Donne e democrazia: il suffragio, e poi?

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Libertà, scelta, opinione. Si tratta di elementi imprescindibili per l’uguaglianza di genere, per la vita in quanto piene cittadine e per la vera e significativa espressione femminile.

Al mondo ormai tutti i paesi hanno raggiunto il traguardo del suffragio universale. Già, davvero tutti, nessuno escluso tranne lo Stato Vaticano. In Italia si può celebrare la data dal 10 Marzo 1946, in Inghilterra dal 1928 con le famosissime Suffragette, in Finlandia, prima in Europa, dal 1906 e addirittura in New Jersey il suffragio femminile ha avuto un periodo sperimentale nel lontano 1776.

Possiamo quindi stringerci l’un l’altra la mano, congratularci e tornare a casa. E invece no. Non dobbiamo e non possiamo, perché la realtà non si ferma agli atti su carta. La si vive ogni giorno, ad ogni seggio elettorale in molti più paesi di quanto non si creda. Pressione sociale, pregiudizi, ostacoli ad ogni angolo e persino violenza: questo è quel che attende molte donne che osano esercitare quello che dovrebbe essere un proprio diritto costituzionale. Una decisione così innocua, direbbero tanti, un dovere, direbbero invece i più responsabili, ma in realtà si tratta dell’ennesimo atto di coraggio richiesto a molte donne per realizzarsi in quanto semplici, normali, “uguali” cittadine. 

Fece scalpore, ma neanche abbastanza, la frase pronunciata nel 2016 dal Presidente nigeriano Muhammadu Buhari: “Non so esattamente a che partito appartenga mia moglie. Al momento appartiene alla cucina, al soggiorno e alle altre stanze della mia casa.”

Nelle elezioni del 2019, sempre in Nigeria, solo 6 candidate su 73 erano donne, e tutte e sei finirono per ritirare la loro candidatura. Lì le donne occupano circa il 7% delle posizioni di governo, rispetto alla media mondiale del 26% (e anche qui, grandi numeri). 

Non si tratta però di certo di un problema unicamente nigeriano. Impossibile non menzionare l’Uganda e le elezioni del 2016, durante le quali la violenza contro le donne che decisero di presentarsi ai seggi fu tale da rendere necessaria l’istituzione di centri di controllo e misure contenitive. Persino questi ultimi si rivelarono un ulteriore ostacolo, prolungando i tempi di attesa e costringendo le cittadine a tornare alle loro improrogabili mansioni domestiche, anziché votare. In Oman, dove il diritto al voto femminile è stato conquistato solo nel 2003, tutt’oggi si teme di esprimere la propria opinione politica. Spesso le scelte sono due: o si vota seguendo l’opinione del marito, o si rischia il divorzio. Situazione perfettamente speculare a quella dello Zanzibar, a seguito delle elezioni del 2015.

In tempi recentissimi, in Iran, le donne presentatesi ai seggi a Teheran per le elezioni presidenziali lo scorso Giugno hanno visto i propri diritti negati perché non indossavano l’hijab, o perché indossato in maniera giudicata come inappropriata. Criteri arbitrari, vere e proprie scuse per giustificare l’ennesima usurpazione dell’espressione femminile. 

E ancora in Egitto, dove il semplice fatto di dover presentare un documento identificativo, solitamente custodito dal marito, rimette all’uomo il potere decisionale. L’uomo, il marito, il padre, lo zio, il fratello, il “responsabile” della donna in questione, il suo custode dal punto di vista sociale, religioso o legale e, in caso così decida, il suo primo oppressore, può decidere se far valere o no un diritto “ormai” dato e riconosciuto.

Non si parla quindi di traguardi raggiunti, ma del via ad una corsa ad ostacoli a cui le donne hanno finalmente, graziosamente, avuto diritto a partecipare. Per motivi di uguaglianza, giustizia, correttezza morale, ed altre varie galanterie governative. Il resto, il concreto, viene poi trattato a porte chiuse, tra le mura domestiche o dinanzi alle entrate dei seggi.

Per questo quando ricordiamo il suffragio femminile, per i pochi italiani che hanno ben fissata la data del 10 Marzo, non dobbiamo dar inizio ai festeggiamenti, ma alle proteste, ai movimenti, ai discorsi pubblici, alle iniziative di supporto. Per questo e per molto altro, non possiamo chiudere la questione dell’uguaglianza al diritto di voto. 


Credit foto: Frame dal film “C’è ancora domani”