Le carriere femminili in ambito accademico
Ogni anno, il Ministero dell’università e della ricerca redige un apposito report sullo stato dell’arte delle carriere femminili in ambito accademico.
La speranza in un cambiamento consistente in una maggiore presenza di donne nelle fasi avanzate della carriera accademica.Per un futuro migliore, tuttavia, urge l’imperativo di non dimenticarsi del passato, di non ignorare il presente e di non considerare troppo lontano il domani.
La presentazione di questo rapporto, dunque, non vuole avere un effetto meramente di informazione-notizia: i dati raccolti vanno letti e approfonditi anche leggendo l’integrale documento.
Conoscere uno spaccato di realtà, di verità, ci renderà maggiormente consapevoli.
E la consapevolezza è l’anticamera della libertà.
Il superamento delle disuguaglianze di genere nell’ambito accademico è al centro della “European Strategy for Universities della Commissione Europea (2022), che promuove l’inclusione e la parità di genere, con un focus particolare sulla sottorappresentazione delle donne nelle materie STEM.
Gli Stati membri, inclusa l’Italia, hanno adottato politiche per migliorare la partecipazione femminile in queste discipline, come la Legge 187/2023 che istituisce la Settimana nazionale STEM per stimolare l’interesse delle ragazze.
Esistono disparità di genere sia orizzontali, nelle scelte di studio, sia verticali, nelle posizioni di carriera, con una minore presenza femminile.
I dati disponibili mostrano che, pur aumentando la presenza femminile nei livelli apicali, le donne rimangono svantaggiate, soprattutto nei dottorati e nelle carriere accademiche.
L’analisi evidenzia anche fenomeni di segregazione nel personale tecnico-amministrativo.
Il confronto internazionale si basa su classificazioni standard per gli studenti e il personale accademico, con l’obiettivo di monitorare e migliorare l’uguaglianza di genere nelle università.
Nel 2022, in Italia le donne rappresentano oltre il 50% degli iscritti e dei laureati nei percorsi di laurea e post-laurea (ISCED 6-7: il sistema ISCED è un classificazione internazionale dei titoli di studio per “livello di istruzione”, i), ma la loro presenza diminuisce nei corsi di dottorato (ISCED 8), dove sono il 48,4% degli iscritti e il 49,4% dei dottori di ricerca.
In carriera accademica, la percentuale di donne diminuisce man mano che si sale nella gerarchia: sono il 50% tra i titolari di assegni di ricerca, il 46% tra i ricercatori, il 42% tra i professori associati e solo il 27% tra i professori ordinari.
Questi dati, confrontati con quelli del 2013, evidenziano due fenomeni noti: la leaky pipeline(la perdita di donne nelle carriere accademiche dopo la formazione universitaria) e il glass ceiling (la barriera invisibile che limita l’accesso delle donne alle posizioni apicali). Nonostante alcuni miglioramenti nei livelli superiori della carriera accademica (+7 punti nel Grade B e +6 punti nel Grade A), il numero di donne nei corsi di dottorato resta inferiore al 50%, suscitando preoccupazione per i futuri ingressi nella carriera accademica.
In tutte le fasi della carriera accademica, la percentuale di donne è sempre inferiore al 50%. Tuttavia, negli ultimi 10 anni si è registrato un aumento di circa 7 punti percentuali della presenza femminile in queste aree disciplinari, passando dal 31% al 38% nel Grade B e dal 17% al 23% nel Grade A. Rispetto al 2021, c’è stato un incremento di 1 punto percentuale in entrambi i livelli.
Per quanto riguarda i corsi di dottorato, nel 2022/2023 le dottorande sono il 48,4% del totale, con una presenza superiore al 50% nelle aree tradizionalmente femminili, come “Medical and Health Sciences” (quasi il 60%) e inferiore al 35% nell’area “Engineering and Technology” (33,1%). La percentuale di donne che ottengono il dottorato di ricerca è del 49,4%, con una distribuzione simile a quella delle dottorande, con il 63% nelle scienze mediche e sanitarie e il 32,8% nell’ingegneria e tecnologia. A livello europeo, nel 2021, il 47,6% dei dottori di ricerca è di genere femminile, con solo il 36,9% nelle aree STEM. In Italia, la percentuale di donne dottorande è superiore alla media europea, con il 48,9% a livello nazionale e il 42,3% nelle aree STEM, superando anche paesi come la Francia.
