’oggi – a praticare questa forma di scrittura, sentivamo l’urgenza di creare uno spazio di espressione sguaiato, libero dalle forme stilistiche e di contenuto canoniche, che alla fine è un po’ l’anima di tutte le autoproduzioni. 

Volevamo – e vogliamo – fare arte pura, anche farla male ogni tanto, purché spontanea. 

Neurosifilide nasce come entità distruttrice – nei confronti della cultura, dell’editoria, del sistema capitalista, del consumismo – con l’ottica di demolire tutto nel tentativo di fondare qualcosa di migliore.

Interiorume: L’urgenza era quella di raccontare una porzione di mondo che, troppo spesso, viene lasciata ai margini. 

Quel senso di inadeguatezza e alienazione che sempre più colpisce i giovani. 

Raccontare, quindi, un mondo al di là di censure e perbenismi, che possa allo stesso tempo scioccare e avvicinare il lettore.

Perché questo titolo?

MP: L’ispirazione viene da un testo del nostro volume 1, materiali da costruzione, esplicitamente connesso al tema più generale del Festival di arti identitarie e territoriali di The Factory ODV di Novara: ricostruzione. 

L’idea è quella di non sottovalutare mai, prima di costruirci alternative intorno, quello di cui siamo fatte: i nostri corpi, le nostre idee e le nostre parole. 

Per ri-appropriarsi, per decostruire e poi reinventare e per ri-semantizzare.

NS: La neurosifilide è lo stadio terminale della sifilide, una malattia sessualmente trasmissibile e estremamente debilitante.

In questa fase, la malattia intacca il sistema nervoso centrale e porta l’infettə al delirio, allucinazioni e stati maniacali ecc… 

Fino all’Ottocento, non esisteva cura alcuna e i casi di contagio erano molto frequenti.  

Ci siamo chiestə: chissà quanti importanti eventi storici e artistici sono stati influenzati dalla diffusione di alcune malattie. 

Si dice che anche Mussolini avesse contratto ad un certo punto della sua vita da Dux, un rumor di cui abbiamo parlato nel primo numero di Neurosifilide, che trovate cartaceo. 

Affermare che l’intera ideologia fascista possa essere stata causata da una malattia sessualmente trasmissibile, suona arrogante e strano, ma dire che comportamenti violenti e decisioni affrettate di un uomo potente e facoltoso come Mussolini siano nate dalla sofferenza fisica di un corpo in parte compromesso, è un’altra storia.

Con la nostra fanzine vogliamo rendere la nostra scrittura una malattia sessualmente trasmissibile: fare impazzire il mondo e contagiarlo con le nostre parole.

I: Il nome del collettivo e della fanzine nasce da un neologismo coniato all’interno della Scuola Holden da un nostro professore, che unisce interiorità e pattume. 

Noi crediamo che si possa fare “interiorume” rendendolo universale e per questo abbiamo iniziato una ricerca letteraria che possa parlare di tutti.

Quindi: perché non scriverne in modo efficace così da farci sentire meno soli?

Cosa raccontate? Perché?

MP: Raccontiamo cose che ci stanno a cuore (o anche in altre parti del corpo).

Soprattutto lotte: quella femminista, quella decoloniale, ma sempre con una prospettiva intersezionale. 

E sempre partendo dal nostro vissuto personale, per poi aprirci alla dimensione collettiva. 

NS: Raccontiamo tutto ciò che riguarda la controcultura, le subculture, tutto ciò che vive nel sottoterra, nel mondo dell’underground. 

Gli spazi occupati, le collettive artistiche, le iniziative di rivolta e indipendenti.  

Però, lo facciamo usando anche gli strumenti del mainstream (oroscopi, quiz, pop culture ed elementi trash). 

Per esempio, rubriche tipo “Come è fatto?”, prendono spunto dal programma Discovery e mostrano cosa stia dietro ai prodotti che consumiamo tutti i giorni e come possiamo ridurne l’impatto ambientale e sociale. 

Parliamo anche di tutte quelle pratiche molto diffuse che non sono ancora socialmente accettate (es. droghe e riduzione del danno). 

