L’Amica geniale (e femminista): l’attivismo letterario di Elena Ferrante

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Molto probabilmente, solo una ristretta cerchia di persone è a conoscenza di chi si celi dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante. La curiosità relativa alla misteriosa identità dell’autrice della fortunata saga de “L’Amica geniale” ha generato diversi dibattiti e discussioni, tutti finalizzati ad associare un volto (ed un vero nome) a tale personalità tuttora ignota. 

I vari forum di confronto hanno condotto ad un risultato piuttosto curioso, ma indicatore dei nostri tempi: gran parte delle persone che si sono esposte in materia, infatti, ritengono che dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante si celi un uomo. Anche prendendo in considerazione tutte le possibili ipotesi a favore di tale teoria, un simile ragionamento nasconde in realtà la diffusa tendenza a sottovalutare e sminuire il valore delle donne, forse non ritenute in grado di scrivere quello che, dal New York Times, è stato definito, di recente, il più bel romanzo del primo quarto di secolo.

«I libri si scrivono per farsi sentire, non per stare zitti. Non si scrive tanto per scrivere: si scrive per fare male a chi vuol far male» è forse una delle frasi che più colpisce tra i molti e meravigliosi paragrafi che compongono i romanzi di Ferrante, la cui scrittura si distingue per l’estrema chiarezza e l’utilizzo delle parole come strumento di lotta, pungenti quanto necessario e sempre finalizzate a provocare una riflessione nei lettori.

Il contesto entro cui i numerosi personaggi si muovono è ben noto: i quattro romanzi seguono la vita di due amiche – Raffaella Cerullo detta “Lila” ed Elena Greco detta “Lenù” – le quali dai vicoli impolverati di un rione popolare alla periferia di Napoli cercano di farsi strada nel mondo, tra le difficoltà dovute alle proprie umili origini, l’asservimento del quartiere ad una famiglia legata alla criminalità e l’atteggiamento retrogrado di padri padroni.

Alle vicende personali delle protagoniste fanno poi da sfondo i tumultuosi avvenimenti che, dal Secondo dopoguerra, hanno segnato la storia d’Italia: le rivolte studentesche del 1968, le manifestazioni a favore del divorzio e dell’aborto, gli anni della Strategia della tensione fino alla caduta della Prima repubblica con lo scandalo di Mani pulite. 

Mentre l’Italia cambia e si evolve, i lettori assistono dunque alle mille trasformazioni nelle vite delle due amiche. In particolare, il punto di vista di Lenù (io narrante dell’intera storia) fornisce una chiave di lettura privilegiata degli eventi, in grado di trasmettere ogni emozione, quasi sempre rabbia e risentimento a discapito della felicità e serenità che le due amiche avrebbero meritato. In quanto donne, le due protagoniste sono infatti fin da subito descritte come ai margini del rione, prima, e della società, poi, vittime di una cultura patriarcale che ha tentato di imporre loro un destino già segnato.

L’universo di Ferrante è dominato da personaggi maschili negativi la cui aggressività cela molto spesso una sensazione di inferiorità rispetto alla controparte femminile, sempre dotata di una intraprendenza e determinazione senza paragoni. Tutti gli uomini comparsi nei quattro libri – ad eccezione di uno, l’amorevole Enzo Scanno – incarnano alla perfezione il prototipo di uomo prepotente, privo di contenuti e dunque abituato ad utilizzare la forza come unico strumento per imporre la propria autorità. Ciò non accade solamente entro le mura dei grigi palazzi e per le polverose strade del rione partenopeo, ma si spinge fino alle prestigiose aule universitarie di Pisa e alle antiche ville di Firenze, si manifesta negli eleganti caffè di Milano e arriva persino in lussuose stanze di albergo di Parigi.

Cosa possa esserci in comune tra Napoli, Pisa e Firenze, Milano e Parigi è piuttosto evidente: in ciascuno di questi luoghi e in varie fasi della vita, infatti, Lenù riscontra il medesimo atteggiamento di prevaricazione da parte di uomini provenienti da diversi contesti e appartenenti a diverse classi sociali, ma tutti accomunati da un risentimento che trova la sua massima espressione nel tipico sguardo rancoroso che emerge negli occhi di uomini piccoli, messi di fronte all’intraprendenza e all’astuzia di donne libere e sempre più emancipate.

Al contrario, le donne di Ferrante, ciascuna nella sua peculiarità, rappresentano un lodevole esempio di tenacia e forza in un mondo che tutto concede e tutto perdona agli uomini e in cui la voce delle donne è molto spesso sminuita, se non messa a tacere.

Attraverso lo sguardo di Elena – qui intesa quale Lenù ma anche quale Ferrante – si assiste ad una lunga sequenza di situazioni di sopraffazione e dominazione maschile, talvolta evidente e altre volte subdola e nascosta.

In un rapido rincorrersi di eventi, Lenù ha infatti visto la sua migliore amica Lila venir privata della possibilità di studiare a causa di una decisione arbitraria del padre padrone, ha partecipato al suo matrimonio con un uomo benestante e violento e ha pianto in silenzio davanti agli occhi pieni di lividi della sua più cara amica dopo la prima notte di nozze.

Lenù decide quindi di lasciare Napoli al termine degli studi liceali per sfuggire dal clima di mascolinità tossica che ha respirato fin da piccola, con la promessa di costruire un futuro migliore per se stessa. Capisce ben presto, però, che non sono tanto i luoghi di provenienza a forgiare il carattere degli uomini quanto una diffusa tendenza prevaricatrice che loro appartiene da sempre, messi a proprio agio in un mondo costruito intorno alle loro esigenze.

L’aspetto rivoluzionario dei romanzi di Ferrante, però, consiste in una assenza quasi totale di idealizzazione e romanticizzazione della storia, la quale riserva non poche sorprese negative alle protagoniste e regala loro rari spiragli di felicità. Le donne di Elena Ferrante sono combattive ma non sono eroine e, proprio per quella stessa fragilità che le rende umane, cadono spesso vittime di quei meccanismi da cui cercano instancabilmente di liberarsi. E così Lenù, donna emancipata e scrittrice di grande successo, all’apice della popolarità rinuncia alla carriera per inseguire le futili aspirazioni di un uomo vanesio e pieno di sé, che al termine di un viaggio romantico arriva a confessarle di nutrire una profonda gelosia nei confronti della sua incredibile capacità di scrittura e analisi della contemporaneità. A rompere la bolla cui Lenù sembrava trovarsi, incapace di sfuggire da una relazione tossica e opprimente, sarà nuovamente la sua migliore amica Lila, a dimostrazione della forza della collaborazione e dell’importanza di saper chiedere aiuto, quando necessario.

Alla fine dei quattro romanzi, è dunque possibile affermare che il femminismo di Elena Ferrante risulta essere privo di qualsiasi retorica: al contrario, la sua opera è ricca di un impegno intellettuale, civile e morale. 

Quello che resta è la storia di donne coraggiose, dinamiche e intraprendenti, ma al tempo stesso fragili e caratterizzate da quelle contraddizioni che scandiscono la vita di ognuno. 

Gli anni sono trascorsi, le due protagoniste si sono evolute e così il loro carattere, mentre gli uomini erano e sono rimasti violenti. Nessun lieto fine, ma solo la constatazione della cruda realtà dei fatti. 

Un piccolo spiraglio di speranza si intravede solamente nella commovente sorellanza instauratasi tra Lenù e Lila, per sempre le nostre amiche geniali.


Credit foto: Lila e Lenù in una scena de “L’Amica geniale – Storia della bambina perduta”