Migrazioni e disabilità
Cosa ti viene in mente quando senti il termine “immigrato”? La rappresentazione più diffusa delle persone migranti e rifugiate in Italia è quella di una marea che, infrangendosi impetuosamente sulle coste italiane, porta con sé criminalità e violenza, disturbando gli equilibri e le tradizioni della nostra società.
Così, gli stereotipi sull’immigrazione diffusi e consolidati da gran parte della politica e dei media italiani negano l’identità stessa del migrante come individuo, riducendolo a parte anonima di quella moltitudine fotografata durante gli sbarchi.
Tuttavia, lontano da un immaginario migratorio fatto di uomini abili e neurotipici, esiste un’immigrazione reale dalle sfaccettature tanto variegate quanto le persone che vi partecipano o che sono costrette a prenderne parte. Questa realtà include anche persone con disabilità, spesso invisibili.
Per comprendere meglio le criticità che riguardano le persone con disabilità all’interno del fenomeno migratorio e in particolare nel contesto della migrazione forzata, abbiamo incontrato Angela Kohama, responsabile delle politiche per l’inclusione delle persone con disabilità presso il World Food Programme.
Innanzitutto, Angela, puoi confermare che anche uomini e donne con disabilità sono coinvolti e coinvolte nel fenomeno migratorio, nonostante la doppia condizione di migrante e di persona con disabilità sia spesso assente dalle statistiche che analizzano sia il primo che il secondo ambito?
Assolutamente, senza dubbio. Detto ciò, prima dello sfollamento, sappiamo che le persone con disabilità, nella loro diversità, affrontano più barriere per evacuare rispetto alle persone senza disabilità. I sistemi di allerta ed evacuazione sono spesso inaccessibili, il che significa che le persone con disabilità hanno da 2 a 4 volte più probabilità di morire in situazioni di disastro e conflitto rispetto alle persone senza disabilità.
I dati mostrano che le persone sfollate a causa di disastri e conflitti spesso acquisiscono disabilità nel processo. Ad esempio, molte persone sfollate soffrono di disturbo da stress post-traumatico, ansia e depressione; alcune acquisiscono disabilità fisiche in guerra o a causa di disastri naturali.
Sebbene disponiamo di alcune informazioni a livello macro (ad esempio le statistiche di cui sopra) su come le situazioni di sfollamento si colleghino alla disabilità, le agenzie che raccolgono dati sulle persone sfollate, come l’UNHCR e l’OIM, raccolgono solo parzialmente dati individuali e familiari sulla disabilità. Pertanto, non abbiamo dati completi su quante persone sfollate forzatamente siano disabili.
Premesso che le persone con disabilità non costituiscono un gruppo omogeneo e che vi sono molteplici intersezionalità che lo attraversano, restituendo un numero altrettanto elevato di esperienze diverse, quali sono alcune delle criticità che una persona con disabilità vive durante la migrazione forzata?
Le persone con disabilità affrontano ulteriori barriere nell’accesso ai servizi quando sono sfollate, rispetto alle persone senza disabilità. Le persone con disabilità vengono sradicate dai servizi e dalle reti di sicurezza che offrivano supporto e indipendenza nei luoghi in cui vivevano prima.
Quando sono sfollate con la forza, spesso lasciano indietro i loro dispositivi di assistenza durante la fuga, il che limita la loro indipendenza. Le informazioni sui servizi nella nuova località sono spesso in formati inaccessibili (ad esempio, opuscoli scritti per persone non vedenti, comunicazione verbale per persone sorde, ecc.). Gli alloggi o i rifugi, quando offerti/disponibili, sono spesso inaccessibili. Tradizionalmente, le distribuzioni alimentari sono spesso in contenitori pesanti o in grandi quantità, creando difficoltà di trasporto. Questi sono solo alcuni esempi basilari delle barriere affrontate dalle persone con disabilità.
Sebbene i fornitori di servizi (ad esempio governi, agenzie ONU, ONG) non abbiano necessariamente cattive intenzioni, gran parte di questa inaccessibilità è sistemica – progettata in questo modo e nelle mani dei fornitori di servizi per poter essere modificata.
In che modo, invece, sottogruppi come le persone anziane o le donne e le ragazze con disabilità sono esposti a vulnerabilità specifiche?
La discriminazione intersezionale – una discriminazione aggravata che colpisce le persone con identità marginalizzate e intersecanti – aumenta la loro vulnerabilità nelle situazioni di sfollamento forzato.
Ad esempio, le donne e le ragazze con disabilità affrontano sia la discriminazione di genere che quella legata alla disabilità. Vediamo questa discriminazione aggravata nelle statistiche globali. In particolar modo, le ragazze con disabilità sono in misura sproporzionata fuori dalla scuola rispetto sia alle ragazze senza disabilità, sia ai ragazzi con/senza disabilità. La discriminazione aggravata è strutturale e dipende da come si manifesta l’esclusione nel contesto o ambiente di riferimento.
Vi sono delle barriere che le persone con disabilità si trovano davanti al momento dell’accoglienza e dell’accesso a sistemi di supporto?
Le barriere per le persone con disabilità sfollate aumentano se attraversano i confini nazionali e lasciano il proprio paese, poiché in molti paesi il sostegno sociale governativo non è disponibile per i non cittadini. Pertanto, un paese potrebbe avere un’incredibile assistenza sociale e supporto per le persone con disabilità con cittadinanza, ma marginalizzare completamente le persone sfollate che vivono nel paese a causa delle politiche governative.
Che misure si possono adottare per rimuovere questi ostacoli e garantire la loro tutela nel contesto delle migrazioni forzate?
La risposta a questa domanda è complessa poiché la disabilità è estremamente diversificata. Due persone potrebbero avere la stessa disabilità sulla carta – ad esempio, due utilizzatori di sedia a rotelle – e affrontare barriere molto diverse nella realtà. In generale, le barriere legate alla disabilità sono di tipo attitudinale, ambientale (ad es. l’ambiente costruito), legate alla comunicazione, ai processi e alle procedure operative standard, e infine radicate in politiche istituzionali escludenti.
Lavorare in collaborazione con la comunità delle persone con disabilità per rimuovere questi ostacoli migliorerà i diritti delle persone con disabilità in situazioni di sfollamento forzato.
Considerando il sempre più elevato numero di persone costrette ad allontanarsi dal loro luogo di origine a causa di crisi nuove e vecchie, e quindi anche il consequenziale incremento delle persone con disabilità che si spostano con esse, ci stiamo muovendo verso una situazione di maggiore inclusione delle persone migranti con disabilità o sono ancora una categoria invisibile ai più?
Non penso che la risposta a questo sia un semplice “sì” o “no”: è qualcosa di intermedio. Grazie agli attivisti per i diritti delle persone con disabilità, i governi e i fornitori di servizi sono più consapevoli delle barriere aggiuntive che le persone con disabilità devono affrontare per accedere ai servizi per i profughi. Tuttavia, rimuovere queste barriere è un compito molto più grande e richiede il coinvolgimento di ognuno di noi.