Nonostante quelle edonistiche e di evasione siano spesso affrontate in spazi socialisti-anarchici e/o autogestiti, noi miriamo a rendere questi temi discussione aperta e comune. 

Nella nostra rivista, parliamo anche di case editrici che hanno comportamenti ipocriti e iper-commerciali e ospitiamo racconti di scrittorə che secondo noi vanno in controtendenza con ciò che il mainstream esige e richiede.

I: Raccontiamo il “quinto quarto d’autore”, perché crediamo che in esso ci sia la parte più interessante di ognuno. 

Ci sembrava giusto darle valore e spazio, in un’editoria che tende a scartarla.

Quale significato ha la lotta politica femminista oggi?

MP: La lotta ci dà la forza di reagire – insieme – dopo le lacrime di ognuna. 

E, prima ancora, di scoprire, sempre insieme, da dove sgorgano.

NS: Secondo noi, lotta significa vivere spazi collettivi dove connessione e cura siano prioritizzati e vadano contro i consumi. 

Significa vivere spazi non solo in maniera transfemminista, ma anche umana. 

C’è bisogno che il transfemminismo venga così profondamente assorbito dal tessuto sociale che non ci sia nemmeno più necessità di parlarne. 

Per poterci rapportare all’altrə come essere umano, esulare da ogni tipo di categorizzazione, pur riconoscendo le peculiarità e i bisogni specifici di ogni individuo, è necessario un cambiamento che abbia l’inclusione e le comunità come punto di ripartenza.

In particolare, noi nella fanzine usiamo sempre la schwa, perché crediamo che il cambiamento si costruisca anche attraverso il linguaggio e, nel nostro solito spirito un po’ trashy, ci riappropriamo di termini – come troiə che nascono con un’accezione prettamente negativa.

I: Crediamo che la lotta transfemminista sia il proseguimento di una lotta storica della quale c’è ancora bisogno. 

Viviamo, infatti, in una società dove cultura dello stupro, femminicidio, omotransfobia, gap sociale e un governo che giorno dopo giorno ci toglie i diritti, sono ancora la normalità. Inoltre, molte di noi sono coinvolte personalmente nella lotta. 

Entrando a Buenos Aires, in piazza, si legge “il femminismo è socialista o non è”, evidenziando il legame con la questione kurda. Siete d’accordo?

MP: Crediamo che sia obbligatorio e necessario ispirarsi, anche, alle lotte anti-patriarcali e de-coloniali del resto del mondo. E crediamo nell’intersezionalità.

NS: Sì, e non solo. Ogni questione politica è sociale e socialista. Dall’Afghanistan, al Kurdistan, all’Iran, dalla lotta alla xenofobia, a quella delle classi sociali e degli stigmi sulle disabilità cognitive e fisiche. 

Non possiamo costruire una comunità cooperativa che abbatta le disuguaglianze generate dal sistema capitalista, se non abbattiamo prima tutti quei sistemi che si fondano sull’isolamento e la competizione.

I: Sì, è vero e siamo d’accordo. 

Il punto è che i problemi sistemici sono tali perché sono talmente intrecciati con ogni questione politica, sociale, economica e culturale che non è possibile scinderli dal resto. 

Così come tutta l’arte è politica, allo stesso modo non può esistere una lotta che tralasci parti che opprimono le persone.

Quanto è importante per voi creare una frattura con la società e con il mondo editoriale?

MP: La frattura non è e non deve essere con la società tutta, ma con la sua parte più oppressiva, la quale è da de-costruire, ma non, per forza, interamente da buttare. 

Altre parti di questa stessa realtà, al contrario, sono già da valorizzare – ed è da qui che partiamo: dalle voci delle minoranze, dagli spazi sicuri, dal senso di comunità. Alternative che già esistono e a cui dare spazio.

NS: La fanzine è nata alla Scuola Holden nel settembre 2023. Eravamo studentə forse un po’ arrogantə, ambiziosə o insodisfattə e volevamo creare una scissione dal tipo di narrativa che studiamo sui banchi di scuola. 

