Esercizio e violazione dell’intimità nell’educazione teatrale

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L’80% dei registi in Italia è uomo. Il regista è un ruolo di potere: interpreta la sceneggiatura e crea da questa la performance, decide i movimenti degli attori in uno spazio pieno di relazioni e di corpi.



Mappatura del 2020/2024 realizzata da Amleta e dall’Università degli Studi di Brescia. L’attività rientra nel Gender Equality Plan 2022-2024 dell’Università degli Studi di Brescia ed è stata condotta dal Gruppo di Lavoro della Commissione Genere di Ateneo. 

Link alla mappatura completa


Ho sentito l’urgenza di scrivere questo articolo nel numero del Magazine improntato sui femminismi, per porre l’attenzione su un luogo troppo spesso orfano della politica.  

Il punto focale di cui parlerò mi è sembrato immediatamente fondamentale ascoltando una collega comica: mi raccontava di una serata di Stand up iniziata un po’ male; è tradizione che prima di salire sul palco gli attori gridino «Merda, merda, merda!» come augurio e poi si tocchino vicendevolmente il fondoschiena. Arrivata a questo punto del racconto, cito: «Lo sai, te ne accorgi, se stai facendo il merda merda o se la gente ti sta palpando il culo; mi è risalita la cena in quel momento». 

C’è possibilità di violenza nell’azione codificata di chi interpreta? 

Come si può imputare l’illegittimità di un’azione se chi la compie è sospeso tra realtà e interpretazione?

L’intimità è centrale nella performance. Il palco su cui ci si “mette a nudo”, e si esibisce il proprio corpo in vece di un personaggio, è un luogo politico. Imparare a scendere a patti con ciò che si pensa del proprio corpo o dei corpi altrui, accettare lo sguardo spettatore, monitorare le proprie sensazioni, mantenere una lucida distinzione tra l’interpretazione e ciò che si sta interpretando, è una pratica molto complessa, e per questo viene esercitata. L’esercizio dell’intimità in ambito teatrale avviene in condivisione, ed è bene che sia guidato da una figura competente, in un luogo sicuro, come una scuola di teatro. Ne ho frequentate molte e mi sento di dire che senza delle regole ferree a bilanciare le contestuali dinamiche di forza, può accadere che l’esercizio dell’intimità diventi una sua violazione. 

Ma che cosa limitano le regole? Che cosa delimitano? Dove finisce l’esercizio e dove inizia la violenza?  Ho avuto modo di parlare con diverse colleghe, che mi hanno concesso di condividere le loro esperienze e riflessioni, lo farò in forma anonima. 

«Stavamo provando uno sketch, molto semplice, davanti a tutta la classe» – mi racconta S. – «Io ero la modella e lui [l’insegnante] il fotografo. Mi ha chiesto più volte di togliermi i pantaloni, per sciogliermi un po’, ma io non volevo; ha insistito così tanto che alla fine ho ceduto, in lacrime. E la mia classe era lì che guardava, pensavano tutti che fosse un esercizio, nessuno ha capito che era una violenza». Nessuno ha capito che era una violenza. L’insegnante può essere una figura ambigua, è l’autorità di quell’ambiente, che quasi sempre ha la fiducia dei propri allievi e delle loro figure di riferimento; assume un doppio ruolo di potere, quello educativo e quello del regista. 

L: «Mi accompagnava a casa dopo tutte le lezioni, finivamo alle 23 e tornavo a casa all’1. Ho scoperto poi che abitava dall’altra parte della città; io mi sentivo importante così, mi sentivo più brava dei miei compagni. Poi l’ho “tradito”, ho iniziato a frequentare un’altra compagnia, e pure il mio attuale ragazzo. Ho smesso di avere i ruoli migliori. E pure il passaggio a casa».  