Inoltre, i tassi di femminilità tra i dottori di ricerca mostrano una sostanziale parità, con 98 dottoresse di ricerca ogni 100 uomini a livello nazionale, e valori più alti nelle regioni del Centro Italia (103/100) e del Sud-Isole (111/100), mentre il Nord Italia presenta il valore più basso (89/100).
Il passaggio dalla formazione universitaria alla carriera accademica in Italia evidenzia una significativa riduzione della presenza femminile, soprattutto nei livelli più alti della professione. Nel 2022, le donne costituiscono il 41,6% dei docenti e ricercatori universitari (76.741 in totale), ma questa percentuale varia notevolmente tra i diversi livelli accademici. Nel Grade D (assegni di ricerca), la percentuale di donne è del 50,4%, mentre scende al 27% nel Grade A (professori ordinari), con un incremento di 1 punto percentuale rispetto all’anno precedente. Tra le aree STEM, seppur con un lieve aumento rispetto al 2021, la quota di donne rimane sotto il 50% in tutti i livelli accademici, raggiungendo il 37% complessivamente. In particolare, la percentuale di donne nelle “scienze dure” supera il 40% nei Grade D and C (43% e 41%, rispettivamente), ma si riduce al 23% nel Grade A.
A livello europeo, nel 2021, solo il 26% delle donne occupa il Grade A, con una percentuale ancora più bassa nelle aree STEM (19%). Inoltre, si evidenzia anche una “segregazione” orizzontale, con una netta separazione tra le aree STEM e non STEM già dai primi livelli della carriera accademica. Ad esempio, nelle Medical and Health Sciences, il 70,5% degli assegni di ricerca è ricoperto da donne, mentre nelle Engineering and Technology, la percentuale scende al 36,2%, pur registrando un incremento rispetto all’anno precedente.
Le carriere accademiche di donne e uomini cominciano a divergere già dalla posizione di ricercatore a tempo determinato di tipo B, in quanto, al termine del contratto, i ricercatori possono accedere al ruolo di professore associato, previa abilitazione scientifica nazionale. A partire dal 2022, è stato introdotto un cambiamento legislativo che ha eliminato la distinzione tra ricercatori di tipo A e B, creando un’unica tipologia di contratto con la possibilità di essere valutati per la chiamata al ruolo di professore di seconda fascia a partire dal terzo anno.
In generale, la segregazione verticale è evidente nei dati sui rapporti di femminilità, che indicano che, a partire dal Grade C, c’è una prevalenza maschile (84 donne ogni 100 uomini), con il divario che si amplia nei Grade A (73 donne ogni 100 uomini nel 2022). Questa tendenza è visibile anche nelle aree non STEM, dove si osserva una prevalenza di donne nel Grade D, ma un progressivo calo a partire dal Grade C, con un tasso di femminilità inferiore a 100 al Grade A, dove la presenza maschile è molto più alta.
Per monitorare la “segregazione verticale”, viene utilizzato il Glass Ceiling Index (GCI), che misura la probabilità per le donne di raggiungere la qualifica più elevata nella carriera accademica. Nel 2022, il GCI in Italia è pari a 1,46, indicando una significativa sottorappresentazione delle donne nei livelli accademici più alti. Gli ambiti STEM, come Engineering and Technology (1,54) e Natural Sciences (1,48), sono in linea con la media nazionale, mentre l’area Medical and Health Sciences presenta un GCI più alto, vicino a 2, mentre Humanities and Arts si avvicina a un valore di 1, indicando una parità di genere migliore in questi ambiti.