Nell’editoria maggioritaria c’è sempre un sottile confine tra la libertà di parola e ciò che è sconveniente dire. Per non parlare della vera e propria censura che il governo sta mettendo in atto negli spazi editoriali pubblici, come nel caso di Christian Raimo, Nicola Lagioia e Antonio Scurati). 

In quanto fanzine, noi vogliamo defilarci dal mercato editoriale che si sta autodistruggendo, proprio anteponendo il consumo del prodotto all’apprezzamento dell’arte e dell’artistə. 

Per questo, in contraddizione, portiamo le nostre fanzine ai banchetti in festival di autoproduzioni e di realtà che fanno arte “dal basso” e le vendiamo a prezzi super popolari. L’intento, infatti, non è il guadagno e nemmeno guadagnare la popolarità (anche se è piacevole, non prendiamoci in giro), ma il creare connessioni con lə altrə. 

Come Neurosifilide, non vogliamo creare una frattura incolmabile con l’editoria mainstream, ma bensì capire come viverla in maniera migliore. Del resto, se avessimo voluto distanziarci totalmente dalla struttura editoriale, non avremmo fatto la Holden.

I: Creare una frattura è esattamente il motivo per cui scriviamo e per il quale abbiamo scelto la fanzine come medium.

Una domanda che non vi ho fatto ma che avrei dovuto farvi?

MP: “Ma quindi, cosa e chi siete?”

Ti avremmo risposto: “Manifesti, casa. Dal festival di arti territoriali del 2023, viaggiamo per de-costruirci, con cura collettiva. Nella post/provincia novarese. Un’idea di Matteo Borsari, presidente e direttore artistico, per rispondere collettivamente alla domanda: Ma è vero che a Novara non c’è un c***o? 

Si parla di: femminismo da ricostruire – decostruendo noi stesse – e sentire, Palestina e desideri da Gaza, corpo e intimità, nelle viscere dei nostri organi. Con amore.”

NS: “Perché avete due uomini all’interno della fanzine? È perché proprio il grande e grosso Dario?”

Se ci avessi fatto questa domanda avremmo risposto: “Vabbè tanto Giovi è queer quindi ok, e Dario è etero-cis ma decostruito. E questi, secondo noi, sono i grandi alleati del femminismo… lol”.

Scherzi a parte, noi non siamo una fanzine nata come rivista prettamente femminista. 

Ci definiamo fanzine trashy, un po’ fatta male, sulla controcultura e la cultura del DIY (Do It Yourself)

Il femminismo intersezionale è una feature congenita che, secondo noi, dovrebbe trovarsi alla base di qualsiasi tipo di produzione artistica.

I:  “Quanto ci si guadagna fare questa roba?”

“Riparliamone tra cinque anni”.

Un’ultima cosa che vorreste dire? Sull’editoria, sul mondo, sulla lotta politica femminista, sul niente?

MP: Leggete, informatevi, studiate, oltre ciò che è eurocentrico e occidentale, oltre le pubblicità e la grande distribuzione. 

Formate un vostro pensiero critico: scomodo, disturbante e strano. Poi andate in piazza, agitatevi e lottate – in modo non violento, che siamo un po’ frikkettone qui – e poi governate, senza lasciarvi compromettere dal potere, ma scrivendo, dopo aver studiato abbastanza da potervi arrabbiare e, quindi, cambiare voi stessi e poi, solo in un secondo momento, il mondo. Le parole, e le matite, sono armi! Free Palestine.

NS: Oggi le grandi e medie case di distribuzione editoriale si prendono almeno il 50 o 60% del ricavato di un libro o anche di più. Così facendo, non solo librerie, ma anche le piccole case editrici indipendenti e gli /le scrittorə si pigliano le briciole.

Boicottate i grandi distributori di libri che stanno rovinando l’editoria! 

Sabotate le case editrici di cui non condividete gli ideali e supportate quelle che stimate! 

Il cambiamento nasce sempre dal basso se siamo in tantə a muoverci insieme. E così sia. (E sempre Palestina libera!)

I: Solo una cosa: leggete indipendente!

Finisco l’intervista felice, come capita dopo gli incontri dove ascolto, penso e prima di dormire ci ripenso.

Potete leggerle qui e – mi raccomando – ordinatele e compratele!