Non sempre il rapporto allieva-insegnante rimane professionale, può crearsi un rapporto personale, che si allarga nei rapporti di forza includendo ambiti del sentire come la lealtà, la competizione, l’infatuazione; sempre L: «A me piacevano le sue attenzioni perchè io mi ero in qualche modo innamorata; è così che è riuscito a convincermi a fare delle foto nuda. Mi ha proposto di lavorare un monologo, io sola con lui, e poi ha iniziato a fotografarmi, mi ha indotta a togliermi i vestiti in modo così naturale che non sono stata tanto a pensarci nemmeno successivamente. Tanto stavamo facendo arte, era nudo artistico. Solo che io quelle foto non le ho mai avute, non mi sono mai state inoltrate». 

C’è il consenso, c’è (appena) la maggiore età, niente di strano? 

A S., a L. e anche a me, sembra che in queste dinamiche ci sia qualcosa di strano: un uso indebito del potere da parte degli insegnanti, che porta ad una violazione dell’intimità, troppo facilmente mimetizzabile con pratiche di insegnamento dell’arte, o riconducibili all’ambito dell’interpretazione. Come un “ma stavo scherzando”, dopo una violenza verbale. 

Inoltre il momento del consenso è fondamentale, il rapporto di potere insegnante-allieva, durante un esercizio, e l’instaurazione di un rapporto ambiguo insegnante-allieva, possono rendere il consenso “meno netto”? Così L. interrompe il mio ragionamento: «Ma a una mia compagna di classe l’ha fatta bere», cosa? «Si è comportato in modo simile: dovevano lavorare un monologo e lei è finita a posare nuda per lui, ma prima avevano bevuto un po’, per agevolare il processo. Questa non si può dire che non sia violenza, per favore». 

No, non si può dire. 

Altre due mie interlocutrici, R. e C., mi raccontano l’esperienza che hanno avuto nella prima scuola di teatro che hanno frequentato. C: «Avevo fatto la prima lezione, ero rimasta così entusiasta che poi, tra i banchi di scuola, ho convinto R. a venire con me. Abbiamo continuato insieme, avevamo 14 anni e il nostro gruppo era molto disomogeneo, avevamo in corso anche un ultra trentenne, e comunque molti ragazzi che avevano più o meno quell’età, noi due eravamo le più piccole». R. continua: «La prima lezione che ho frequentato abbiamo fatto un esercizio particolare: eravamo divisi in due schiere faccia a faccia, ogni coppia nel tempo di una canzone doveva costruire una storia d’amore, dall’innamoramento alla rottura. Io ero finita in coppia con il più grande, aveva 32 anni. L’esercizio l’abbiamo svolto bene, è arrivato il momento del primo bacio, degli abbracci, delle carezze, era un esercizio. Ma io avevo 14 anni e lui 32, quello è stato il mio primo bacio. Se ci ripenso ora mi vengono i brividi». C: «Che consapevolezza di come si vuole agire con il proprio corpo, nell’intimità può avere una persona che ha appena superato l’età del consenso? Era solo un esercizio ma il corpo era nostro, la nostra intimità non è stata nè esercitata, nè, tanto meno, tutelata. È stata violata». R: «Ma adesso arriva il pezzo forte». Sì è molto forte, è stata la storia che mi ha più turbata, disgustata e fatta incazzare di tutta questa (seppur piccola) ricerca. 

