Donne ai margini: l’impatto dei cambiamenti climatici e l’esclusione dai processi decisionali
Il genere femminile si trova in una posizione di subordinazione rispetto al genere maschile in tanti aspetti della quotidianità che viviamo e colmare questo divario è ancora una sfida lunga e complessa.
Nel XXI secolo ci si aspetterebbe una situazione di maggiore parità e coinvolgimento equo dei generi ma così non è e questa disuguaglianza si estende a pressoché tutte le sfere: sociali, economiche, familiari, ambientali e lavorative, solo per indicarne alcune…
In questo articolo approfondiremo il divario esistente nell’ambito ambientale, affrontando dapprima la situazione di chi vive sulla propria pelle le atrocità del cambiamento climatico e tutto ciò che ne comporta, spostandoci poi sulla posizione del genere femminile all’interno dei processi decisionali in ambienti diplomatici per quanto riguarda le politiche di attuazione per contrastare la crisi climatica.
Le condizioni meteorologiche estreme provocate dal cambiamento climatico stanno obbligando migliaia di persone ad abbandonare la loro abitazione o addirittura il loro paese.
Un report di ‘UN Women’ presentato alla COP 28 evidenzia come nel 2050 il cambiamento climatico possa spingere fino a 158 milioni di donne e bambine verso la povertà e fino a 232 milioni ad affrontare il fenomeno dell’insicurezza alimentare.
I paesi maggiormente esposti alle conseguenze del cambiamento climatico sono spesso quelli in cui donne e bambine affrontano i rischi più elevati. In molte di queste regioni, sono particolarmente vulnerabili a una serie di pericoli, tra cui morte prematura, matrimoni forzati e i più alti tassi di gravidanze adolescenziali al mondo. Inoltre, queste persone subiscono quotidianamente livelli estremi di violenza di genere.
Ma come mai esiste questo forte legame tra disuguaglianza di genere e crisi climatica?
Essenzialmente, questa correlazione nasce dalla posizione di svantaggio e vulnerabilità dei paesi più fragili i quali hanno evidenti difficoltà nell’affrontare le conseguenze di questa crisi climatica perché dipendono fortemente dalle risorse naturali delle loro terre.
In più, le donne e le bambine di questi paesi sono emarginate e subordinate all’uomo e, a causa di discriminazioni e violenze, affrontano questa situazione con un grado maggiore di difficoltà e disuguaglianza.
Perciò possiamo dire di ritrovarci di fronte a due forti disequità che coesistono e si rafforzano a vicenda.
A oggi, i fondi per contrastare questa problematica sono limitati e notevolmente insufficienti: solo una percentuale compresa tra il 2% e lo 0,01% dei fondi riservati al clima viene impiegata per questo. Finché l’emergenza climatica si aggraverà e i finanziamenti per la salute sessuale e riproduttiva delle donne rimarranno insufficienti, la situazione non potrà che peggiorare.
Questa condizione di disuguaglianza, persiste però anche nel mondo diplomatico che coinvolge tutte quelle donne che si stanno battendo proprio per contrastare la crisi ambientale.
Come abbiamo potuto notare durante la COP 29 tenutasi a Baku, durante il World Leader Climate Action Summit (WLCAS), momento in cui i leader mondiali si riuniscono e danno vita ad una serie di speeches incentrati sui loro auspici e ambizioni per la COP e la gestione della crisi, figuravano solamente 8 donne su 78 leader mondiali.
In aggiunta, durante i preparativi iniziali per questa COP, era stata istituita una commissione organizzativa composta solamente da uomini, in seguito modificata… Ma un tale inizio non poteva di certo presagire migliorie nel campo delle questioni di genere.
Poiché la maggior parte degli attori decisionali presenti a queste conferenze sono uomini, risulta difficile trovare soluzioni davvero inclusive, capaci di affrontare la drammatica realtà quotidiana vissuta da donne e bambine. L’inclusione, la considerazione e la volontà di affrontare questa piaga rimarranno minime fino a quando le donne non saranno equamente rappresentate ai vertici dei processi decisionali.
Il mondo è pieno di donne forti, valorose e ambiziose.
Esistono numerose organizzazioni e associazioni dedicate a colmare questo divario e a valorizzare il ruolo delle donne, riconoscendone abilità e capacità. Un esempio è Women Gender Constituency (WGC), che opera nel campo dei diritti umani delle donne e si batte per una reale parità di genere come parte della lotta contro il cambiamento climatico.
Un’altra realtà significativa è Women 7, il cui obiettivo è assicurare che le questioni di genere siano integrate nelle discussioni del G7 e tradotte nella Dichiarazione dei Leader del G7 attraverso politiche e impegni concreti per promuovere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione economica delle donne.
Infine, c’è SHE Changes Climate, un movimento globale che lotta per un’equa inclusione delle donne nei processi decisionali, affrontando la crisi climatica e lavorando per costruire un futuro più sostenibile per tutti.
La forza e la tenacia di queste donne ci fa ben sperare, la grinta e la loro ambizione porterà a sempre più risultati e auspica una piena parità tra i generi, un’equa inclusione delle donne nel panorama internazionale e non, e una maggiore considerazione verso ciò che è la vita che donne e bambine sono costrette a vivere.