C: «Ci dissero da subito che il teatro che proponevano era senza censura, infatti abbiamo sempre finito ogni saggio in bikini o in intimo. Così la scuola proponeva una sorta di laboratorio, un esercizio che dovevano fare tutte le classi, per abbattere l’intimità e per fare gruppo. Venivamo tutti bendati, a parte l’insegnante naturalmente, che doveva monitorare ma partecipava lo stesso, e poi con una bella musica di sottofondo dovevamo esplorare i corpi che ci trovavamo davanti, ci toccavamo a vicenda mani, braccia, spalle, volti, capelli, e non solo. Eravamo caldamente invitati, una volta presa confidenza, a rimanere solo più in intimo. Il risultato?». R: «Degli adulti che toccavano altri adulti, e noi, quattordicenni, mezze nude. L’insegnante non essendo bendato decideva deliberatamente da chi andare». Commento dicendo che sembra un film horror. Ma C. mi risponde: «È che è molto più complicato di così. Noi eravamo tutti molto contenti dopo la fine dell’esercizio, perché abbatti davvero un muro, un tabù, ti senti migliore, più aperto di tutti gli altri lì fuori che ancora fanno gruppo andando a prendersi una birra e non spogliandosi e palpandosi a vicenda. A nessuno è sembrato strano. Io ero un po’ a disagio, mi ricordo che i pantaloni non me li ero tolti, ma niente di più». R: «Io mi ricordo che avevo sbirciato sotto la benda, ed ero contenta di aver visto che a toccarmi era il mio insegnante, mi sentivo capace, come se la mia vocazione attoriale la stessi dimostrando e la dovessi dimostrare con il mio corpo scoperto, con quanto fossi sciolta e a mio agio nel farmi toccare». C: «Del resto a te non è mai capitato…» mi chiede, «di ricevere le parti per un provino che comprendessero unicamente la scena col bacio?». 

Ha ragione, mi è capitato. 

Ascoltando queste storie ho ripensato ad una frase che mi disse una professoressa tempo fa: «Il realismo nel ‘900 passa attraverso la sensualità, è il gusto del teatro». Non siamo più nel ‘900 da un bel po’, eppure la sensualità, l’intimità, il corpo nudo, il corpo nudo che si muove, sono estetica. Ma – per quanto spesso piaccia pensare il contrario – l’estetica non è apolitica, semplicemente perché il gusto non è indipendente dal contesto culturale, politico e sociale in cui si diffonde. L’esibizione del corpo nudo è parte anche dell’estetica femminista, della libertà: è chiaramente politica. 

L’esercizio dell’intimità volto all’esibizione e all’interpretazione del corpo nudo può avere come fine ultimo l’arte, ma è un luogo politico, in cui le relazioni di forza e le dinamiche di potere non sono assenti, e non sono facili da individuare; lo scarto tra interpretazione e realtà è un luogo bellissimo da esplorare, ma non è nell’iperuranio, anche lì la violenza esiste. 

In questo periodo ho avuto modo di incontrare G., un’interlocutrice fondamentale, che mi ha raccontato tante esperienze, tra cui la nascita di un luogo di resistenza: «Ho creato per questo la mia compagnia, venivo da una scuola di teatro molto “aperta”. Diciamo che il corpo delle ragazze, soprattutto più giovani, piaceva molto. La situazione stava degenerando anche in classe, nemmeno le feste che organizzavamo tra noi erano più un luogo sicuro, era un posto dove il rispetto dell’intimità altrui era ormai azzerato. Questo era stato normalizzato, solo che se mi tocchi un seno perchè la scena che stiamo interpretando “lo richiede” è un conto, se lo fai anche al di là del momento della prova, solo perchè siamo compagni di teatro e questa barriera tra noi è allora automaticamente abbattuta, ti trancio la mano. Così ho fondato la mia compagnia, che in quel contesto era una sorta di luogo di resistenza e anche di rifugio per chi come me non reggeva più la situazione. Assisto spesso le registe e i registi degli spettacoli che proponiamo; può capitare che ci sia una scena con un bacio, ma rispettare l’intimità, secondo me, significa trattarla come qualsiasi altro gesto durante il montaggio di una scena, dopo essersi assicurati prima di ogni singola prova se gli attori se la sentono o se sono a disagio. Se sono a disagio o si cambia il cast o si trova un modo alternativo di rispettare il sottotesto della scena: ci sono mille alternative che il regista può trovare per evitare un bacio coerentemente alla propria interpretazione della sceneggiatura; se la risposta è che se la sentono, si va avanti tranquillamente. Procediamo così per tutto ciò che riguarda l’intimità. Ah, ovviamente, solo maggiorenni». 

L’80% dei registi in Italia è uomo. Come un uomo guida nello spazio il corpo di una donna, anche se attrice, come lo fa relazionare con altri corpi, come lo sveste, è un atto politico. 

È realtà, non interpretazione.